Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44269 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44269 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 22/02/1951
avverso l’ordinanza del 20/05/2024 del TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udito il PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 20 maggio 2024 il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza cautelare di applicazione della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME emessa dal g.i.p. del Tribunale di Napoli in relazione al reato di cui all’art. 575 cod. pen. commesso in danno di NOME COGNOME il 12 marzo 2024.
L’omicidio avviene nel parcheggio di un supermercato a San Giovanni a Teduccio. Secondo la ricostruzione dell’ordinanza impugnata, esecutore materiale ne è tale NOME COGNOME raggiunto da altra precedente ordinanza cautelare, che
avrebbe anche ammesso di esserne stato autore parlando al telefono con il fratello NOME.
Nelle intercettazioni telefoniche tra NOME ad NOME COGNOME, fratelli dell’autore materiale, sarebbe poi emerso che questi avrebbe commesso l’omicidio per denaro, su richiesta di una persona individuata come NOME o’ cafè, che in quel momento si trovava all’estero.
La identificazione di NOME o’ cafè avveniva ad opera della polizia giudiziaria procedente che riferiva trattarsi di un soprannome che era stato attribuito a COGNOME all’epoca di una precedente detenzione, soprannome dovuto alla circostanza che in carcere questi faceva il caffè per tutti. La identificazione era corroborata dalla ulteriore circostanza che COGNOME e la moglie si trovavano all’estero, in crociera, dal 27 marzo 2024 al 3 aprile 2024.
Dai tabulati telefonici erano emersi contatti tra COGNOME e COGNOME sia prima che dopo l’omicidio, la localizzazione delle celle erano anche compatibili con un incontro di persona tra i due.
Nella ricostruzione dell’ordinanza impugnata è ipotizzato anche un possibile movente. COGNOME, che era un ingegnere, era stato coinvolto nell’acquisto all’asta, nel corso di una procedura esecutiva civile, della villa con piscina di Petrucci in Portici. Quasi un anno prima, COGNOME e la moglie avevano denunciato COGNOME, sostenendo che la sua regia aveva permesso l’aggiudicazione a dei prestanome per conto di tale COGNOME Salvatore, persona legata ad ambienti di criminalità. COGNOME aveva poi cercato il contatto con l’acquirente per la retrocessione dell’immobile, ma inutilmente, perché non aveva il denaro sufficiente. L’acquirente aveva allora completato la procedura di acquisto, ma, ciò nonostante, i coniugi COGNOME ancora occupavano l’immobile.
Pochi giorni prima dell’omicidio il legale rappresentante della società che si era aggiudicato l’immobile all’asta aveva espresso timori per l’incolumità di COGNOME.
Sempre a conferma della identificazione di COGNOME come il committente dell’omicidio, l’ordinanza impugnata ha evidenziato che nei colloqui in carcere COGNOME ha chiesto alle figlie di contattare una persona che chiama “zia NOME” – e che, però è un uomo, in quanto per lei usa il pronome maschile “chili” – che gli deve dei soldi, parla di 14.000 euro, ed è emerso che dopo i colloqui le due donne si sarebbero recate nel negozio di vernici di COGNOME.
Inoltre, ad ulteriore conferma della identificazione di COGNOME come il committente dell’omicidio, l’ordinanza fa rilevare che nei colloqui in carcere COGNOME ha riferito alle figlie che da “zia NOME” ha lasciato due paia di scarpe e quattro magliette di cui ha indicato anche la marca. La perquisizione nell’abitazione di COGNOME ha portato al loro rinvenimento. Questo significa, secondo l’ordinanza
impugnata, che, dopo l’omicidio, COGNOME si era rifugiato proprio presso la dependance della villa di Petrucci.
