Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20149 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20149 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Napoli il 24/01/1961
NOME nato a Napoli il 28/08/1988
avverso l’ordinanza del 12/12/2024 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ed NOME COGNOME a mezzo dei rispettivi difensori, propongono ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 12 dicembre 2024 con cui il Tribunale di Napoli ha rigettato il riesame avverso l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, in data 19 novembre 2024, ha disposto la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati rispettivamente ascritti (cessione illecita di sostanze stupefacenti per il COGNOME ed estorsione aggravata dal metodo mafioso per il Summa).
NOME COGNOME con il primo motivo di impugnazione, lamenta violazione degli artt. 275 e 275-bis cod. proc. pen. nonché carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’adeguatezza della sola misura intramuraria a contenere le ritenute esigenze cautelari.
Il giudice della cautela, pur riconoscendo il solo reato di “spaccio di droghe leggere” di cui al capo 12) dell’imputazione, avrebbe erroneamente applicato la custodia in carcere non tenendo conto delle condizioni di salute del ricorrente illustrate nel ricorso nonché della risalenza dell’ultimo precedente penale da cui risulta gravato il Luongo (anno 2010).
La motivazione impugnata sarebbe carente in quanto i giudici del riesame non avrebbero adeguatamente indicato le concrete e specifiche ragioni che renderebbero inidonee misure cautelari meno afflittive della custodia in carcere.
Il Tribunale, ignorando la richiesta difensiva di applicazione degli arresti domiciliari con il cd. braccialetto elettronico, avrebbe fondato il pericolo di recidiva esclusivamente “in considerazione della modalità delle azioni’ e, quindi, con riferimento ad un elemento fattuale “inidoneo a fungere da elemento preclusivo della verifica del grado delle esigenze cautelar!’ (vedi pagg. 3 e 4 del ricorso).
Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, eccepisce violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie attenuata di cui alla norma invocata dalla difesa, nonostante la mancata individuazione della qualità e del principio attivo presente nella sostanza stupefacente spacciata dal ricorrente.
I giudici del riesame avrebbero omesso di confrontarsi con quanto affermato nell’atto di riesame in ordine alla compatibilità tra la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e lo svolgimento, anche reiterato, di attività di spaccio inserita in una attività criminale organizzata.
NOME COGNOME con il primo motivo di ricorso, deduce violazione degli artt. 416bis.1 e 628, comma terzo, n. 1 cod. pen. nonché vizio della motivazione in ordine alla sussistenza delle aggravanti contestate in relazione al reato di estorsione di cui al capo 24).
La motivazione sarebbe manifestamente illogica e carente nella parte in cui ritiene sussistenti le aggravanti del metodo mafioso e delle persone riunite, senza tenere conto di quanto argomentato dalla difesa in ordine alla mancata individuazione dei soggetti estorti che avrebbe impedito di accertare le modalità di attuazione delle condotte ritenute estorsive.
Peraltro, il Tribunale avrebbe fondato il proprio convincimento sulle videoriprese del sistema di sorveglianza che riguarderebbero esclusivamente la condotta di tentata estorsione contestata al capo 25) con conseguente erroneità e manifesta illogicità della motivazione.
Con il secondo motivo di impugnazione si lamenta violazione degli artt. 56 e 629 cod. pen. nonché vizio della motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di tentata estorsione di cui al capo 25).
Il Tribunale avrebbe omesso di argomentare in ordine a quanto affermato dalla difesa sulla mancanza di elementi indiziari da cui desumere che la minaccia prospettata al dipendente dell’esercizio commerciale sia stata effettivamente riferita alla persona offesa dell’ipotizzata estorsione (il titolare del centro RAGIONE_SOCIALE sito in INDIRIZZO con conseguente non configurabilità della condotta tentata in esame.
La motivazione sarebbe, quindi, del tutto astratta e congetturale in ordine alla dimostrazione dell’idoneità delle condotte ipotizzate a perfezionare l’elemento materiale del reato di tentata estorsione.
Con il terzo motivo di ricorso il Summa contesta violazione degli artt. 275 e 275-bis cod. proc. pen. nonché carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all’adeguatezza della sola misura intramuraria a contenere le ritenute esigenze cautelari.
I giudici del riesame, limitandosi ad evidenziare genericamente la mancata dimostrazione della rescissione dei legami con il contesto oggetto di giudizio, non avrebbero confutato quanto sostenuto nell’atto di impugnazione in ordine all’idoneità della misura cautelare degli arresti domiciliari in altra regione, idoneità desumibile dal fatto che tale misura si sarebbe già rivelata idonea a recidere ogni rapporto con il contesto sociale di provenienza in occasione della precedente applicazione degli arresti domiciliari in altro procedimento.
I ricorsi sono inammissibili per le ragioni che seguono.
Il primo motivo del ricorso proposto dal COGNOME è aspecifico.
Il Tribunale, con motivazione adeguata ed esaustiva, ha correttamente affermato che la custodia cautelare, oltre ad essere proporzionata alla particolare gravità delle condotte delittuose, è l’unica misura idonea a tutelare le ritenute esigenze cautelari; appare ineccepibile in punto di logica quanto affermato dai giudici di merito in ordine alla inadeguatezza degli arresti domiciliari ad impedire la reiterazione di condotte delittuose della medesima specie.
In particolare, il provvedimento impugnato ha adeguatamente scrutinato i rilievi in questa sede riproposti, dando conto dell’inadeguatezza della misura auto detentiva alla luce della stabile “dedizione all’attività illecita”, dei consolidati rapporti con i clan camorristici attivi s territorio, dei precedenti specifici e della personalità del COGNOME, connotata da sprezzo delle regole, assenza di freni inibitori e peculiare inclinazione a delinquere, con conseguente impossibilità di confidare sulla spontanea adesione alla disciplina degli arresti domiciliari (vedi pag. 19 dell’ordinanza impugnata), valutazione supportata da una motivazione priva di criticità giustificative e, quindi, insuscettibile di rivisitazione in questa sede.
