Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36537 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36537 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME, nato in Tunisia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/05/2025 del Tribunale di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 02/05/2025, il Tribunale di Palermo rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 18/04/2025 del G.i.p. del Tribunale di Marsala con la quale era stata disposta, nei confronti dello stesso COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere per essere egli gravemente indiziato del reato di tentata rapina pluriaggravata (dall’essere state la violenza e minaccia commesse con armi e da più persone riunite) in concorso (con NOME COGNOME e con altri soggetti) ai danni di NOME e per essere sussistenti le esigenze cautelari di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen.
Avverso la menzionata ordinanza del 02/05/2025 del Tribunale di Palermo, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., con riferimento all’art. 292, lett. c) e c-bis), dello stesso codice, la mancanza della motivazione e, comunque, la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato di tentata rapina di cui agli artt. 56, 110 e 628, primo e terzo comma, n. 1), cod. pen.
COGNOME lamenta che la ricostruzione del fatto operata dal Tribunale di Palermo sarebbe «stata affidata acriticamente alle dichiarazioni della persona offesa» ma non sarebbe «adeguatamente supportata dalle stesse né aderente alle altre risultanze investigative».
Il Tribunale di Palermo non avrebbe in particolare «esamina approfonditamente l’intero contenuto rappresentativo della videoregistrazione» delle telecamere di videosorveglianza installate sul luogo del fatto e acquisite agli atti del procedimento e avrebbe «postula la credibilità della persona offesa NOME COGNOME e della sua compagna NOME COGNOME, allora presente, nonché l’attendibilità delle loro dichiarazioni senza neppure prendere in esame i dati investigativi di segno contrario».
Il ricorrente espone che, nella comunicazione di notizia di reato del 20/04/2025, la polizia giudiziaria avrebbe «dato atto di essere addivenuta addirittura al “dato certo” che le dichiarazioni del querelante e della NOME COGNOME non risultano aderenti alla realtà dei fatti».
Il Tribunale di Palermo avrebbe anche trascurato che la polizia giudiziaria aveva avuto la necessità di assumere a sommarie informazioni il COGNOME e la COGNOME «”a più riprese” , senza che le incongruenze emerse abbiano trovato soluzione».
Risulterebbero in effetti «sostanziali differenze dal raffronto tra le versioni rese da NOME e NOME COGNOME, tra le versioni rese da ciascuno di costoro in momenti diversi, nonché tra le versioni complessivamente rese dagli stessi ed il video in atti».
Tale video smentirebbe quanto dichiarato dal NOME e dalla COGNOME, giacché da esso non risulterebbe il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere una rapina. Anche la polizia giudiziaria, nella menzionata comunicazione di notizia di reato del 20/05/2025, aveva rilevato «che non è dato comprendere il movente del contrasto registrato, ancor più in assenza di traccia audio» (così il ricorso).
Dallo stesso video, emergerebbe «un rapporto di conoscenza tra le parti medesime che invece è stato escluso dal NOME COGNOME», il quale, nelle dichiarazioni che aveva reso il 16/04/2025, aveva riferito «di non aver mai visto nessuno dei presunti aggressori e di essere stato immediatamente destinatario di un approccio violento, negando il saluto cordiale registrato dal filmato predetto» (così il ricorso). Invece, nelle sommarie informazioni che aveva reso il successivo 23/04/2025, il NOME aveva «ammesso di conoscere gli stessi solo di vista» (così il ricorso).
Anche la parte successiva del filmato fornirebbe una rappresentazione dei fatti incompatibile «con l’ipotesi investigativa». Posto che lo stesso filmato mostrerebbe che NOME COGNOME «si intratteneva in INDIRIZZO con NOME e NOME», il ricorrente rappresenta che «la vittima non sarebbe rimasta con i presunti rapinatori né costoro sarebbero rimasti sul luogo del reato invece che far perdere le loro tracce».
La rappresentazione dei fatti fornita dal filmato escluderebbe pertanto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del delitto di rapina.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione «con riferimento ai criteri stabiliti dall’art. 275, commi 1 e 2, c.p.p. ed all’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lett. c), c.p.p.».
Dopo avere trascritto il penultimo capoverso della pag. 7 dell’ordinanza impugnata, il ricorrente lamenta che la motivazione in esso contenuta «annulla i requisiti della concretezza e dell’attualità» del pericolo di reiterazione delittuosa, atteso che «la relativa valutazione non è stata ancorata ad elementi specifici» ed è identica a quella che è stata fornita con riguardo al coindagato NOME COGNOME.