L’ordinanza ha ritenuto l’esistenza del metodo mafioso ed ha argomentato sulla necessità della custodia in carcere, evidenziando che si tratta di soggetto ultrasettantenne ma che non sono state allegate specifiche condizioni di salute incompatibili con la detenzione e che, data la sua caratura criminale, devono ritenersi prevalenti le esigenze di sicurezza rispetto a quelle di salute del ricorrente, atteso il suo ruolo di ideatore e mandante di un’azione criminale realizzata per motivi di vendetta assoldando un killer a pagamento e predisponendo il suo allontanamento dal territorio nazionale nei giorni immediatamente successivi all’azione omicidiaria; secondo l’ordinanza, solo tale regime cautelare consente di scongiurare il rischio che l’indagato reiteri l’attività criminosa non essendo possibili neanche gli arresti domiciliari perché il ricorrente ha dimostrato personalità fortemente trasgressiva e priva di autocontrollo.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato, per il tramite del difensore, con un ricorso originario e due seguiti, con i seguenti motivi, di seguito esposti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso originario
Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, in quanto non vi è prova che COGNOME sia il mandante dell’omicidio, non vi è prova anzitutto che COGNOME sia NOME o’ cafè, né che NOME COGNOME avesse condiviso con lui la detenzione in cui avrebbe acquisito conoscenza di quel soprannome; la crociera intrapresa da COGNOME era una mera coincidenza. Non vi sarebbe, inoltre, il movente perché quando COGNOME aveva effettuato il sopralluogo della villa in cui abitava COGNOME, questi già sapeva di averne perso la proprietà. I rapporti tra NOME COGNOME e COGNOME NOME esistono ma sono leciti in quanto esclusivamente lavorativi (commercio di vernici per autovetture); COGNOME si era prestato a fare da prestanome per COGNOME e, quindi, vantava un credito nei suoi confronti. Il rinvenimento di indumenti nuovi a casa di COGNOME è inconcludente. Non vi è prova che NOME COGNOME si sia rifugiato nella villa del COGNOME: era stato dal fratello NOME. Le intercettazioni in carcere potrebbero anche far supporre dall’uso della frase “quelli mi hanno abbandonato” che “zia NOME” non è una persona singola, ma un gruppo di soggetti. Era COGNOME, in realtà, che frequentava ambienti camorristici, come emerge dalle intercettazioni di COGNOME; i rischi per la incolumità esternati in intercettazione
non sono associati a COGNOME ma ad altre persone che lamentano di aver subito una estorsione.
Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione nella valutazione dell’esistenza della aggravante del metodo mafioso, evidenziando nuovamente che non è l’indagato ma la vittima a gravitare in ambienti criminali. L’ordinanza parla di matrice camorristica ma senza argomentare. COGNOME e la moglie hanno per anni denunciato la criminalità organizzata.
Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione nella valutazione delle esigenze cautelari, in quanto l’allontanamento da Napoli per una crociera nulla dice sulle esigenze cautelari, perché si trattava di viaggio di piacere organizzato da tempo, l’allarme sociale non significa nulla, l’indagato ha più di settant’anni e difettano nel provvedimento esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
2.2. Motivo aggiunto
Con . nota dell’Il ottobre 2024 il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME ha depositato il decreto di giudizio immediato, evidenziando come a questo punto le indagini siano concluse e non possa essere più sostenuta la esistenza del pericolo di inquinamento probatorio.
2.3. Ulteriore motivo aggiunto
Con nota del 14 ottobre 2024 il difensore del ricorrente ha articolato un motivo nuovo, in relazione al terzo motivo di ricorso, in cui è tornato ad evidenziare che l’imputato è ultrasettantenne, e quindi appartiene ad una categoria che per presunzione normativa è di ridotta pericolosità; l’ordinanza impugnata non si sarebbe fatta carico di valutare la specifica situazione personale del ricorrente ed avrebbe argomentato sulle esigenze cautelari di eccezionale rilevanza soltanto attraverso il riferimento alla tipologia di reato contestato.
