Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12433 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12433 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato in Cina il 06/11/1981
avverso l’ordinanza del 12/11/2024 del Tribunale di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12/11/2024, il Tribunale di Ancona rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 16/09/2024 con la quale il G.i.p. del Tribunale di Macerata aveva disposto, nei confronti dello stesso COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere per essere egli gravemente indiziato del reato di promozione e organizzazione di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più reati tributari e di reati di riciclaggio, oltre che di avere concorso in alcuni dei reati-fine della stess associazione, e in relazione alle esigenze cautelari di cui alle lett. a), b) e c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen. (l’esigenza cautelare di cui alla lett. a veniva peraltro esclusa dal Tribunale di Ancona).
Avverso tale ordinanza del 12/11/2024 del Tribunale di Ancona, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dei propri difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 275, commi 1, 3 e 3-bis, e 292, comma 2, lett. c-bis), dello stesso codice, e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione in ordine alla ritenuta inidoneità della misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275-bis, comma 1, cod. proc. pen., nonché alla ritenuta inadeguatezza delle altre misure diverse dalla custodia cautelare in carcere, atteso che, nella specie, le eventuali esigenze cautelari si sarebbero dovute ritenere tutelabili con la suddetta misura degli arresti domiciliari anche con l’utilizzo del cosiddetto braccialetto elettronico «e l’impugnata ordinanza nulla dice al riguardo non motivando il diniego».
Dopo avere affermato che il G.i.p. del Tribunale di Macerata nulla avrebbe detto in ordine alle specifiche ragioni dell’inidoneità della misura degli arresti domiciliari con il cosiddetto braccialetto elettronico, lo Zhang contesta che l’orientamento della giurisprudenza di legittimità richiamato dal Tribunale di Ancona secondo cui il giudizio di adeguatezza della sola custodia inframuraría costituirebbe pronuncia implicita in ordine all’inidoneità della misura degli arresti domiciliari pur con l’utilizzo del braccialetto elettronico presupporrebbe pur sempre, atteso anche il chiaro tenore letterale degli artt. 275, comma 3-bis, e 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., una valutazione – che, nella specie, sarebbe assente – «anche con riferimento alla prognosi di spontaneo adempimento da parte dell’indagato degli obblighi e delle prescrizioni che a detta misura cautelare siano eventualmente collegati, alla stregua di un giudizio prognostico fondato su elementi specifici inerenti al fatto, alle motivazioni di esso ed alla personalità dell’indagato».
Il ricorrente rappresenta che il G.i.p. del Tribunale di Macerata era giunto alla conclusione dell’inidoneità della misura degli arresti domiciliari con la motivazione «tenuto conto, in particolare, del fatto che la residenza di Zhang è uno dei luoghi per la custodia del denaro usato per il riciclaggio», la quale motivazione, tuttavia, come era stato evidenziato nella memoria difensiva, aveva confuso la residenza dello Zhang con uno dei luoghi utilizzati per la custodia del suddetto denaro, con la conseguenza che, «nella misura in cui RAGIONE_SOCIALE di Macerata ha condotto una valutazione di inidoneità su un immobile che non corrisponde al luogo in cui l’indagato avrebbe dovuto scontare la misura degli arresti domiciliari, l’ordinanza custodiale è priva di motivazione e dunque affetta da un’insanabile nullità ex art.
292, comma 2°, lett. c-bis) c.p.p., in relazione all’art. 275, commi 3 e 3-bis, c.p.p.».
Secondo il ricorrente, tale «vizio genetico» dell’ordinanza applicativa della misura non potrebbe ritenersi sanato dalla motivazione del Tribunale di Ancona che figura nell’ultimo paragrafo della pag. 5 e nei primi due paragrafi della pag. 6 dell’ordinanza impugnata, atteso che tale motivazione giustificherebbe l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere in modo apparente e, perciò, mancante, giacché, nei menzionati paragrafi, il Tribunale di Ancona non avrebbe «realmente motivato» in ordine alla necessità di disporre la custodia in carcere né avrebbe spiegato le ragioni per cui la misura degli arresti domiciliari, corredata da rigorosi «obblighi accessori» e dall’impiego di strumenti di controllo a distanza, sarebbe stata inadeguata a tutelare le ritenute esigenze cautelari.
