Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13575 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13575 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SOLINGEN( GERMANIA) il 05/12/1972
avverso l’ordinanza del 10/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale del riesame di L’Aquila, in accoglimento dell’appello proposto dal PM ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. in ordine al nomen íuris del reato contestato provvisoriamente all’indagato COGNOME NOME, originariamente qualificato ai sensi del quinto comma dell’art. 73, d.P.R. 309/1990, ritenuta la fattispecie base, ha disposto la sostituzione della GLYPH misura cautelare domiciliare con permesso di allontanarsi dal domicilio per svolgere l’attività lavorativa, con la misura della custodia cautelare in carcere.
COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso la suddetta ordinanza, affidando il ricorso a due motivi, come di seguito formulati.
2.1.Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce vizio della motivazione in quanto il giudice a quo, accogliendo i motivi di appello del PM, erroneamente ha escluso la qualificazione dei fatti ai sensi del comma quinto dell’art. 73 d.P.R.309/1990 e ritenuto gli arresti domiciliari inidonei a fronteggiare il pericolo di reiterazione di re della stessa specie. Tuttavia, in ordine alla qualificazione giuridica, evidenzia che solo alcuni episodi, tra quelli contestati, hanno trovato riscontro, e che, per il numero di
cessioni riscontrate, per la quantità ceduta e per l’assenza di collaboratori, il fatto deve essere ritenuto di lieve entità.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla affermata sussistenza delle esigenze cautelari, evidenziando il periodo ristretto – da gennaio a maggio 2024 -a cui i fatti si riferiscono. Inoltre, la circostanz che l’attività di spaccio si sia svolta presso l’abitazione dell’indagato, di per sé non ostativa all’applicazione della misura cautelare domiciliare, anche mediante l’applicazione del “braccialetto elettronico”. Il pericolo di recidiva non è supportato da alcun elemento di concretezza, specificità ed attualità e il giudice non ha neppure valutato il tempo trascorso, né considerato che i fatti ineriscono allo svolgimento di attività di spaccio “da strada”. Pertanto, lamenta violazione di legge in ordine al criterio di scelta della misura coercitiva adottata.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, in udienza, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente, con memoria difensiva, ha replicato alle conclusioni del Procuratore Generale e insistito particolarmente sull’obbligo di motivazione in ordine all’adeguatezza di misure di controllo elettronico, in quanto l’orientamento giurisprudenziale richiamato è in contrasto con la ratío della norma introdotta con la riforma Nordio, legge 9 agosto 2024 n. 114.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. GLYPH Anche nell’attuale assetto normativo rimane infatti valido il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui l’ipotesi della lieve entità può essere ravvisata solo laddove l’ offensività penale della condotta sia minima, secondo quanto si desume sia dal dato qualitativo e quantitativo che dai mezzi, dalle modalità e dalle circostanze dell’azione, (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010). L’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione, anche s all’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico fatto di lieve entità, è ben possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri, dovendosi conseguentemente escludere in tal caso il ricorrere di tale fattispecie (Sez. U, n.51063 del 27/09/2018, Rv. 274076 – 02).
Nel caso in esame il giudice ha dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali è addivenuto a un inquadramento giuridico della fattispecie concreta sub iudíce nei termini del reato di cui all’art. 73, d.P.R.309/1990, escludendo la lieve entità, in quanto ha evidenziato la capacità organizzativa del ricorrente, il quale commetteva le condotte contestate durante l’esecuzione di una misura cautelare avvalendosi dell’ausilio della convivente e di altri soggetti che detenevano lo stupefacente per suo
conto, al fine di eludere i controlli o con la funzione di palo per comunicare l’arrivo delle forze dell’ordine.
Al riguardo, il Tribunale, in ordine all’affermato pericolo concreto e attuale di reiterazione di condotte criminose, ha evidenziato che i fatti contestati sono stati realizzati in ambito domestico, e che il ricorrente ha mostrato una certa capacità organizzativa, in quanto, come già esposto, si avvaleva di soggetti esterni per proseguire l’attività illecita, ed ha richiamato le modalità di realizzazione delle condotte contestate. Di talchè il giudice a quo ha ritenuto la misura degli arresti domiciliari inidonea a fronteggiare il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, considerati anche i precedenti specifici da cui gravato.
Relativamente alla doglianza della omessa valutazione di applicazione della misura di controllo elettronico di cui all’art. 275, comma 3 bis, cod. proc. pen., si osserva che dall’apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata si evincono, in modo implicito ma inequivocabile, le ragioni a fondamento della ritenuta inadeguatezza del controllo elettronico ad evitare la reiterazione di reati presso l’abitazione. Nel pervenire a tali conclusioni, dunque il giudice a quo si è uniformato al principio di diritto (Sez. 3, n. 209
del 17/09/2020, dep. 2021, COGNOME Rv. 281047 – 05; Sez.3, n. 19608 del
25701/2023, Rv 284615) secondo il quale il giudice cautelare, che postuli l’inadeguatezza degli arresti domiciliari in relazione alle esigenze di prevenzione di cui
all’articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale, ha l’onere di formulare il giudizio di inadeguatezza della misura custodiale domestica, onere da
assolvere sulla base di una prognosi fondata su elementi specifici inerenti al fatto.
Trattasi di apparato giustificativo adeguato, esente da vizi logico-giuridici ed aderente a linee concettuali in tema di motivazione del provvedimento cautelare
coerenti con i parametri di cui all’art. 275 cod. proc. pen., in quanto ancorato a specifiche circostanze di fatto (Sez. 3, n. 306/04 del 3/12/2003) e pienamente idoneo
ad individuare, in modo puntuale e dettagliato, gli elementi atti a denotare l’attualità
e la concretezza del pericolo di reiterazione criminosa, non fronteggiabile con misure meno gravose di quella disposta (Sez.4, n.1379 del 24/05/1996, COGNOME, Rv. 205306;
Sez. 3, n. 4374 del 15/12/1997, Rv. 209859; Sez. 2, n. 27813 del 16/05/2003,
Rv. 225207).
2. Il ricorso deve, dunque, essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen. Così deciso in Roma, all’udienza del 23/01/2025
Il Consigliere estensore
GLYPH