Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21172 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21172 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AMATO NOME NOME NOME BOLOGNA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/10/2023 del GIP TRIBUNALE di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del PG ASSUNTA COCOMELLO qrL : o-, a-LCOGNOME r COGNOME e. C Q:
ttclite il difensore , COGNOME f Q,NOME
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha applicato a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere in ordine al delitto di omicidio ai danni della suocera NOME COGNOME, aggravato dall’uso di sostanze venefiche, dalla premeditazione e dai motivi abietti e futili.
Avverso la summenzionata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 311, comma 2, cod. proc. pen., tramite i propri difensori di fiducia, NOME COGNOME, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza.
2.1. Con il primo motivo di impugnazione lamenta violazione degli artt. 195 e 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 275, comma 3, e 275-bis cod. proc. pen. per assenza di motivazione sulla più blanda misura degli arresti domiciliari con il dispositivo di controllo.
2.2. Col secondo motivo di ricorso deduce violazione del medesimo combiNOME disposto normativo, per mancanza di motivazione in relazione all’adeguatezza e omessa considerazione di elementi favorevoli all’imputato.
Rileva il difensore che il G.i.p. non ha valorizzato gli elementi esposti dalla difesa a riprova dell’adeguatezza di misure diverse e, quindi, tali da vincere la presunzione relativa, in ragione del titolo di reato, di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
Osserva che non sono state prese in considerazione le risultanze investigative e difensive in ordine alla natura e alla peculiarità del rapporto con NOME COGNOME, elemento fondamentale nell’ottica del Giudice che ha disposto la misura ai fini della valutazione della sua idoneità. In particolare, risultano trascurate le chat tra NOME e la donna, da cui emerge l’attualità dell’intenso e affettuoso rapporto del primo con quest’ultima fino al momento della cattura, con naturale alternarsi di alti e bassi, e l’assenza di qualunque forma di violenza psicologica e fisica nei confronti della donna.
Aggiunge che nessun rilievo è stato dato alla sospensione del rapporto di lavoro con l’azienda RAGIONE_SOCIALE e alla conseguente impossibilità per COGNOME di accedere a luoghi in cui vi sia libera
1
disponibilità di sostanze come quelle attraverso le quali si ritiene siano state realizzate le condotte che qui occupano.
Sottolinea che nessun cenno viene fatto alla più volte manifestata disponibilità, in atti documentata, del fratello di NOME ad accoglierlo ai domiciliari in Riccione, a distanza di oltre 100 chilometri dal fulcro della vita e degli affetti dell’indagato.
Lamenta che, comunque, vi è stata la totale pretermissione di un’esplicita motivazione sull’impossibilità di scongiurare il pericolo di recidiva attraverso una misura diversa da quella maggiormente afflittiva.
2.3. Col terzo motivo di impugnazione la difesa denuncia violazione delle suddette norme in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen. nonostante il tempo trascorso.
Il RAGIONE_SOCIALE.i.p. avrebbe omesso di motivare in ordine al c.d. “tempo silente”.
2.4. Col quarto motivo di ricorso si deduce violazione delle norme summenzionate per mancanza di motivazione in punto di sussistenza delle esigenze cautelari.
Non sarebbe chiaro, secondo la difesa, quali siano le esigenze cautelari a fondamento della misura custodiale, facendosi nel provvedimento impugNOME riferimento alle esigenze cautelari sottese all’adozione dell’originaria misura, mentre in sede di riesame di dette esigenze risulta avere trovato conferma solo il pericolo di recidiva, venendo invece escluso il pericolo di inquinamento probatorio. Lamenta la difesa che l’ordinanza non individua i possibili delitti che verrebbero in rilievo in quanto potenzialmente perpetrabili.
2.5. Con il quinto motivo di impugnazione si rileva violazione dell’art. 292, comma 2-ter cod. proc. pen., per mancanza di motivazione in punto di valutazione degli elementi a favore dell’imputato emersi dall’analisi degli apparecchi elettronici in uso allo stesso e in particolare dalle chat tra NOME e NOME COGNOME.
Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. n. 137 del 2020, il Sostituto AVV_NOTAIO generale presso questa Corte, AVV_NOTAIO, conclude, con requisitoria scritta, per la declaratoria di inammissibilità del ricorso; l’AVV_NOTAIO, per l’imputato, presenta motivi nuovi, nei quali insiste sull’assenza di motivazione in punto di esigenze cautelarì e in particolare di pericolo
2
concreto e attuale di reiterazione del reato e, quindi, chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Va, preliminarmente, osservato che il ricorso per cassazione diretto, ai sensi dell’art. 311, comma 2, cod. proc. pen., contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva può essere proposto solo per violazione di legge e, quindi, per assenza e/o apparenza motivazionale.
Orbene, il provvedimento impugNOME non incorre in alcuna assenza e/o apparenza motivazionale.
Né con riguardo all’adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere e all’inadeguatezza degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Né in relazione al confronto con gli elementi dedotti dalla difesa, anche in relazione al rapporto dell’indagato con NOME COGNOME.
Né quanto alle esigenze cautelari e in particolare al pericolo di recidiva.
L’ordinanza in esame, diversamente da quanto lamentato dal ricorrente, offre adeguata e logica motivazione, esplicita o implicita, in merito a tutti gli aspetti oggetto di censura.
Evidenzia, in primo luogo, come non si tratti di fatto isolato, quanto piuttosto collegato all’altro omicidio ascritto all’indagato, relativo all’omicidio della moglie, realizzato con identici mezzi (sostanze venefiche) e per le stesse ragioni, in relazione al quale risulta essere stato affermato con giudicato cautelare il grave pericolo di recidiva (come riconosciuto dallo stesso ricorrente).
Sottolinea a tale riguardo che: – deve prendersi atto che COGNOME per le ragioni sentimentali ed economiche indicate nella prima ordinanza cautelare e ribadite nella richiesta del P.m. (volendo, invero, impossessarsi del patrimonio immobiliare della famiglia della moglie e proseguire la relazione extraconiugale intrapresa con NOME COGNOME), ha non solo premeditato e cagioNOME la morte della moglie NOME, ma alcuni giorni prima ha fatto lo stesso con la suocera NOME COGNOME; – tale circostanza, oltre a rafforzare il movente economico del suo complessivo piano, pare rappresentare una sorta di “prova generale” prima dell’omicidio che probabilmente gli stava più a cuore; – ciò posto,
non si vede come possano non ritenersi ancora attuali e anzi ancora più fondate le valutazioni in punto di esigenze cautelari sottese all’adozione dell’originaria misura, condivise dal Tribunale del riesame ancora nell’agosto 2023.
Rileva che la personalità di COGNOME, capace di progettare e poi commettere ben due omicidi di altrettante persone care per i propri edonistici fini, se già era valutabile in maniera negativa alla luce delle prime risultanze investigative che hanno fondato il primo provvedimento di cattura, «si disvela oggi per un’ancor più cinica e spregiudicata indole criminale».
Aggiunge che: – non può sostenersi che la notorietà assunta dalla vicenda di COGNOME è tale da renderlo inoffensivo; – va, di contro, sottolineato come proprio la disperazione per l’onta pubblica e, ancor di più, per la pena di massimo rigore che gli si profila davanti, in uno ai sentimenti di livore e rabbia verso la donna che a suo dire ha tradito l’eterno amore che si erano promessi (e che con ogni probabilità continuerà ossessivamente a cercare anche per continuare a professarle la propria innocenza), costituisce una misura esplosiva che nessuna misura cautelare di tipo fiduciario pare in grado di contenere; – non rileva affatto, in ordine ai fini del provvedimento, l’attuale stato di detenzione dell’indagato, attesa l’autonomia dei due titoli, potendo quello già in atti venir meno per circostanze del tutto imponderabili in questa sede; – va, dunque, applicata la custodia cautelare in carcere.