COGNOME contesta che il Tribunale di Palermo avrebbe ritenuto la sua inclinazione a delinquere «ricavandola dalle condotte addebitate mentre rispetto al contesto di vita del ricorrente, alla sua giovane età, ed al carattere sporadico della condotta medesima non risulta che lo stesso abbia l’attitudine a commettere azioni violente e la possibilità di ricercare o creare lui stesso occasioni di commissione di ulteriori reati».
Il ricorrente sottolinea anche di non avere precedenti penali né carichi pendenti.
La prognosi di recidiva fatta dal Tribunale di Palermo sarebbe anche confutata dalle già menzionate immagini delle telecamere di videosorveglianza, dalle quali risulterebbe che egli «è sempre rimasto in disparte rimanendo a bordo di un monopattino, al parcheggio di INDIRIZZO e senza detenere alcun oggetto atto ad offendere», come sarebbe stato confermato sia da NOME COGNOME (la quale, nelle sommarie informazioni del 28/04/2025, alla domanda: «Che faceva il 4 0 soggetto,
NOME, nei momenti dell’aggressione?» aveva risposto «Ricordo che stava sul monopattino vicino a noi, non ricordo se ha detto qualcosa»), sia da NOME COGNOME (il quale, nella denuncia del 16/04/2025, aveva riferito «di non avere visto l’altro ragazzo che era dentro la macchina», cioè il ricorrente, e, in occasione dell’individuazione fotografica, aveva riferito che lo stesso ricorrente si era limitato a guidare il monopattino).
Inoltre, la necessità di ricorrere alla misura cautelare «degli arresti domiciliari» sarebbe «rimasta sfornita di motivazione a fronte delle regole fissate dall’art. 275, commi 1 e 2, c.p.p. ed avuto riguardo alla possibilità di limitare la libertà di movimento attraverso il corredo di prescrizioni di cui possono essere dotate misure cautelari meno afflittive». Il Tribunale di Palermo, «dubitando della versione resa in sede di interrogatorio, ha sostenuto l’idoneità della misura più afflittiva».
Il «giudizio sulla gravità del fatto» non sarebbe «rispondente alle emergenze investigative».
Il giudizio sulla sussistenza dell’esigenza cautelare di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen. sarebbe «alimentato da suggestioni di tipo rieducativo ovvero di allarme sociale».
In conclusione, il Tribunale di Palermo si sarebbe «limitato a sostenere che la misura della custodia cautelare in carcere, oltre che adeguata alla natura ed al grado dell’esigenza cautelare, sia proporzionata all’elevata gravità del fatto». Tuttavia, anche sotto questo aspetto, l’ordinanza impugnata, «al di là di una mera clausola di stile, rimane imbrigliata all’interno di un circuito motivazional costruito esclusivamente intorno alla – postulata – personalità negativa della persona sottoposta alle indagini, mentre prescinde dai criteri dell’entità nel fatto contestato e della sanzione che si ritiene possa essere irrogata».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo non è consentito.
1.1. Occorre preliminarmente rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito che, «n tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828-01).
Tale orientamento, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi e al quale intende, perciò, dare continuità, è stato ribadito anche in pronunce più recenti della Corte di cassazione (tra le altre: Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460-01; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012-01).
Da ciò consegue che «Drinsussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito)» (tra le altre: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01).
1.2. Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve osservare che il Tribunale di Palermo ha ritenuto la sussistenza, in capo allo COGNOME, di gravi indizi di colpevolezza del delitto di tentata rapina pluriaggravata in concorso ai danni di NOME COGNOME NOME sulla base delle dichiarazioni che erano state rese dallo stesso COGNOME sia nell’immediatezza dei fatti alla polizia giudiziaria, sia nella denuncia del 16/04/2025, sia nelle sommarie informazioni del 23/04/2025, in quanto tutte quante sempre coerenti nel loro nucleo essenziale, secondo cui il coindagato COGNOME, dopo che gli si era avvicinato insieme allo NOME, gli aveva intimato di consegnargli quanto in suo possesso e lo aveva subito colpito con un pugno al volto, e lo NOME e lo COGNOME lo avevano poi inseguito, mentre egli scappava, a bordo di un monopattino condotto dallo COGNOME e sul quale viaggiava come passeggero lo COGNOME che impugnava un coltello, nonché sulla base delle dichiarazioni, che collimavano con quelle del NOME, che era state rese da NOME sempre il 16/04/2025.
