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Custodia cautelare: quando il rischio di fuga è concreto

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di una misura di custodia cautelare in carcere per un individuo accusato di associazione a delinquere transnazionale finalizzata alla truffa e al riciclaggio. La decisione è stata fondata su un’analisi concreta del rischio di inquinamento probatorio, del pericolo di fuga e della reiterazione del reato, ritenendo le misure meno afflittive, come gli arresti domiciliari, inadeguate a causa della personalità dell’indagato e delle sue vaste connessioni internazionali e disponibilità economiche.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare: i criteri per valutare il rischio di fuga e inquinamento probatorio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39214/2024, è tornata a pronunciarsi sui presupposti per l’applicazione della custodia cautelare in carcere, la più afflittiva delle misure coercitive. La pronuncia offre importanti chiarimenti su come i giudici debbano valutare in concreto le esigenze cautelari, in particolare il pericolo di inquinamento probatorio e il rischio di fuga, confermando che la decisione non può basarsi su mere presunzioni, ma deve fondarsi su elementi specifici e attuali.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un soggetto indagato per reati gravissimi, tra cui la partecipazione a un’associazione a delinquere transnazionale finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e dell’Unione Europea, e al riciclaggio aggravato. A seguito delle indagini, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) aveva disposto nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere. L’indagato, tramite il suo difensore, aveva impugnato l’ordinanza dinanzi al Tribunale del Riesame, che tuttavia aveva confermato la misura.

Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, articolando tre motivi principali:

1. Erronea valutazione del rischio di inquinamento probatorio: Secondo la difesa, il Tribunale avrebbe illogicamente desunto tale rischio da una conversazione intercettata in cui l’indagato faceva riferimento a pratiche corruttive per ostacolare un altro procedimento penale, peraltro conclusosi con una condanna e non con la prescrizione sperata.
2. Insussistenza del pericolo di fuga: Il ricorrente sosteneva che la disponibilità di una dimora in Romania, l’attività lavorativa all’estero e le disponibilità economiche non fossero elementi sufficienti a dimostrare una reale volontà di sottrarsi alla giustizia.
3. Violazione del principio di proporzionalità: La difesa riteneva che la misura carceraria fosse sproporzionata e che il rischio di reiterazione del reato potesse essere adeguatamente contenuto con gli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico.

La valutazione della custodia cautelare e i motivi del ricorso

Il ricorso verteva interamente sulla sussistenza delle esigenze cautelari che giustificano l’applicazione di una misura restrittiva della libertà personale prima di una sentenza di condanna. La difesa ha contestato punto per punto la valutazione del Tribunale, sostenendo che le conclusioni dei giudici fossero basate su inferenze illogiche e presunzioni, piuttosto che su prove concrete e specifiche relative al procedimento in corso.

L’argomento centrale era che la custodia cautelare in carcere, essendo la misura più estrema, dovesse essere giustificata da un quadro indiziario e cautelare di eccezionale gravità, che nel caso di specie, a dire della difesa, mancava. In particolare, si contestava la capacità dei singoli elementi valorizzati dal Tribunale (la conversazione, la dimora all’estero, le finanze) di dimostrare, in modo concreto e attuale, i pericoli richiesti dalla legge.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo infondato in ogni suo punto. Le motivazioni della Suprema Corte sono cruciali per comprendere i confini applicativi delle misure cautelari.

Sul rischio di inquinamento probatorio

La Corte ha stabilito che il Tribunale aveva correttamente valutato il rischio. Le intercettazioni non erano generiche, ma contenevano precisi riferimenti dell’indagato all’uso di un “server spy” in Romania per criptare i dati e a pratiche corruttive già sperimentate per dilatare i tempi processuali. Fatto decisivo, un coindagato apicale, a seguito di quella conversazione, aveva pianificato di adottare proprio quelle strategie corruttive nel procedimento in corso, a beneficio di tutto il sodalizio. La Cassazione ha ribadito il principio secondo cui il pericolo di inquinamento probatorio può derivare anche dalle condotte pianificate da coindagati, se queste sono finalizzate a tutelare l’interesse comune del gruppo criminale.

Sul pericolo di fuga

Anche su questo punto, la Corte ha convalidato l’analisi del Tribunale. Il giudizio prognostico sul pericolo di fuga non era astratto, ma ancorato a una serie di elementi concreti e convergenti:

* La disponibilità di immobili all’estero (Romania).
* Lo svolgimento di attività illecite in altri Paesi (Slovacchia).
* La titolarità di società operanti all’estero (Lituania), indice di una rete estesa di collegamenti finanziari.
* La disponibilità di ingenti provviste economiche.

Questi elementi, coniugati con la gravità dei reati e la personalità dell’indagato, rendevano il pericolo di fuga non solo concreto, ma anche attuale, giustificando un intervento cautelare tempestivo.

Sull’adeguatezza della misura

Infine, la Cassazione ha respinto la censura sulla proporzionalità. Il Tribunale aveva adeguatamente motivato perché gli arresti domiciliari fossero una misura inefficace. Le indagini avevano delineato una personalità dell’indagato connotata da “sprezzo delle regole e peculiare inclinazione a delinquere”. Tale quadro rendeva impossibile confidare in una sua spontanea adesione alle prescrizioni degli arresti domiciliari, anche se rafforzati da controlli elettronici. La gravità dei reati, frutto di una pianificazione criminale articolata e fonte di enormi profitti, rendeva la custodia cautelare in carcere l’unica misura proporzionata e adeguata a fronteggiare le esigenze cautelari.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di libertà personale. La valutazione delle esigenze cautelari deve essere un giudizio prognostico basato non su automatismi o presunzioni, ma su un’analisi rigorosa e individualizzata della situazione concreta. Elementi come le connessioni internazionali, la disponibilità di ingenti capitali e una personalità incline al crimine possono fondare un giudizio di pericolosità concreto e attuale che giustifica la misura della custodia cautelare in carcere. La decisione conferma che, di fronte a organizzazioni criminali complesse e transnazionali, la risposta dello Stato deve essere ferma e basata su strumenti cautelari idonei a prevenire la fuga, l’inquinamento delle prove e la commissione di nuovi reati.

Quando si può ritenere concreto il pericolo di inquinamento probatorio?
Il pericolo è ritenuto concreto quando esistono elementi specifici, come conversazioni intercettate, che dimostrano l’intenzione di utilizzare mezzi illeciti (ad esempio la corruzione) per ostacolare il processo. Tale pericolo sussiste anche se l’intenzione è manifestata da un co-indagato, qualora agisca nell’interesse comune del gruppo criminale.

Quali elementi giustificano il pericolo di fuga per la custodia cautelare?
Secondo la sentenza, il pericolo di fuga è giustificato da una combinazione di fattori concreti e attuali, quali la disponibilità di immobili e società all’estero, lo svolgimento di attività in altri Paesi, una qualificata rete di collegamenti finanziari internazionali, ingenti disponibilità economiche e la gravità dei reati contestati.

Perché la custodia cautelare in carcere può essere preferita agli arresti domiciliari?
La custodia in carcere è ritenuta l’unica misura adeguata quando la personalità dell’indagato dimostra un totale disprezzo per le regole e una spiccata inclinazione a delinquere. In tali casi, si ritiene che non sia possibile fare affidamento sulla sua adesione spontanea alle prescrizioni degli arresti domiciliari, anche se assistiti da strumenti di controllo elettronico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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