Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 46275 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 46275 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PISTOIA il 15/12/1959
avverso l’ordinanza del 24/05/2024 del TRIB. LIBERTA di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
leye/sentíte le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto udito il difensore
L’avv. NOME COGNOME insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice di appello ex ad 310 cod. proc. pen., ha confermato il provvedimento del Tribunale collegiale di Bologna che aveva rigettato la richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in atto – applicata con riferimento a dodici ipotesi delittuose, dall’associazione a delinquere alla bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, all’autoriciclaggio – con quella degli arresti domiciliari col presidio del cd, braccialetto elettronico.
Deduce a sostegno cinque motivi.
1.1.Col primo motivo lamenta la “totale assenza o apparenza motiva” in punto di adeguatezza della misura di massimo rigore mantenuta senza tener conto neppure degli sviluppi processuali medio tempore intervenuti col progredire dell’istruttoria dibattimentale; in particolare, al riguardo lamenta che si sia fondata la valutazione sulla base della cifra criminale attribui all’imputato senza considerare i temi individuati dalla difesa, quale ad esempio la risalenza nel tempo dei precedenti, l’intervenuto sgretolamento del contesto societario per il fallimento di tutte le società del gruppo, lo smantellamento della contestata associazione, gli effetti dei sequestri cautelari; a ciò si aggiunga l’assenza di riferimenti al caso concreto fondandosi la decisione su valutazione astratte legate alla natura dello strumento domestico ritenuto ex se intrinsecamente inadeguato a prevenire rischi di recidiva legati al possibile uso di dispositivi informatici e al possibile approfittare della discontinuità d controlli da parte della polizia per dileguarsi.
1.2.Col secondo motivo deduce la “totale assenza o apparenza motiva” in punto di proporzionalità della misura confermata senza considerare il tempo trascorso e i significativi sviluppi processuali e procedimentali che non possono non avere avuto incidenza sul quadro cautelare.
1.3. Col terzo motivo deduce la “totale assenza o apparenza motiva” in punto di gradualità della misura laddove la custodia ìn carcere rappresenta extrema ratio.
1.4.Col quarto motivo deduce la inadeguatezza o apparenza della motivazione in punto di gradualità rafforzata, ex art. 375 comma 3-bis cod. proc. pen. che impone che la valutazione vada condotta con riferimento al caso concreto. Il Tribunale non ha neppure proceduto alla necessaria verifica ex ante della concreta disponibilità del braccialetto elettronico,
1.5. Con il quinto motivo deduce l’assenza di motivazione per essere l’ordinanza sovrapponibile testualmente a quella di altro imputato del medesimo processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.Va innanzitutto premesso che in sede di appello avverso la ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il Tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificar apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 45826 del 27/10/2021, Rv. 282292 – 01). La sua cognizione, quindi, non può superare i confini tracciati dai motivi, oltre che dalla natura del provvedimento impugnato, che è del tutto autonomo rispetto all’ordinanza genetica, non dovendo, il giudice, riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura, ma stabilire se il provvedimento gravato sia immune da violazioni di legge ed adeguatamente motivato in relazione all’eventuale allegazione di fatti nuovi, fermo restando il dovere di revocare la misura al venir meno delle condizioni di sua applicabilità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il vizio di motivazione, inoltre, deve presentare il carattere dell essenzialità, nel senso che la parte deducente deve dare conto delle conseguenze del vizio denunciato rispetto alla complessiva tenuta logico argomentativa della decisione. Infatti, sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza dì rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore d valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Da tali massime di orientamento sì desume che la verifica che questa Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla correttezza della motivazione non va confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, ne’ con la possibilità di formulare un giudizio, diverso da quello espresso dai giudici di merito, sull’intrinseca adeguatezza della valutazione dei risultati probatori, anche sotto il profilo delle esigenze cautelari, dovendo il controllo in parol essere, invece, limitato alla congruità e coerenza delle valutazioni compiute: sicché esse si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del convincimento del giudice non abbia subito il condizionamento negativo di un procedimento induttivo contraddittorio o illogico, ovvero di un esame incompleto o impreciso (Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999 – dep. 08/02/2000, COGNOME, Rv. 215331; Sez. 1, n. 4491 del 03/07/1996, COGNOME, Pv. 205643); e, nel caso di specie, quanto al profilo dei perícula arginabili solo con la misura di massimo rigore, oggetto nuovamente di contestazione col ricorso, la motivazione del provvedimento impugnato è tutt’altro che priva di coerenza, completezza e logicità.