3. La difesa dell’indagato ha chiesto la discussione orale.
Con requisitoria orale, anticipata per iscritto, il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, dedicato ai gravi indizi di colpevolezza, è infondato.
Il ricorso deduce che l’ordinanza abbia raggiunto in modo illogico la prova che COGNOME sia la persona chiamata NOME o’ cafè nelle conversazioni intercettate, ma l’argomento è infondato, in quanto la circostanza che COGNOME si trovasse effettivamente all’estero, nel periodo in cui la persona individuata come NOME o’ cafè era riferito trovarsi all’estero, rende non illogica la motivazione dell’ordinanza impugnata che non l’ha ritenuta una mera coincidenza sfavorevole all’indagato. La coincidenza, infatti, introduce un argomento puramente congetturale, e l’argomento congetturale è, in quanto tale, inidoneo a viziare il percorso logico della motivazione (Sez. 1, n. 17102 del 15/02/2024, Concilio, n.m.; Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278237).
Peraltro, la identificazione del committente in COGNOME si ricava nell’ordinanza impugnata non soltanto dalla coincidenza del dato temporale del viaggio all’estero dell’indagato con il momento in cui i fratelli COGNOME si riferiscono al mandante come una persona che si trova all’estero, ma anche dai documentati rapporti tra COGNOME e COGNOME sia prima che dopo l’omicidio, nonché dalla richiesta rivolta da COGNOME alle figlie di andare a parlare con una persona che l’avrebbe abbandonato in carcere e da cui attende il pagamento di 14.000 euro, e che in modo non illogico è stata individuata in Petrucci, in ragione della successiva visita delle figlie di COGNOME al negozio di Petrucci e del rinvenimento presso l’abitazione di questi delle magliette della marca precisata dall’autore materiale del reato.
Il ricorso deduce che COGNOME è conosciuto, in realtà, con altro soprannome, ma l’argomento, oltre che non essere provato, è inconferente, in quanto, per le persone che non hanno rilevanza nnediatica, i soprannomi non sono universali, ma si diffondono nei diversi gruppi sociali in cui, per qualche motivo, esse sono conosciute, e possono essere, pertanto, diversi in gruppi sociali diversi. Il soprannome di una persona nel gruppo di coloro che sono stati detenuti in un certo carcere, o che frequentano tali detenuti, può essere diverso dal soprannome che questi ha nel paese in cui vive.
Il ricorso deduce che sarebbe stato ricavato in modo illogico il movente, perché quando COGNOME aveva effettuato il sopralluogo della villa in cui abitava COGNOME, questi già sapeva di averne perso la proprietà, ma l’argomento è manifestamente infondato. La circostanza che la procedura esecutiva civile ormai fosse avviata e che COGNOME fosse destinato prima o poi a perdere la proprietà della villa è irrilevante, perché COGNOME e la moglie hanno continuato ad abitare nella villa, nonostante la perdita formale della proprietà. Se non ci fosse stato l’intervento di COGNOME e fosse andata deserta l’asta, COGNOME avrebbe avuto la
ragionevole aspettativa di riuscire a lucrare un ulteriore periodo di dimora nella villa, aspettativa che la comparsa di un aggiudicatario ha sicuramente complicato.
Il ricorso deduce che i rapporti di credito e debito tra COGNOME e COGNOME erano leciti in quanto esclusivamente lavorativi, essendo avvenuti nell’ambito del commercio di vernici per autovetture, in cui COGNOME lavorava come mero prestanome di COGNOME, perché soggetto non dotato delle minime capacità imprenditoriali (pag. 7 del ricorso), ma l’argomento, oltre ad essere proposto in difetto di autosufficienza perché nulla si sa delle capacità imprenditoriali di COGNOME e della natura meramente fittizia della sua attività imprenditoriale, non rende illogica la considerazione dell’ordinanza impugnata sulla circostanza che i 14.000 euro di cui lamentava la mancata corresponsione da “zia NOME” dovessero avere provenienza illecita anche soltanto per il modo in cui COGNOME aveva avanzato la richiesta di incasso (pag. 8 dell’ordinanza), oltre che perché la società di COGNOME era, in realtà, inattiva da due anni.