9. Il secondo motivo è aspecifico.
I giudici del riesame, con motivazione priva di errori logici e giuridici, hanno evidenziato come la fattispecie meno grave prevista dall’art. 73, comma 5, non potesse essere configurata, tenuto conto del contesto in cui i fatti in esame devono essere collocati, della sistematicità e continuità delle condotte illecite, dei profili di interferenza tra la portata di tal attività e l’esistenza di rapporti con circuiti criminali di stampo mafioso più ampi ed organizzati (vedi pagg. 12 e 13 dell’ordinanza impugnata). Il ricorso non si confronta adeguatamente con la valenza dimostrativa di tali specifici elementi con conseguente aspecificità della doglianza.
Il Tribunale, peraltro, ha dato seguito al principio di diritto secondo cui l’invocata fattispecie attenuata può essere riconosciuta solo in caso di minima offensività penale della condotta, caratteristica che, anche in assenza di una precisa individuazione del quantitativo e della qualità di sostanza stupefacente illecitamente detenuta, può esser esclusa in presenza di uno degli altri parametri richiamati espressamente dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 300/90 (mezzi, modalità e circostanze dell’azione); ne consegue che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti, come nel caso di specie, negativamente assorbente, ogni altra
considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez.3, n. 27064 del 19/03/2014, P.G. in proc. Fontana, Rv. 259664-01; Sez. 4, n. 50305 del 20/07/2018, P., Rv. 274001 -01).
Il primo motivo dedotto dal ricorrente NOME COGNOME è al contempo aspecifico e manifestamente infondato.
Il Tribunale, con motivazione priva di illogicità e conforme agli indizi raccolti, ha fondato la sussistenza delle aggravanti delle persone riunite e dell’uso del metodo mafioso sull’inequivocabile contenuto delle conversazioni intercettate, captazioni che -a giudizio dei giudici del riesame- attestano in modo inconfutabile il contemporaneo coinvolgimento di più soggetti attivi nella commissione delle condotte estorsive di cui al capo 24) ed il ricorso a modalità di azione, fondate su violenza e prevaricazione, evocative della particolare forza intimidatrice dei sodalizi di stampo mafioso attivi nel territorio (vedi pag. 15 e 16 dell’ordinanza impugnata), elementi con i quali il ricorso ha omesso di confrontarsi adeguatamente con conseguente difetto di specificità della doglianza.
11. Il secondo motivo è al contempo non consentito e manifestamente infondato.
Il Tribunale, con percorso argomentativo esaustivo, conforme alle risultanze investigative, privo di illogicità manifeste (vedi pag. 17 dell’ordinanza impugnata), ha indicato e correttamente valutato gli elementi indiziari ritenuti idonei a dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di tentata estorsione di cui al capo 25).
La complessiva ricostruzione del materiale indiziario esposta in motivazione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della coerenza, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
L’errore di impostazione nel quale cade il ricorrente è quello di far leva su elementi ipotetici e “negativi”, su considerazioni, cioè, generiche ed astratte; abbandonando il piano dell’esperienza fenomenica per privilegiare ipotesi alternative e ciò all’evidente scopo di tacciare di illogicità manifesta il governo dei fatti positivamente accertati e sollecitare una diversa interpretazione e valutazione del compendio indiziario.
Deve essere rimarcata, agli effetti della integrazione dello schema dogmatico della tentata estorsione, l’assoluta irrilevanza del fatto che, la minaccia sia stata rivolta non al diretto interessato (il titolare dell’esercizio commerciale Eurobet di Soccavo) ma ad un suo dipendente. La fattispecie tentata si è, infatti, perfezionata, con la comunicazione al lavoratore dipendente della minaccia, di natura mafiosa, anche in considerazione dell’assenza di elementi da cui desumere la mancata comunicazione alla persona offesa di tale intimidazione pervenuta al suo dipendente in tutta la sua ampia potenzialità e suggestiva capacità di evocazione ed intimidazione criminosa (Sez. 6, n. 27860 del 24/06/2009, COGNOME, Rv. 244426 – 01; Sez. 7, Ordinanza n. 22056 del 25/05/2022, Durante, non massimata; Sez. 2, n. 13951 del 30/01/2020, Cosimo, non massimata).
12. Il terzo motivo è aspecifico.
Il ricorrente non si è in alcun modo confrontato con quanto affermato dai giudici del riesame in ordine all’insussistenza di elementi logico-fattuali da cui desumere l’allontanamento del
COGNOME “dai contesti criminali organizzati” oggetto di indagine (vedi pag. 19 dell’ordinanza impugnata) con conseguente operatività della presunzione relativa di cui all’art. 275, comma
3, cod. proc. pen.
Ciò posto occorre ribadire che l’attualità del pericolo di recidiva, in tema di misura detentiva applicata nei confronti di indagato per delitto aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen., la
presunzione relativa di pericolosità sociale, di cui all’attuale dettato dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., può essere superata solo quando dagli elementi a disposizione del giudice
emerga che l’indagato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, occorrendo una prova rigorosa di un effettivo allontanamento dalle dinamiche
operative del sodalizio di stampo mafioso di riferimento e della conseguente dimostrazione di una situazione indicativa della assenza di esigenze cautelari (vedi Sez. 2, n. 7837 del
12/02/2021, COGNOME Rv. 280889-01; Sez. 2, n. 22086 del 19/04/2023, lnturrisi, non massimata), allontanamento indimostrato nel caso di specie.
13. All’inammissibilità dei ricorsi consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà degli indagati, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 2 aprile 202′.