Palese è invero la infondatezza dei motivi sviluppati in ricorso.
1.1.Le censure, che ruotano intorno ai perícula -soprattutto al principale pericolo di recidiva – e alla persistenza della loro attualità nella dimension quantitativa e qualitativa originaria, sono oltre che meramente reiterative ed aspecifiche, anche affette da genericità intrinseca limitandosi a prospettare – in particolare quelle di cui ai primi due motivi – sopravvenienze neppure specificate nei contenuti ovvero aspetti che si assumono idonei ad incidere sul quadro cautelare senza neppure spiegarsene le ragioni – dandosi, ad esempio, per scontato che la intervenuta dichiarazione di fallimento delle società del gruppo (peraltro genericamente affermata) avrebbe avuto ripercussioni positive sotto il profilo cautelare; laddove nel caso in esame, secondo quanto si evidenzia nel provvedimento impugnato, l’unico, effettivo, elemento nuovo sopravvenuto è costituito dal rinvio a giudizio dell’imputato per i reati suindicati, non potendo di certo ritenere tale il lasso temporale non cospicuo intercorso dall’applicazione della misura a fronte della gravità dei reati e della personalità del ricorrente g gravato da pregiudizi penali per reati della stessa specie (anche proprio per reato associativo e reati-fine, in massima parte, costituiti da bancarotte fraudolente – accertati con sentenze definitive intervenute in un ampio arco temporale, dal 2005 al 2019.
Dalla lettura dei due provvedimenti, di rigetto dell’istanza ex art. 299 cod. proc. pen. e di conferma da parte del Tribunale del riesame, che espressamente richiama il primo, la permanenza delle esigenze cautelai -i, originariamente
acclarate con la ordinanza genetica non oggetto di impugnazione, emerge con chiarezza e si fonda su una pluralità di elementi ben evidenziati soprattutto da parte del Tribunale del riesame, che ha, in dettaglio, indicato le ragioni che militano per la persistenza dei pericula di cui all’art. 274 cod. proc. pen. (cfr. quanto al pericolo di fuga le pagine 7- 9 del provvedimento impugnato e quanto al pericolo di recidiva le pagine 10-14 che evidenziano, tra l’altro, la reiterazion nel tempo di condotte analoghe che delineano il ricorrente come un ‘bancarottiere seriale’ o ‘professionale’ per il bagaglio di esperienza acquisita nel e sul campo, agendo in aree geografiche sempre diverse, attraverso relazioni interpersonali estremamente diversificate, circostanze tutte ritenute indicative della sua capacità di proseguire nelle attività illecite, anche con sempre nuovi correi e società – da ultimo la RAGIONE_SOCIALE); ragioni con le quali il ricorso non si è adeguatamente confrontato, reiterando, esso, aspetti estrapolati dal contesto valutativo complessivo e, comunque, già ampiamente affrontati e risolti dal Tribunale.
Parimenti esaustiva è, poi, la motivazione che evidenzia la necessità della misura di massimo rigore. Ed invero, il collegio territoriale afferma che, nel caso in esame, non solo sussiste il pericolo di fuga e, soprattutto, quello di reiterazione per la molteplicità ed attualità delle condotte, ma anche che esso non possa essere salvaguardato se non con la misura di massimo rigore della restrizione carceraria in considerazione della tipologia dei reati ascritti ricorrente, che possono essere perpetrati anche da una postazione domiciliare attraverso gli strumenti informatici, il cui utilizzo sfugge facilmente al control e non è necessariamente evitato mediante l’imposizione del divieto di comunicazione con tali mezzi, né, tanto meno, attraverso l’applicazione del cd. braccialetto elettronico.
