Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30320 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30320 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Campagna NOME, nata a Messina il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 5/4/2024 emessa dal Tribunale di Messina visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, i quali si riportano ai motivi di ricorso, insistendo per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Messina confermava l’ordinanza con la quale la ricorrente era sottoposta alla custodia cautelare in carcere, in relazione ai reati di concorso nell’introduzione nella Casa Circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto di
tre panetti di hashis, nonché di alcuni cellulari muniti di schede telefoniche e cavetti per la loro ricarica.
Occorre premettere che la ricorrente, medico in servizio all’interno della Casa circondariale, avrebbe commesso il fatto in concorso con l’infermiera NOME COGNOME. Secondo la ricostruzione recepita dal Tribunale del riesame, l’introduzione dello stupefacente e dei cellulari sarebbe avvenuta mediante l’utilizzo di uno stratagemma, consistente nel concordare il passaggio al metal detector in modo tale che per prima transitava la Campagna e subito dopo la COGNOME; quest’ultima, alla richiesta dell’agente di verificare il contenuto della borsa, la consegnava alla Campagna che la riponeva nel suo armadietto, posto al di fuori dell’area detentiva, per poi andare in un secondo momento, dopo il cambio degli agenti in servizio all’ingresso, a recuperare la merce.
Avverso tale ordinanza, sono stati formulati tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge, contestando la valutazione degli elementi indiziari posti a fondamento della misura.
Si assume che il Tribunale avrebbe omesso di considerare che la Campagna riceveva la borsa in consegna dalla COGNOME dopo che il metal detector aveva rilevato la presenza di metalli e, quindi, in un momento in cui l’agente ivi presente avrebbe potuto legittimamente procedere alla verifica del contenuto della borsa. Invero, le indagate non potevano avere alcuna certezza circa la condotta che l’agente in servizio avrebbe assunto, non potendo confidare nel fatto che avrebbe soprasseduto a visionare il contenuto della borsa nel momento in cui la Campagna si offriva di lasciarla nel suo armadietto, posto al di fuori dell’area sottoposta a controllo. L’elevato rischio di essere scoperte escluderebbe di per sé che lo stratagemma impiegato potesse rispondere ad una collaudata modalità per l’introduzione di beni vietati in carcere.
Assume la difesa che sarebbe stato erroneamente affermato che il pacchetto veniva riposto all’interno della borsa della Campagna, custodita nell’armadietto, elemento non emerso dall’attività di indagine, dalla quale risultava che la COGNOME avrebbe posto l’involucro al di sopra della borsa. Da ciò se ne vuol far conseguire che la Campagna non aveva alcuna contezza del contenuto della busta della COGNOME, non avendola mai avuta nella persona disponibilità.
Del tutto trascurato, inoltre, è il dato emerso dall’interrogatorio della COGNOME, la quale si è assunta l’esclusiva responsabilità del fatto, il che unitamente alla casuale presenza della Campagna – ben avrebbe dovuto condurre a ritenere quest’ultima ignara del contenuto della busta collocata nel suo
armadietto.
Infine, si contesta sia il riferimento ad un’attività non occasionale e svolta sulla base di consolidati rapporti con ambienti criminali, sia il richiamo a fonti confidenziali, in quanto tali non utilizzabili.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta inidoneità della sottoposizione ad una misura cautelare meno afflittiva, sul presupposto che solo la custodia in carcere consentirebbe di recidere i legami con gli ambienti criminali nel cui ambito è maturato il proposito criminoso.
Si afferma che qualsivoglia misura in grado di recedere il rapporto tra l’esterno e l’interno dell’ambiente carcerario sarebbe idonea ad elidere il rischio di reiterazione del reato.
2.3. Con il terzo motivo, si contesta la qualificazione giuridica dei fatti addebitati alla ricorrente.
In particolare, il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, deve ritenersi consumato al momento del trasporto e della detenzione della droga da parte della coindagata, mentre la successiva condotta di “occultamento” non rientra tra quelle espressamente menzionate dalla norma incriminatrice; si contesta, altresì, la configurabilità dell’aggravante contestata, posto che lo stupefacente è rimasto sempre all’estero dell’area detentiva.
Per quanto concerne, invece, il reato di cui all’art. 391-ter cod. pen., la difesa sostiene che la consumazione sarebbe avvenuta nel momento dell’acquisizione dei cellulari da parte della COGNOME e, quindi, in una fase antecedente rispetto a quella in cui è intervenuta la ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto tende a sottoporre alla Corte di cassazione una rivalutazione in punto di fatto degli elementi indiziari così come ricostruiti concordemente dai giudici di merito. Si tratta della prospettazione di una lettura alternativa che, tuttavia, non si fonda sull’emersione di profili motivazionali manifestamente illogici o contraddittori.
