Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23604 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23604 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CERIGNOLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/01/2024 del TRIB. LIBERTA’ di ANCONA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
1.COGNOME NOME, tramite il difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale della cautela di Ancona del 30.1.2024, reiettiva dell’istanza di riesame presentata avverso il provvedimento del 22 dicembre 2023, emesso dal G.i.p. presso il Tribunale di Ancona, con cui era stata applicata nei confronti del predetto la misura cautelare della custodia in carcere in ordine a nove reati di furto di autovetture, aggravati, realizzati (in concorso con altri soggetti) varie località delle Marche tra il 18 settembre ed il 16 ottobre 2023.
Lamenta, col primo motivo di ricorso, l’illogicità della motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla valutazione del pericolo di inquinamento probatorio, effettuata in maniera del tutto congetturale, non riscontrandosi nel caso di specie alcuna delle ipotesi in cui possa affermarsi che l’indagato ha dimostrato, con la propria condotta illecita o sulla base della personalità manifestata, di voler inquinare le prove. Il quadro indiziario è peraltro ampiamente cristallizzato, né è stata ravvisata alcuna esigenza investigativa legata
all’escussione dei soggetti fornitori delle autovetture noleggiate nei cui confronti si assume apoditticamente che l’indagato potrebbe assumere concreti comportamenti tesi ad inquinare le prove.
Col secondo motivo, deduce l’illogicità della motivazione in relazione all’affermato pericolo di reiterazione del reato ed alla ritenuta inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari. Il Tribunale ritiene carente la garanzia del rispet delle prescrizioni domiciliari nonostante non sussista alcun elemento da cui desumere un’astratta incapacità del prevenuto di responsabilizzarsi dinanzi a prescrizioni limitative della libertà personale, e ciò specialmente allorquando ci si trovi di fronte a un soggetto assolutamente incensurato e alla sua primissima esperienza detentiva. Valutati, dunque, lo stato di incensuratezza del ricorrente e il contesto nel quale è maturato e si è realizzato il proposito criminoso, non si comprende come una misura meno afflittiva, quale quella degli arresti domiciliari, da eseguirsi nel Comune di Cerignola distante circa 300 km dal luogo ove presumibilmente si sarebbero consumate le condotte contestate, non sarebbe sufficiente al fine di ritenere tutelata l’esigenza di cui all’articolo 274, comma lett. c) del codice di rito.
Il ricorso è stato trattato – ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d. I. n. del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 11, comma 7, d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla I. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 – senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.La completezza e logicità della motivazione dei provvedimento impugnato, non affetta da evidente vizio argomentativo, né da alcuna violazione dì legge, impone il rigetto del ricorso per essersi dedotte censure, nel loro complesso, infondate. In particolare, infondata risulta la censura di cui al primo motivo mentre è proprio inammissibile quella formulata col secondo motivo di ricorso.
Va, in proposito, rammentato che i limiti della cognizione della Corte di Cassazione, anche in relazione ai provvedimenti riguardanti l’applicazione di misure cautelari, sono individuabili nell’ambito della specifica previsione normativa contenuta nell’art. 606 cod. proc. pen., con la conseguenza che, qualora venga
denunciato il vizio di motivazione di un’ordinanza, tale vizio, per poter essere rilevato, deve assumere í connotati indicati nell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., cioè riferirsi alla mancanza della motivazione o alla sua manifesta illogicità (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, De Lorenzo, Rv. 199391). Donde, a partire dal menzionato autorevole arresto, questa Corte ha costantemente ritenuto che il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento cautelare personale è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisit 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine del provvedimento (Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, Merja, Rv. 248698).
Da tali massime di orientamento si desume che la verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla correttezza della motivazione non va confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, ne’ con la possibilità di formulare un giudizio, diverso da quello espresso dai giudici di merito, sull’intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori, anche sotto il profilo delle esigenze cautelari, dovendo il controllo in parola essere, invece, limitato alla congruità e coerenza delle valutazioni compiute: sicché esse si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento negativo di un procedimento induttivo contraddittorio o illogico, ovvero di un esame incompleto o impreciso (Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999 – dep. 08/02/2000, COGNOME, Rv. 215331; Sez. 1, n. 4491 del 03/07/1996, COGNOME, Rv. 205643); laddove, nel caso di specie, quanto al profilo del pericolo di recidivanza arginabile solo con la misura di massimo rigore, oggetto nuovamente di contestazione col secondo motivo di ricorso, la motivazione del provvedimento impugnato è tutt’altro che priva di coerenza, completezza e logicità.
Ed invero, il collegio territoriale afferma che, nel caso dì specie, non solo sussistono le dette esigenze cautelari per l’abitualità e attualità della condotta ma anche che esse non possono essere salvaguardate se non con la misura di massimo rigore della restrizione carceraria. Si evidenzia come tale misura di massimo rigore sia imposta dall’assoluta gravità delle condotte ascritte al ricorrente poste in essere in modo professionale ed organizzato in concorso con i correi nell’arco di un solo mese, agendo attraverso trasferte dettagliatamente pianificate con asportazione dei veicoli e rapida cessione a terzi per l’operazione di cannibalizzazione. Si evidenzia al contempo come in sede dì interrogatorio l’indagato non abbia offerto elementi in proprio favore né mostrato di voler segnare un distacco dall’ambiente in cui l’attività delittuosa è maturata,
aggiungendo che lo stesso, pur se formalmente incensurato, risulta, comunque, avere precedenti di polizia per violenza sessuale di gruppo ed essere privo di occupazione lavorativa stabile da cui trarre entrate lecite.