Sempre ad avviso dello Zhang, il Tribunale di Ancona si sarebbe limitato a operare un generico e apodittico riferimento a una sua presunta incapacità di autocontrollo/auto-custodia, ipotizzando che egli, qualora fosse stato ristretto nel proprio domicilio, avrebbe continuato a dirigere l’attività criminosa, in tale modo finendo tuttavia con l’utilizzare impropriamente il regime speciale delle presunzioni che è previsto dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. – «per le quali non occorre alcun particolare rigore motivazionale al fine di escludere la capacità dell’indagato di osservare disciplinatamente le prescrizioni» -, laddove, per i reati per i quali, come quelli qui contestati, non vige il suddetto regime speciale, «l’apprezzamento in ordine alla inidoneità della cautela domiciliare, anche eventualmente con controllo a distanza, deve far leva sulle specifiche ragioni in base alle quali ritenere l’inadeguatezza di ogni affidamento fiduciario (valutazione, nella specie, mancante), tanto da rendere necessaria la custodia in carcere alla luce di un’esplicita valutazione, parimenti mancante e non formulabile in maniera apodittica come risulta dal testo dell’ordinanza impugnata, in ordine alla esclusiva idoneità della cautela intramuraria».
Il ricorrente aggiunge che costituirebbe riprova del denunciato vizio motivazionale, anche sub specie del carattere apodittico della motivazione, nonché della violazione del principio di adeguatezza il rilievo di come «situazioni assolutamente simili ricevano trattamenti cautelari immotivatamente diversi».
A tale proposito, lo COGNOME rappresenta come il G.i.p. del Tribunale di Macerata – avendo individuato nello stesso COGNOME uno dei tre organizzatori dell’associazione per delinquere unitamente a NOME e a NOME COGNOME -, nonostante l’attività criminosa contestata a quest’ultima si potesse reiterare anche stando a casa, in assenza di circostanze dimostrative della sua incapacità di autocontrollo avesse giustamente valutato l’idoneità della misura degli arresti domiciliari con il cosiddetto braccialetto elettronico e con il divieto di comunicare con persone
diverse da quelle con lei conviventi. Il che tradirebbe anche la fallacia/contraddittorietà dell’argomentazione del Tribunale di Ancona fondata sul fatto che «la condotta penalmente rilevante si estrinseca in un’attività imprenditoriale e gestoria, pressoché integralmente esercitabile on-line o per via telefonica».
Non coglierebbe, infine, nel segno neppure l’affermazione del Tribunale di Ancona in ordine all’inidoneità della misura degli arresti domiciliari per «essere familiari conviventi due partecipi dell’associazione, figli dell’indagato», atteso che le indagini preliminari avevano accertato che i figli del ricorrente NOME COGNOME e NOME COGNOME erano solo formalmente residenti in Corridonia, INDIRIZZO ma dimoravano stabilmente presso il casolare sito sempre in Corridonia in INDIRIZZO San Marino, n. 16/B, dovendosi aggiungere che «il dato formale sarebbe facilmente superabile con la prescrizione specifica del divieto di coabitazione con i due figli che, quindi, continuerebbero a vivere presso il casolare».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la «carenza» e la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen. e alla ritenuta inidoneità della misura degli arresti domiciliari con il cosiddetto braccialetto elettronico a soddisfare tale esigenza. Vizio che si tradurrebbe anche, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., nella violazione e nell’inosservanza degli artt. 274, comma 1, lett. b), e 275, commi 3 e 3-bis, cod. proc. pen.
Lo COGNOME lamenta anzitutto la mancanza della motivazione con riguardo all’inidoneità della misura degli arresti domiciliari eventualmente con il cosiddetto braccialetto elettronico a soddisfare la ravvisata esigenza cautelare di cui alla lett. b) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen.
Il ricorrente contesta in secondo luogo che il pericolo che egli si desse alla fuga sarebbe stato desunto da elementi inconferenti (quelli che sono stati indicati dal Tribunale di Ancona negli ultimi due paragrafi della pag. 6 e nel primo paragrafo della pag. 7 della sentenza impugnata) e sostanzialmente riproponendo i medesimi elementi che erano stati al riguardo valorizzati nell’ordinanza genetica, senza fornire alcuna motivazione in ordine alle ragioni per le quali gli argomenti, ai quali il ricorrente fa rinvio, che erano stati prospettati dalla difesa al fine dimostrare l’irrilevanza degli stessi elementi non fossero meritevoli di accoglimento.