Il Tribunale del riesame ha ricostruito puntualmente l’intera vicenda, evidenziando i plurimi elementi che confermano come le coindagate avessero concordato l’impiego di uno stratagemma volto a evitare i controlli all’ingresso in carcere. In particolare, la presenza della Campagna era finalizzata a impedire che
l’agente in servizio al metal detector procedesse alla verifica del contenuto della borsa, facendo in modo che la stessa venisse custodia nell’armadietto personale (sul punto si veda pg.4/5 dell’ordinanza).
Del tutto inverosimile, inoltre, è stata ritenuta la tesi secondo cui la Campagna non fosse a conoscenza del contenuto della busta occultata nel suo armadietto. Il Tribunale del riesame, infatti, ha precisato che la COGNOME ha ammesso di aver anticipatamente comunicato alla Campagna il contenuto della borsa (pg.8), pur assumendosi la responsabilità del fatto il che, tuttavia, non esclude la configurabilità del concorso nel reato, pur in assenza di un preventivo accordo in tal senso.
In definitiva, quindi, la valutazione della gravità indiziaria è stata correttamente compiuta dal Tribunale del riesame.
Anteponendo l’esame del terzo motivo di ricorso, si rileva la manifesta infondatezza delle contestazioni concernenti la qualificazione giuridica del fatto.
Per quanto attiene al reato di detenzione illecita di stupefacenti, è innegabile che la condotta si sia protratta – con il concorso di entrambe le imputate – fino al momento in cui la droga è stata rinvenuta e sequestrata.
Trattandosi di reato permanente, il contributo offerto per l’occultamento della sostanza, rientra appieno nelle modalità attuative della detenzione, né rileva ai fini cautelari la configurabilità o meno dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 1, lett.g), D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 .
Parimenti infondata è la tesi secondo cui il reato previsto dall’art. 391 ter cod. pen. si sarebbe consumato al momento del ricevimento dei cellulari da parte della COGNOME e, quindi, il contributo offerto dalla Campagna costituirebbe una sorta di post factum non punibile.
Invero, il reato in questione sanziona la condotta di chi “procura a un detenuto” ovvero “introduce in un istituto penitenziario” un apparecchio telefonico, sicchè la fase precedente, consistente nel procurarsi il telefono, costituisce un momento preparatorio, mentre la consumazione si verifica solo all’atto dell’introduzione dello stesso in carcere. Nel caso di specie, la Campagna si è inserita, con contributo agevolativo, nella condotta della COGNOME proprio nella fase dell’introduzione dei cellulari nell’istituto penitenziario, sicchè in quel momento la condotta illecita non poteva certamente ritenersi già esaurita.
Il secondo motivo di ricorso, concernente la sussistenza delle esigenze cautelari e l’esclusiva idoneità della custodia in carcere è fondato.
Il Tribunale del riesame ha sottolineato la spregiudicatezza della condotta
della ricorrente, nonché la sicura esistenza di consolidati rapporti con ambie criminali, oltre che con soggetti operanti all’interno del carcere, che potreb condurre alla prosecuzione dell’attività illecita, motivo per il quale è stata ri l’esclusiva idoneità della custodia in carcere.
Si tratta di una conclusione frutto di una motivazione assertiva che mal s confronta con l’evidenza fattuale risultante dall’attività di indagine.
Invero, è emerso che la Campagna approfittava dell’attività lavorativa svolta all’interno del carcere confidando nella sottoposizione a controlli meno stringen oltre che della possibilità di intrattenere rapporti diretti con i detenuti dest dei beni illecitamente introdotti nell’istituto.
Quanto detto comporta che, una volta impedita l’attività lavorativa e l presenza nella casa circondariale, la prosecuzione dell’attività illecita risulte obiettivamente di difficile esecuzione.
Rispetto a tale considerazione, il Tribunale si è limitato ad afferma l’inidoneità di una misura cautelare meno gravosa, fosse anche quella degli arrest domiciliari, senza motivare, in concreto, sulla reale permanenza del pericolo d reiterazione della condotta illecita, se non appellandosi alla generica esistenz rapporti con ambienti carcerari che potrebbero agevolare la commissione di ulteriori reati della stessa specie.
Sulla base di tali considerazioni, deve disporsi l’annullamento con rinvi dell’ordinanza, in ordine al predetto profilo della sussistenza delle esig cautelari e della valutazione della esclusiva idoneità della misura custodia dovendo il Tribunale procedere ad una più attenta verifica, sulla base di elemen concreti, in ordine all’idoneità di una misura meno afflittiva, eventualmente anch solo interdittiva, a garantire l’attuazione delle esigenze cautelari.
P.Q.M.
C GLYPH Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Messina competente ai sensi dell’art. 309, co.7, c.p.p.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.att. cod. proc. pen.
Così deciso I’ll luglio 2024 Il Consigliere estensore
Il Pridente