Indi, si conclude che, tenuto conto delle modalità dei fatti e della personalità dell’agente, va esclusa l’occasionalità della condotta criminosa dovendosi al contrario ritenere concreto, attuale ed elevato il rischio che il ricorrente, ove no sottoposto a vincoli, reiteri reati contro il patrimonio, e che la misura applica della custodia cautelare inframuraria, proporzionata alla gravità dei fatti contestati, appaia l’unica adeguata a fronteggiare il pericolo di recidiva; e ciò lo afferma, evidenziando come, da un lato, vincoli non detentivi risultino inefficaci a fronte di un’attività illecita gestita in modo professionale ed organizzato indicativ di una capacità a delinquere di spessore e come, d’altra parte, l’indagato non offra garanzia di uno spontaneo rispetto delle prescrizioni inerenti agli arresti domiciliar avendo dimostrato radicate scelte di vita improntate all’illegalità e risultando dunque probabile la violazione dei divieti imposti (con conseguente possibile sfruttamento dei contatti con l’esterno che gli consentirebbero di organizzare nuovi episodi criminosi).
Se è vero, poi, che nel sottolineare la necessità della misura restrittiva si sia fatto riferimento anche alla possibilità dell’inquinamento probatorio, è altrettanto vero che tale aspetto è stato evidenziato nell’ambito della valutazione complessiva della pericolosità del COGNOME e che allorquando si è trattato di valutar specificamente il profilo della sostituzione con la misura degli arresti domiciliari, Tribunale ha considerato ben altri aspetti, ponendo il pericolo di realizzazione da parte dello stesso di interferenze sulle acquisizioni investigative come ipotesi alternativa, non necessariamente cumulata a quella del pericolo di recidiva, valutato autonomamente e posto come fattore di per sé fondante la valutazione della necessità della custodia in carcere.
Ha in buona sostanza il Tribunale ritenuto che la custodia in carcere sia l’unica adeguata ad arginare la predetta esigenza cautelare non rinvenendosi nella personalità del ricorrente elemento alcuno da cui desumere capacità di autocontrollo e di spontaneo rispetto da parte del medesimo delle prescrizioni connaturate alla restrizione domiciliare, denotando, piuttosto, il suo pregresso una assoluta mancanza di autolimitazione; mancanza di autocontrollo, in altri termini, non ritenuta superabile con il profilo dell’incensuratezza tenuto conto dell’esistenza dì precedenti di polizia comunque allarmanti e delle parimenti allarmanti modalità di esecuzione delle condotte criminose ascritte nel presente procedimento.
Ed invero, la misura degli arresti domiciliari, anche se disposta con le modalità più stringenti e con strumenti elettronici di controllo, strumentazione che permette
solo il rilevamento della violazione della permanenza nel domicilio e non la localizzazione del soggetto, non è considerabile idonea di fronte a soggetti che hanno dimostrato notevole spregiudicatezza delinquenziale, che lungi dal qualificarsi come occasionale, si sia reiteratamente palesata anche in contesti diversi; di talché, al cospetto di un quadro così allarmante, le deduzioni difensive riguardanti la non necessità del carcere finiscono col risolversi anche in annotazioni in fatto estranee all’orizzonte cognitivo di questa Corte di legittimità.
In definitiva, le censure enucleate dal ricorrente manifestano la inammissibilità del secondo motivo inerente il pericolo di recidiva, che rimane la ragione principale fondante la scelta della restrizione carceraria; con la conseguenza che quanto argomentato col primo motivo, in disparte il tema della concretezza, che deve connotare il pericolo di inquinamento probatorio, non consente di superare in alcun modo gli esaustivi argomenti sviluppati in maniera completa e del tutto logica dal Tribunale nel valutare la necessità della misura coercitiva – che, si ripete, risulta imposta innanzitutto per il ravvisato concre pericolo di reiterazione del reato che ha costituito la ragione principale della scelt della misura da applicare.
Ne consegue che le doglianze formulate dal ricorrente quanto all’insussistenza dell’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, comma 1, lett. a), c.p.p., in presenz di una corretta valutazione da parte del Tribunale del riesame in ordine alla sussistenza dell’esigenza di cui all’articolo 274, comma 1, lettera c), c.p.p., non possono determinare l’annullamento del provvedimento impugnato per vizio di motivazione, essendo la cautela sorretta, oltre che dai gravi indizi di colpevolezza (incontroversi), anche da un’esigenza cautelare di per sé autosufficiente per giustificare la restrizione della libertà personale (in termini, cfr. Sez. 3, n. 15 del 16/04/2020, Rv. 278944 – 02).
Dalle superiori considerazioni discende il rigetto del ricorso cui consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 10/4/2024.