Il Tribunale di Palermo ha anche evidenziato come le dichiarazioni del COGNOME e della COGNOME si dovessero ritenere trovare conferma: nelle prime indicazioni che erano state fornite al numero unico di emergenza (NUE) sia dal soggetto che il COGNOME NOME aveva incontrato dopo essere fuggito dai suoi aggressori, sia da COGNOME; nel tentativo dello NOME, alla vista della polizia giudiziaria, di darsi alla fuga; nel tentativo del coindagato COGNOME, all’atto del controllo da parte della polizia giudiziaria, di disfarsi di un coltello con il manic arancione che corrispondeva a quello che era stato descritto dal COGNOME; dal
rinvenimento, a opera della polizia giudiziaria, sulla strada che era stata percorsa dallo COGNOME e dallo COGNOME, di un bastone che era stato anch’esso indicato dal COGNOME come impugnato da uno dei suoi aggressori; dal rinvenimento, sulla persona dello COGNOME, di un secondo coltello; dalla constatazione, da parte della polizia giudiziaria, della lesione alla bocca del COGNOME NOME, cagionata dal pugno a lui inferto.
Il Tribunale del riesame ha ancora evidenziato come anche le immagini estrapolate dai sistemi di videosorveglianza installati sul luogo dei fatti restituissero, in modo chiaro, i momenti in cui il coindagato NOME aveva aggredito la persona offesa e, successivamente, si era posto all’inseguimento della stessa unitamente allo NOME, alla guida del monopattino, e agli altri complici.
I Giudici palermitani hanno infine anche chiarito come la non piena corrispondenza tra la descrizione degli accadimenti che era stata fatta dal COGNOME NOME nelle sue prime dichiarazioni e le menzionate immagini dei sistemi di videosorveglianza si dovesse attribuire, oltre che alla estrema brevità e concitazione dello svolgimento dei fatti, soprattutto, alla dirimente circostanza che, quando aveva presentato la propria denuncia, il COGNOME NOME non era stato assistito da un interprete, essendosi in seguito accertato, in occasione delle sommarie informazioni che erano state successivamente rese dallo stesso COGNOME – questa volta con l’assistenza di un interprete – il 23/04/2025, che la persona offesa «parla e/o comprende poco la lingua italiana».
Tale motivazione delle ragioni che hanno indotto il Tribunale di Palermo ad affermare la sussistenza, in capo allo COGNOME, di gravi indizi di colpevolezza del delitto di tentata rapina pluriaggravata in concorso ai danni di NOME COGNOME NOME si deve ritenere del tutto adeguata, risultando il frutto di una valutazione degli indicati elementi indizianti a carico dello stesso COGNOME priva di vizi logici, nonché in linea con i principi che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.
A fronte di ciò, il ricorrente: a) da un lato, non risulta essersi compiutamente confrontato con la stessa motivazione, con la conseguente a-specificità del motivo; b) dall’altro lato, ha avanzato delle censure che, pur investendo formalmente la motivazione dell’ordinanza impugnata, si risolvono in realtà nella prospettazione di una diversa valutazione degli elementi di prova già esaminati dal giudice di merito, il che, come si visto al punto 1.1, non è possibile fare in sede di legittimità.
2. Il secondo motivo: a) non è consentito, in quanto a-specifico, nella parte in cui, con esso, è contestato il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione delittuosa; b) è manifestamente infondato nella parte in cui, con esso, è contestato il vizio della motivazione con riguardo alla scelta della misura della custodia cautelare in carcere.
2.1. Con riguardo al pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede – esigenza cautelare che viene qui in rilievo – la Corte di cassazione ha chiarito che, in tema di misure cautelari personali, il pericolo di reiterazione del reato di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., deve essere non solo concreto – fondato cioè su elementi reali e non ipotetici – ma anche attuale, nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice (Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216-01).
Costituisce, inoltre, un principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui la pericolosità sociale, rilevante ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità del fatto e dalla personalità dell’indagato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali; è, pertanto, legittima l’attribuzione alle medesime modalità e circostanze del fatto di una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacità a delinquere, in quanto la condotta tenuta in occasione del reato costituisce un elemento specifico significativo per valutare la personalità dell’agente (Sez. 5, n. 49373 del 05/11/2004, COGNOME, Rv. 231276-01; Sez. 1, n. 6359 del 18/11/1999, COGNOME, Rv. 215337-01). Le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato, costituendo la condotta tenuta in occasione del reato un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell’agente (Sez. 1, n. 6359 del 18/11/1999, COGNOME, Rv. 215337-01, cit.).
Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve rilevare che il Tribunale di Palermo ha ritenuto la sussistenza del concreto e attuale pericolo che lo NOME commettesse gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o, comunque, delitti della stessa specie di quello per il quale si stava procedendo fondando tale prognosi sulla considerazione sia delle modalità del fatto, in quanto posto in essere con violenza fisica e con l’uso di un’arma e in quanto connotato da un pervicace atteggiamento intimidatorio, manifestatosi con l’inseguimento della persona offesa, sia della personalità dello NOME, quale era rivelata dal suo tentativo, alla vista delle forze dell’ordine, di fuggire. Il Tribunal di Palermo ha altresì argomentato che la dichiarata assenza di stabili fonti lecite di reddito induceva a ritenere che lo NOME traesse il proprio sostentamento dal compimento di azioni delittuose analoghe a quella per cui sì stava procedendo.
Tali gli elementi inducevano il Tribunale di Palermo a formulare, nonostante il rilevato stato di incensurato dello NOME, una prognosi positiva di ricaduta dello stesso nella commissione di delitti della stessa specie di quello per cui stava procedendo.
Ciò rilevato, si deve osservare che il ricorrente non risulta essersi compiutamente confrontato con tale motivazione, con la conseguente a-specificità del motivo.
2.2. Con riguardo alla scelta della misura della custodia cautelare in carcere, si deve rammentare che, secondo la Corte di cassazione, nella scelta discrezionale delle misure cautelari personali, l’art. 275 cod. proc. pen. impone al giudice di valutare se la misura che intende adottare sia idonea a soddisfare le specifiche esigenze di cautela ravvisate nel caso concreto. La discrezionalità del giudice, ancorché ampia, non è assoluta e la formulazione del giudizio di adeguatezza e proporzionalità della misura alle esigenze che si intendono soddisfare è incensurabile in sede di legittimità solo se sorretta da adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici (Sez. 6, n. 2995 del 20/07/1992, COGNOME, Rv. 192222-01).
La Corte di cassazione ha altresì statuito – affermando un principio che il Collegio, condividendolo, intende ribadire – che, in tema di misure cautelari personali, la valutazione in ordine alla “proporzionalità” della misura implica l’apprezzamento del “tipo” di recidiva che si intende contrastare, ovvero della gravità dei reati che si ritiene probabile possano essere nuovamente commessi, sicché quando si rileva il pericolo di reiterazione di reati caratterizzati da “violenza alla persona”, la misura degli arresti domiciliari può ritenersi proporzionata solo se, all’esito di un rigoroso esame della personalità dell’accusato, si ritenga abbattuto il rischio di violazione delle regole di auto-contenimento (Sez. 2, n. 797 del 03/12/2020, dep. 2021, Viti, Rv. 280470-01; Sez. 2, n. 19559 del 25/02/2020, Amico, Rv. 279475-01).
Rammentati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve rilevare che il Tribunale di Palermo, avendo ravvisato la gravità del “tipo” di recidiva che era necessario contrastare, cioè la gravità dei reati che aveva ritenuto probabile potessero essere nuovamente commessi dallo NOME, in quanto caratterizzati da violenza alla persona, e avendo esaminato la personalità dello stesso NOME, è pervenuto alla conclusione che il pericolo di reiterazione di delitti con violenza alla persona non fosse contenibile con misure cautelari rimesse all’autodisciplina del soggetto, qual è la misura degli arresti domiciliari, anche se con le procedure di controllo a distanza di cui all’art. 275-bis, comma 1, cod. proc. pen., atteso che tali procedure consentono di rilevare la violazione della prescrizione di non
allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti ma non di impedire la stessa violazione né di individuare il soggetto che l’abbia commessa.
Il Collegio reputa che, in tale modo, il Tribunale di Palermo abbia adeguatamente motivato, senza incorrere in vizi logici o giuridici, in ordine alla scelta della disposta misura della custodia cautelare in carcere, anche con riferimento alla proporzionalità di tale misura e all’inidoneità di quella degli arresti domiciliari con controllo elettronico, con la conseguente manifesta infondatezza del motivo nella parte ora in esame.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/10/2025.