Lo COGNOME deduce che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, l’evenienza del radicamento o collegamento con l’estero del soggetto non sarebbe sufficiente a sostanziare il pericolo di fuga «perché priva di concretezza», atteso
che sarebbe «imprescindibile che vi siano elementi indicativi della volontà dell’indagato di sottrarsi alla giustizia, che non possono essere evinti da una sua particolare condizione soggettiva preesistente, senza condotte concrete cui ancorarsi».
Il Tribunale di Ancona si sarebbe invece «limitato a evidenziare un profilo “statico”, senza indicare dati realmente concreti circa la volontà dell’indagato di allontanarsi».
Lo COGNOME contesta poi specificamente che lo stesso Tribunale di Ancona avrebbe, in modo manifestamente illogico, valorizzato la circostanza del suo radicamento nel territorio italiano al fine di ritenere la sussistenza dell’esigenza cautelare in considerazione e non avrebbe spiegato cosa lo avesse logicamente indotto a ritenere – a fronte peraltro del fatto che i suoi tre figli erano tutti na Italia e che due di essi studiavano in università italiane -, «oltremodo agevole» un «ulteriore trasferimento dell’intero nucleo familiare», tanto più considerando che il G.i.p. del Tribunale di Macerata aveva escluso la sussistenza del pericolo di fuga da parte dei figli NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione, per la «carenza intrinseca» della stessa, con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare, di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen., del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per i quali si stava procedendo. Vizio che si tradurrebbe anche, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., nella violazione e nell’inosservanza dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
Lo COGNOME lamenta che, anche con riguardo all’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per i quali si stava procedendo, il Tribunale di Ancona avrebbe omesso il «confronto con il motivo di riesame proposto dalla difesa», così fornendo una motivazione apparente e, quindi, mancante.
Il ricorrente contesta che lo stesso Tribunale di Ancona si sarebbe limitato a richiamare i medesimi elementi che erano stati indicati dal G.i.p. del Tribunale di Macerata a sostegno della concretezza del suddetto pericolo di reiterazione dei reati, senza considerare che l’altro necessario requisito dello stesso pericolo costituito dall’attualità di esso «richiede una valutazione prognostica in ordine alla continuità del periculum libertatis», valutazione che deve essere compiutamente motivata.
Secondo lo COGNOME, il Tribunale di Ancona avrebbe ancorato l’attualità del pericolo «alla flagranza del reato, cioè, alla circostanza per cui – prima dell’esecuzione delle misure cautelari reali e personali, nonché prima che gli indagati avessero contezza dell’esistenza di un’indagine a loro carico – le attività
criminali erano in corso», ragionamento che, tuttavia, non conterrebbe «alcun serio giudizio probabilistico in ordine alla possibilità che l’indagato torni delinquere qualora se ne presenti l’occasione».
Lo Zhang contesta ancora che non coglierebbero nel segno né il riferimento all’«individuazione di ulteriori e nuove p.i. necessarie a proseguire nell’attività» atteso che tali partite IVA erano relative a società i cui beni erano stati sequestrati e che l’Agenzia delle entrate ne aveva chiesto la cancellazione -, né il richiamo alle attività di polizia giudiziaria, giacché esse avevano «a oggetto l’osservazione di condotte poste in essere in epoca antecedente all’emissione della misura cautelare».
Ne discenderebbe il carattere apodittico dell’affermazione conclusiva del Tribunale di Ancona secondo cui gli elementi da esso valorizzati «inducono a ritenere altamente probabile se non certa la prosecuzione dell’attività criminale qualora non vi fossero misure personali atte a contenere tale pericolo, a prescindere dalla posizione di vincoli reali», atteso che si tratterebbe di un giudizio «disancorato da valutazioni probabilistiche e impermeabile a qualsiasi ipotesi di critica nella sua espressione assolutistica, pertanto, inidoneo fondare un valido vaglio sull’attualità del pericolo di reiterazione del reato».
CONSIDERATO IN DIRITTO
In ordine logico, prima di quelle che attengono alla scelta della misura, devono essere anzitutto esaminate le doglianze che attengono alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
In particolare, per ragioni di comodità espositiva che diverranno in seguito chiare, si ritiene di cominciare dallo scrutinio delle doglianze che attengono alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quelli per i quali si stava procedendo (lett. c del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen.) e, quindi, dalle doglianze che sono state avanzate dal ricorrente con il terzo motivo di ricorso.
