Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 19434 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 19434 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME CUI 03MJAZU ) nato il 10/06/1986
avverso l’ordinanza del 14/01/2025 del TRIBUNALE DI FIRENZE, in funzione di giudice del riesame;
udita ,la relazione svolta dal Consigliere COGNOME nel senso del rigetto del ricorso;
lette le conclusioni della Procura generale, in persona del Sostituto Procuratore NOME
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Firenze, con il provvedimento di cui in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza con la quale il 5 ottobre 2024 il G.i.p. ha rigettato la richiesta di sostituzione, con gli arresti domiciliari in ipotes caratterizzati da strumenti elettronici di controllo, della custodia cautelare in carcere applicata a NOME COGNOME all’esito della convalida dell’arresto del 28 settembre 2023, per detenzione e cessione di stupefacenti. Trattasi di fattispecie per le quali l’indagato è stato condannato in primo grado, con sentenza del 19 settembre 2024, alla pena di sei anni di reclusione oltre alla multa.
Avverso l’ordinanza l’indagato, tramite il difensore, ha proposto ricorso fondato su un motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Si deduce vizio cumulativo di motivazione in merito alla ritenuta adeguatezza e proporzionalità della sola custodia cautelare in carcere in relazione al pericolo di recidiva. I giudici di merito non si sarebbero confrontati, ovvero l’avrebbero fatto in termini contraddittori o manifestamente illogici, con le circostanze prospettate dalla difesa in senso contrario. Il riferimento e, in particolare, al decorso del tempo dai fatti, alla condotta collaborativa tenuta dall’indagato sin dall’udienza di convalida, caratterizzata da sostanziale ammissione degli addebiti in termini tali da fornire circostanze utili alle indagini a carico del suo fornitore. Si aggiungerebbe altresì la mancata considerazione dell’intervenuta assoluzione dai medesimi fatti della convivente del prevenuto, espletante regolare attività lavorativa, il cui domicilio sarebbe stato dunque idoneo luogo di esecuzione degli arresti donniciliari. Quanto a tale ultimo profilo, avrebbero altresì errato tanto il G.i.p. quanto il Tribunale quale giudice dell’appello cautelare nel ritenere che la detta abitazione fosse stata adibita dall’indagato a «centrale di spaccio», avendo NOME COGNOME consegnato lo stupefacente richiestogli dagli acquirenti al di fuori dall’abitazione.
La procura generale ha concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La difesa censura l’adeguatezza e proporzionalità della custodia cautelare in atto, ferma restando la gravità indiziaria per l’intervenuta sentenza di condanna (in ragione del c.d. «principio di assorbimento» del giudizio sulla gravità indiziaria dalla decisione sul merito dell’imputazione, in merito al
concreto atteggiarsi si vedano, ex plurimis: Sez. 4, n. 39033 del 27/09/2022, COGNOME, Rv. 283587 – 01; Sez. 1, n. 55459 del 15/06/2017, COGNOME, Rv. 272398 – 01).
2. Le doglianze sono inammissibile in quanto, laddove non in fatto oltre che operate mediante parcellizzazione degli elementi sottesi alla valutazione dei giudici di merito, non si confrontano con l’apparato motivazionale fondante la decisione (per l’inammissibilità del motivo di ricorso che non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso, ex plurimis: Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, tra le recenti; Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo).
Diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, difatti, con motivazione non sindacabile in sede di legittimità, in quanto coerente e non manifestamente illogica, il Tribunale evidenzia l’iter logico-giuridico sotteso alla ritenuta idoneità della sola custodia cautelare in carcere quanto al pericolo di recidiva.
Il riferimento è alla valutazione complessiva di plurime circostanze, anche in considerazione del decorso del tempo dal commesso reato, pari a circa un anno e trascorso interamente in custodia cautelare in carcere, relazionato all’elevata pena detentiva comminata. Trattasi della gravità della condotta, tale da aver comportato, all’esito del giudizio abbreviato di primo grado, una pena detentiva di sei anni, peraltro tenuta da soggetto, privo di attività lavorativa, recidivo e operante sin dal 2009 nel settore degli stupefacenti.
La totale inidoneità degli arresti domiciliari, nonostante la sollecitata applicazione di strumenti elettronici di controllo, è stata infine ritenuta in considerazione anche delle specifiche modalità della condotta, come emergenti anche dalla sentenza di condanna. Sul punto è stata valorizzata la circostanza per cui lo stupefacente è stato detenuto, per essere immesso nel mercato su richiesta degli acquirenti, proprio nel luogo ove l’imputato abitava all’epoca dei fatti con la propria convivente (assolta dal medesimo reato), indicato come idoneo nell’istanza di sostituzione ex art. 299 cod. proc. pen. e invece ritenuto dai giudici di merito, sempre in considerazione della sentenza di condanna, essere una «centrale di spaccio». Ne è conseguita, a insindacabile giudizio dei giudici di merito, l’irrilevanza dell’intervenuta ammissione degli addebiti con indicazione di circostanze utili, a dire del ricorrente, per le indagini a carico di altro soggetto che, peraltro, per quanto evidenziato dallo stesso ricorrente, non costituirebbero circostanza di fatto nuova avendo il prevenuto tenuto la detta condotta sin dell’udienza di convalida.
3. In conclusione, all’inammissibilità dei ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in
favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. e valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186).
Poiché dalla presente decisione non consegue la rinnessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma
1-ter, disp. att. cod.
proc. pen. – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito
dal comma
1-bis del citato articolo 94.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso 1’8 aprile 2025