Si evidenzia come tale misura di massimo rigore sia imposta dall’assoluta gravità delle azioni criminose ascritte al ricorrente, dai risvolti extranazional poste in essere in modo professionale ed organizzato in concorso con i correi nell’arco di lasso temporale non modesto, e come la corposa pregressa esperienza giudiziale sia indicativa della insensibilità dell’imputato a provvedimenti dell’autorità. Si evidenzia in particolare come il gruppo criminoso abbia a far tempo dal gennaio 2023, sotto la regia anche del ricorrente, proceduto all’acquisizione ‘di fatto’ di un’ulteriore società, in crisi finanziar con perdite crescenti ma dotata di residuali asset – la RAGIONE_SOCIALE storica azienda tarantina – destinata ad essere spogliata e quindi depredata dei suoi beni, secondo il modus operandi già adottato dal sodalizio dei ‘bancarottieri
seriali’ rispetto ad altre società, oggetto delle imputazioni del presente procedimento.
Indi, si conclude che, tenuto conto delle modalità dei fatti e della personalità dell’agente, va esclusa l’occasionalità della condotta criminosa dovendosi al contrario ritenere concreto, attuale ed elevato il rischio che il ricorrente, ove non sottoposto a vincoli, reiteri reati contro il patrimonio (e non) e che la misura applicata della custodia cautelare inframuraria, proporzionata alla gravità dei fatti contestati, appaia, tuttora, l’unica adeguata a fronteggiar il pericolo di recidiva, oltre che quello di fuga; e ciò lo si afferma, evidenzian come, da un lato, vincoli non detentivi risultino inefficaci a fronte di un’attiv illecita – oramai – gestita in modo professionale ed organizzato, improntata ad elevata spregiudicatezza e insidiosità, indicativa di una capacità a delinquere di spessore, e come, d’altra parte, l’imputato non offra garanzia di uno spontaneo rispetto delle prescrizioni inerenti agli arresti domiciliari avendo, in buon sostanza, dimostrato radicate scelte di vita che continuano ad essere improntate all’illegalità nonostante le condanne penali subite.
In altri termini il Tribunale ritiene che la custodia in carcere sia l’uni adeguata ad arginare le predette esigenze cautelari non rinvenendosi nella personalità del ricorrente elemento alcuno da cui desumere capacità di autocontrollo e di spontaneo rispetto da parte del medesimo delle prescrizioni connaturate alla restrizione domiciliare, denotando, piuttosto, il suo pregresso una assoluta mancanza di autolimitazione; mancanza di autocontrollo, in buona sostanza, non ritenuta superabile alla stregua dei pregiudizi specifici e soprattutto delle rinnovate modalità di esecuzione dei reati ascritti nel presente procedimento, giustamente considerate altamente indicative di una crescente e potenziata capacità criminosa, non arginabile con misura diversa da quella custodiale.
Ed invero, la misura degli arresti domiciliari, anche se disposta con le modalità più stringenti e con strumenti elettronici dì controllo, strumentazione che permette solo il rilevamento della violazione della permanenza nel domicilio e non la localizzazione del soggetto, non è considerabile idonea di fronte a soggetti che hanno dimostrato notevole spregiudicatezza – anche sul piano della capacità di darsi alla fuga – che lungi dal qualificarsi come occasionale, si sia reiteratamente palesata anche in contesti diversi; di talché, al cospetto di un quadro così allarmante, le deduzioni difensive riguardanti la non necessità del carcere finiscono col risolversi anche in annotazioni in fatto estranee all’orizzonte cognitivo di questa Corte dì legittimità.
I primo quattro motivi sono, dunque, tutti aspecifici e manifestamente infondati.
1.2, Quanto infine all’ultimo motivo, è solo il caso dì osservare che la eventuale coincidenza delle considerazioni argomentative rispetto a due soggetti imputati, sostanzialmente, per i medesimi fatti non è, di per sé, sintomo di motivazione assente o illogica, essendo, piuttosto, tale la disparità di motivazione nella valutazione di circostanze dei tutto analoghe.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 23/10/2024.