Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26111 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26111 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 01/07/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 28 Febbraio 2025, ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 28 gennaio 2025 con la quale la Corte di appello di Bologna aveva respinto la richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, misura applicatagli per il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, commesso il 5 dicembre 2023, quando veniva tratto in arresto perché trovato in possesso di cocaina – con principio attivo pari a ca. 141 gr.-, di bilancino e agende e appunti ‘cifrati’.
Con i motivi di ricorso, sintetizzati nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., il difensore di NOME COGNOME chiede l’annullamento dell’ordinanza per vizio di motivazione poiché le
argomentazioni poste a fondamento del rigetto costituiscono la riproposizione delle argomentazioni svolte in sede di riesame e, pertanto, non sono declinate in termini di attualità. La situazione del ricorrente si è, infatti, modificata per effetto della condanna a pena superiore a sei anni di reclusione e per il lungo periodo di custodia. Il Tribunale ha valorizzato, in assenza di altri episodi sintomatici, condanne risalenti ad oltre dieci anni orsono ed ha trascurato gli elementi nuovi dedotti, ovvero che l’imputato vorrebbe prendersi cura della figlia adolescente convivendo con la propria madre nella comune abitazione.
3. Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1bis cod. proc. pen. modificato dall’art. 11, comma 3, d.l. n. 29 del 6 giugno 2024, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120 del 8 agosto 2024 n. 120.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Va premesso che il sindacato della Corte di cassazione, anche in materia cautelare, ove sia dedotto il vizio di motivazione, è limitato alla verifica dell’adempimento, da parte del giudice di merito, degli obblighi impostigli dall’art. 292 stesso codice, limite che rileva anche nell’ipotesi in cui oggetto del ricorso sia il provvedimento di rigetto dell’appello avverso l’ordinanza del giudice del merito che non abbia accolto la richiesta di sostituzione della misura cautelare.
Il controllo di legittimità deve, anche in tal caso, limitarsi alla verifica dell’esistenza, nella decisione impugnata, di una motivazione adeguata e non manifestamente illogica, idonea a dimostrare il perdurare delle esigenze cautelari previste dall’art. 274, sul presupposto implicito che non siano venute meno nel frattempo le condizioni di applicabilità della predetta misura cautelare.
Il ricorrente si è limitato con il ricorso a reiterare le medesime deduzioni sviluppate nell’appello, senza confrontarsi con le argomentazioni della ordinanza impugnata e dolendosi in definitiva soltanto del mancato accoglimento delle censure difensive.
Il Tribunale ha rilevato, in modo adeguato e non sindacabile per la sua correttezza e ragionevolezza, che la misura domiciliare non era adeguata alla tutela delle esigenze di prevenzione, che perdurano anche alla luce della conferma della condanna, alla pena di anni sei di reclusione, intervenuta in grado di appello,
Il Tribunale, a tal riguardo, ha richiamato la precedente ordinanza resa il 19 aprile 2024 – sempre in sede di appello cautelare avverso analoga richiesta – e ha ritenuto che la difesa riproponesse le stesse argomentazioni già svolte e disattese dal Tribunale sottolineando che i fatti oggetto della misura si pongono in continuità
con le precedenti condanne e rilevando che anche i periodi di detenzione subiti non sono valsi a infrenarne la pericolosità sociale. Addirittura, osserva il Tribunale, l’appartamento in cui vorrebbe essere sottoposto alla misura domestica è lo stesso nel quale deteneva la cocaina per i fatti per i quali era stato tratto in arresto. Né la presenza della figlia adolescente, di cui l’imputato vorrebbe prendersi cura, è valsa, finora, ad impedirgli la commissione di reati né tale effetto potrebbe ricondursi alla presenza, nell’abitazione, della madre del ricorrente.
In conclusione, il Tribunale ha evidenziato come il fatto per cui si procede attestato dalla condanna in esito al sequestro di un considerevole quantitativo di cocaina dal quale erano ricavabili oltre novecento dosi medie- non costituisce un fatto isolato ed episodico ma denota l’inserimento nel redditizio traffico di cocaina da cui l’imputato, privo di stabile attività lavorativa, trae mezzi di sostentamento, al di là dei redditi che gli provengono dalla madre.
Le argomentazioni del giudice cautelare non sono illogiche, men che mai con il carattere di evidenza, che deve connotare il vizio di illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., poiché non sono allegati elementi nuovi tali da far ritenere che l’imputato si presterebbe alla osservanza delle prescrizioni correlate alla misura domiciliare tenuto conto che le disponibilità materne e la presenza della figlia (nata nel 2008) non sono valse a dissuaderlo dalla commissione di reati.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve dichiararsi inammissibile e il ricorrente deve essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e, considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende. La cancelleria è delegata agli adempimenti indicati in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 01/07/2025