Tale motivo è per una parte non consentito e nel resto manifestamente infondato.
2.1. Esso non è consentito nella parte in cui il ricorrente lamenta che il Tribunale di Ancona avrebbe omesso il «confronto con il motivo di riesame proposto dalla difesa», atteso che lo Zhang non ha in alcun modo indicato quali sarebbero state le doglianze, che aveva prospettato con la sua richiesta di riesame, con le quali il Tribunale di Ancona avrebbe omesso di confrontarsi, nonché quale sarebbe stata la significatività delle stesse doglianze rispetto al tema in considerazione, con la conseguenza che tale parte del motivo risulta del tutto generica e, perciò, non consentita.
2.2. Il motivo è, nel resto, manifestamente infondato.
Il Tribunale di Ancona ha desunto il ritenuto pericolo di recidiva, essenzialmente, più in generale, dalla gravità della condotta dello Zhang, a proposito della quale va ribadito che l’ultimo periodo della lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen., periodo aggiunto dall’art. 2, comma 1, lett. c), della legge 16 aprile 2015, n. 47, impedisce di desumere il pericolo di reiterazione dalla sola gravità del «titolo di reato», astrattamente considerato, ma non già dalla valutazione della gravità del fatto nelle sue concrete manifestazioni, in quanto le modalità e le circostanze del fatto restano elementi imprescindibili di valutazione che, investendo l’analisi di comportamenti concreti, servono a comprendere se la condotta illecita sia occasionale o si collochi in un più ampio sistema di vita, ovvero se la stessa sia sintomatica di un’incapacità del soggetto di autolimitarsi nella commissione di ulteriori condotte criminose (Sez. 5, n. 49038 del 14/06/2017, Rv. 271522-01, COGNOME; Sez. 1, n. 37839 del 02/03/2016, COGNOME, Rv. 267798-01; Sez. 1, n. 45659 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 265168-01).
Inoltre, secondo la prevalente e più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, che è condivisa dal Collegio, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato – sul quale si appuntano, essenzialmente, le doglianze del ricorrente – sussiste a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive e immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell’indagato, essendo necessario e sufficiente formulare una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891-01; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 28276701; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991-01; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769-01; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020, Barletta, dep. 2021, Rv. 280566-01; Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, COGNOME, Rv. 279122-01).
Nel caso in esame, il Tribunale di Ancona ha evidenziato, da un lato, come lo Zhang avesse promosso un traffico di considerevole entità, organizzandolo ed esercitando la correlativa attività criminosa in maniera professionale, tanto che la stessa attività costituiva per l’indagato un vero e proprio lavoro, dall’altro lato come gli inquirenti avessero individuato ulteriori partite IVA che potevano consentire di proseguire la stessa attività, il che si doveva reputare comprovare l’effettiva e attuale alta probabilità della commissione di condotte reiterative di illeciti similari a quelli per i quali si stava procedendo.
Tale motivazione, in quanto non integra alcuna violazione di norme di legge, alla luce anche dei ricordati principi affermati dalla Corte di cassazione nella materia, e in quanto tutt’altro apodittica – atteso che, come si è visto, risulta a contrario ancorata a ben precisi elementi che hanno costituito il fondamento del giudizio prognostico formulato dal Tribunale di Ancona – e altresì priva dì illogicità, tanto meno manifeste, si sottrae a censure in questa sede di legittimità. In particolare, a quelle che sono state prospettate dal ricorrente, atteso che: il giudizio sia di concretezza sia di attualità del pericolo di recidiva, diversamente da quanto mostra di ritenere lo Zhang, ben può essere fondato sull’analisi di condotte antecedenti all’emissione della misura cautelare; l’elemento dell’individuazione, da parte degli inquirenti, «di ulteriori e nuove p. iva necessarie a proseguire nell’attività», appare in tutta evidenza dimostrativo della pervicacia nel crimine e della facilità di procurarsi gli strumenti necessari per commetterlo.
Passando, sempre in ordine logico, a scrutinare il secondo motivo, esso risulta inammissibile per carenza di interesse.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno da tempo chiarito che, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse a impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693-01).