Tale essendo l’iter argomentativo dell’ordinanza impugnata è del tutto evidente che non può parlarsi di assenza motivazionale circa l’adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere e l’inadeguatezza di ogni altra misura, a fronte peraltro della doppia presunzione relativa ex art. 275, comma 3, ultima parte cod. proc. pen. operante quando si procede cautelarmente per omicidio (dell’adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere e della sussistenza delle esigenze cautelari); omicidio, che, nel caso in esame, è precedente ad altro (quello della moglie) del medesimo tipo e con le medesime finalità, essendo, quindi, il pericolo di recidiva, già ritenuto e ribadito in sede di riesame per quest’ultimo, in re ipsa.
Infondata è la censura riguardante il tempo trascorso, posto che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre chiarito che tale circostanza non è idonea da sola ad affievolire le esigenze cautelari (si veda, per tutte, Sez. 4, n. 5700 del 02/02/2016, COGNOME, Rv. 265949, secondo
4
cui, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, ai fini della valutazione della attualità del pericolo di reiterazione di reati non è sufficiente fare riferimento al tempo trascorso dal fatto contestato, dovendosi, altresì, valutare le peculiarità dell’intera vicenda cautelare: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto persistente il pericolo di recidiva in considerazione delle gravi e numerose fattispecie criminose contestate a fronte dell’assenza di elementi idonei a mutare il quadro cautelare), specie nei reati assistiti dalla presunzione semplice di cui si è detto; e posto che non può non considerarsi che nel tempo (peraltro brevissimo) intercorso tra il delitto per il quale è stata disposta la misura cautelare e la sua effettiva applicazione il ricorrente ne ha commesso un altro.
Neppure colgono nel segno le censure riguardanti la valutazione sul rapporto tra l’imputato e la sua ex amante COGNOME, avanzate dalla difesa, inidonee in concreto a scalfire il giudizio sulle esigenze cautelari, fondato, a prescindere dal movente sentimentale, su molteplici elementi, tra cui il movente economico, la gravità dei fatti, la reiterazione dei delitti, la personalità dell’autore dei medesimi alla luce dell’estrema e lucida capacità organizzativa di efferati delitti e la sua cinica e spregiudicata capacità criminale, non altrimenti contenibili se non con la massima misura cautelare, come esplicitamente evidenziato dal provvedimento impugNOME.
A tale ultimo riguardo risulta, altresì, infondata la doglianza sull’assenza di motivazione circa l’inidoneità degli arresti domiciliari con strumento elettronico di controllo. Se è vero che in tema di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, a seguito della riforma introdotta dalla legge n. 47 del 2015, ove non si sia al cospetto di una delle ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza, il giudice deve sempre motivare sulla inidoneità della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico (Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266651), è anche vero che il complessivo giudizio sulla necessità della misura cautelare in carcere e sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo di reiterazione criminosa, per la sua natura assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sull’impossibilità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc. pen. (si vedano Sez. 2, n. 31572 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270463 e Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, COGNOME, Rv. 277762). Ne consegue che anche le dedotte
5
circostanze della sospensione del rapporto di lavoro dell’indagato e della disponibilità del fratello del medesimo di accoglierlo agli arresti domiciliari nella propria abitazione ben distante dal luogo dei fatti, che i difensori assumono essere state pretermesse, costituiscono profili senza dubbio assorbiti dalla motivazione sulla sola adeguatezza della massima misura cautelare. Adeguatezza, che posta dal giudice della cautela in relazione al giudizio di inaffidabilità personale dell’indagato, costituisce esplicazione di una coerente valutazione di merito immune da vizi logico-giuridici, che resiste allo scrutinio di legittimità.
Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non derivando dalla presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente deve disporsi – ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’imputato trovasi ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2024.