Pertanto, l’interesse che è richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Timpani, Rv. 203093-01. Successivamente, nello stesso senso: Sez. 6, n. 17686 del 07/04/2016, Conte, Rv. 267172-01; Sez. 2, n. 25715 del 28/05/2004, Fasano, Rv. 229724-01).
Da ciò consegue come il ricorrente non si possa ritenere avere un concreto e attuale interesse a contestare l’ordinanza impugnata nella parte di essa che è relativa all’affermazione della sussistenza dell’ulteriore (rispetto a quella del pericolo di commissione di delitti della stessa specie) esigenza di cautela costituita dal pericolo di fuga, atteso che, anche qualora l’apparato argomentativo della
stessa ordinanza in ordine a tale ulteriore esigenza cautelare si dovesse ritenere viziato, l’effetto rescindente su tale punto non comporterebbe, comunque, il venir meno dell’applicata misura cautelare, essendo stata riconosciuta la sussistenza dell’altro bisogno di cautela connesso al rischio di recidiva.
Tale soluzione è conforme al costante orientamento della Corte di cassazione, la quale, con riguardo a casi analoghi a quello che viene qui in rilievo, ha affermato il principio secondo cui, in tema di misure cautelari personali, quando il giudice ha fondato la misura su più di una delle esigenze previste dall’art. 274 cod. proc. pen., poiché ciascuna di esse ha rilievo autonomo e anche alternativo, sono sforniti di interesse quei motivi di gravame che investono una delle esigenze cautelari nell’accertata sussistenza di un’altra. Infatti, in tale situazione, l’eventual apprezzamento favorevole della doglianza su una delle esigenze non condurrebbe a un effetto liberatorio a causa della permanenza dell’altra (Sez. 6, n. 7200 del 08/02/2013, COGNOME, Rv. 254506-01; Sez. 1, n. 480 del 28/01/1998, COGNOME, Rv. 211117-01; Sez. 6, n. 3091 del 25/08/1992, COGNOME, Rv. 191777-01).
4. Venendo, infine, al primo motivo, il quale investe la ritenuta inadeguatezza, rispetto al soddisfacimento delle esigenze cautelari, di misure diverse dalla custodia cautelare in carcere e, in particolare, della misura degli arresti domiciliari, anche con l’utilizzo del cosiddetto braccialetto elettronico, si deve anzitutto rilevare che, diversamente da quanto è stato sostenuto dal ricorrente, l’ordinanza genetica conteneva l’esposizione delle ragioni per le quali il G.i.p. del Tribunale di Macerata aveva ritenuto che le esigenze cautelari non potessero essere soddisfatte con misure diverse dalla custodia inframuraria.
Tali ragioni non consistevano esclusivamente nella considerazione, citata dal ricorrente, fondata sull’erroneamente ritenuta coincidenza tra l’abitazione dello Zhang e il luogo in cui era stato custodito il denaro utilizzato per il riciclaggio atteso che, come è stato evidenziato dal Tribunale di Ancona (alla pag. 5 dell’ordinanza impugnata), il G.i.p. del Tribunale di Macerata aveva sì aggiunto la suddetta erronea considerazione ma aveva precedentemente motivato l’inidoneità delle misure diverse dalla custodia in carcere con riguardo alle specifiche modalità delle condotte delittuose e allo specifico ruolo che vi aveva svolto lo Zhang, elementi i quali, essenzialmente, come è stato rappresentato dal Tribunale di Ancona, si dovevano ritenere evidenziare una pericolosità dell’indagato che non poteva essere fronteggiata con misure diverse da quella carceraria.
Non ci si trovava, pertanto, di fronte a una motivazione mancante e neppure meramente apparente che non potesse quindi essere integrata dal Tribunale del riesame.
Sempre in proposito, si deve anche ribadire il principio, che è stato affermato dalla Corte di cassazione e che è condiviso dal Collegio, secondo cui l’ordinanza
applicativa della custodia cautelare in carcere che non specifichi le ragioni di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari con controllo elettronico, può essere integrata dall’ordinanza che decide sulla richiesta di riesame, sia perché l’indicazione di tali ragioni non è prevista tra i requisiti essenziali dell’ordinanz indicati, a pena di nullità, dall’art. 292 cod. proc. pen., sia perché l’articolo 27 cod. proc. pen., nel prevedere l’onere motivazionale aggiuntivo, non indica alcuna sanzione in caso di inosservanza (Sez. 2, n. 42557 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270773-01, relativa a una fattispecie in cui l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere si era limitata a motivare le ragioni per le quali le esigenze cautelari non potevano essere soddisfatte con altre misure; Sez. 2, n. 10150 del 24/02/2016, COGNOME, Rv. 266190-01).
Ciò detto in ordine all’insussistenza della dedotta nullità dell’ordinanza genetica e al potere-dovere del Tribunale di Ancona di integrarla, passando alla conferma, da parte dello stesso Tribunale, della scelta della misura della custodia cautelare in carcere, si deve rammentare che, secondo la Corte di cassazione, nella scelta discrezionale delle misure cautelari personali, l’art. 275 cod. proc. pen. impone al giudice di valutare se la misura che intende adottare sia idonea a soddisfare le specifiche esigenze di cautela ravvisate nel caso concreto. La discrezionalità del giudice, ancorché ampia, non è assoluta e la formulazione del giudizio di adeguatezza e proporzionalità della misura alle esigenze che si intendono soddisfare è incensurabile in sede di legittimità solo se sorretta da adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici (Sez. 6, n. 2995 del 20/07/1992, COGNOME, Rv. 192222-01).
A seguito delle modifiche che sono state apportate all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., dalla legge n. 47 del 2015, incombe sul giudice che emette o conferma, sia pure in sede di impugnazione, un’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere il dovere di esplicitare specificamente le ragioni per le quali sono inadeguate le altre misure coercitive e interdittive (Sez. 3, n. 842 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265964-01).
Inoltre, il giudizio del tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sull’inopportunità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, COGNOME, Rv. 277762-01, con la quale la Corte ha precisato che si deve ritenere assolto l’onere motivazionale sull’assoluta proporzionalità della misura carceraria quando si esclude in radice l’idoneità del regime cautelare fiduciario, ordinariamente caratterizzato dal controllo elettronico).
Nel caso in esame, il Tribunale di Ancona ha indicato gli elementi che l’hanno indotto a reputare l’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari, ritenendo: da un lato, che, tenuto conto del ruolo di capo dell’associazione criminosa che era rivestito dall’indagato, del grado di organizzazione dell’attività criminale, la quale era gestita in modo imprenditoriale, e dell’entità economica che la stessa aveva raggiunto, l’applicazione degli arresti domiciliari non avrebbe precluso allo Zhang la possibilità continuare a dirigere, anche dal proprio domicilio, l’attività criminosa, considerato anche il fatto che le condotte delittuose si estrinsecavano nello svolgimento di un’attività, come si è detto, di tipo imprenditoriale e gestoria, la quale poteva essere esercitata, pressoché integralmente, per via telefonica o online; dall’altro lato, che risultavano convivere con lo COGNOME due suoi figli che erano anch’essi partecipi dell’associazione per delinquere, sicché anche tramite gli stessi lo NOME avrebbe potuto proseguire a svolgere la propria attività gestoria, e ciò anche qualora gli fosse stato imposto il divieto di comunicare con persone diverse da quelle che con lui convivevano.
Anche tale motivazione, in quanto non integra alcuna violazione di norme di legge, alla luce anche dei ricordati principi affermati dalla Corte di cassazione nella materia, e in quanto tutt’altro che apparente o apodittica – atteso che, come si è visto, risulta al contrario ancorata a ben precisi elementi che hanno costituito il fondamento del giudizio di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari formulato dal Tribunale di Ancona – e altresì priva di illogicità, tanto meno manifeste, si sottrae a censure in questa sede di legittimità. In particolare, a quelle che sono state prospettate dal ricorrente, atteso che: da un lato, la posizione processuale di ciascun co-indagato o coimputato è autonoma, in quanto la valutazione da esprimere ex art. 275 cod. proc. pen. si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo assicurato da ognuno dei concorrenti alla realizzazione dell’illecito, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo, sicché può risultare giustificata l’adozione di regimi difformi, pur a fronte della contestazione di un medesimo fatto di reato; dall’altro lato, che non risulta ipotizzabile un provvedimento che impedisse ai figli del ricorrente di coabitare con lui, nel luogo, peraltro, dove essi formalmente risiedevano.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 20/02/2025.