Il ricorso deduce che il rinvenimento di indumenti nuovi a casa di COGNOME non è concludente, ma l’argomento è inammissibile, in quanto meramente assertivo. Non è illogico, al contrario, che l’ordinanza abbia evidenziato l’importanza della coincidenza tra il racconto di COGNOME che riferisce di aver dimenticato delle magliette proprio di quella marca presso l’abitazione della zia NOME ed il rinvenimento presso l’abitazione di COGNOME di magliette della stessa marca, senza che abbia un rilievo decisivo che la permanenza di COGNOME presso l’abitazione di COGNOME possa essere avvenuta prima o dopo l’omicidio.
Il ricorso deduce che le intercettazioni in carcere potrebbero anche far supporre che “zia NOME” non è una persona singola, ma un gruppo di soggetti, ma l’argomento è infondato perché si fonda su una espressione sola usata da COGNOME (“quelli mi hanno abbandonati”), che si scontra con altri casi in cui la zia NOME è indicata con un pronome singolare (peraltro maschile, “chili” come nota l’ordinanza).
Il ricorso deduce che era COGNOME in realtà, che frequentava ambienti camorristici, come emerge dalle intercettazioni di COGNOME, e che i rischi per la incolumità esternati in intercettazione non sono associati a COGNOME ma a persone che lamentano una estorsione, ma l’argomento è inammissibile per difetto di specificità, perché non conferente con il percorso logico della ordinanza impugnata che non ha ricavato gli indizi a carico di COGNOME dalle paure di COGNOME ma dai contatti evidenti e ripetuti tra COGNOME e COGNOME.
Il motivo è, in definitiva, infondato.
2. Il secondo motivo è inammissibile.
Il ricorso deduce che era la vittima ad essere collegata ad ambienti camorristici, come risulta anche dalla stessa ordinanza del giudice per le indagini preliminari, nonché dalle intercettazioni telefoniche, e che invece COGNOME e la moglie hanno denunciato esponenti di criminalità organizzata; la matrice camorristica del delitto è soltanto assertiva.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto inconferente con il percorso logico dell’ordinanza impugnata. L’ordinanza motiva l’esistenza del metodo mafioso dalle circostanze dell’azione, ovvero un agguato in pieno giorno davanti ad un supermercato in orario di apertura, eseguito con un colpo alla nuca “come una vera e propria esecuzione” (pag. 9 dell’ordinanza).
Il ricorso non prende posizione su questo percorso logico e sposta l’attenzione sulla personalità di imputato e vittima, come se fosse affermata l’esistenza della finalità di agevolazione mafiosa, ma i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568). Le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così in motivazione Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822) in quanto la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Il motivo è, pertanto, inammissibile.
Il terzo motivo, dedicato alle esigenze cautelari, ed i due motivi nuovi introdotti 1’11 ed il 14 ottobre, dedicati sempre alle esigenze cautelari, sono infondati.
Il ricorso originario deduce che la crociera all’estero era un viaggio di piacere organizzato da tempo, talchè non rileverebbe ai fini del pericolo di fuga, ma l’argomento è infondato in quanto non idoneo ad incidere in modo decisivo sul percorso logico dell’ordinanza impugnata che ha ritenuto l’esistenza di tutte e tre le esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen.
Il ricorso originario deduce che l’allarme sociale non può orientare i poteri del giudice perché snatura la funzione del giudizio cautelare, ma l’argomento è inammissibile per l’estrema genericità della deduzione.
Il ricorso deduce anche che il ricorrente è un ultrasettantennne, ed è quindi un soggetto a pericolosità normativamente attenuata, per restringere in carcere il
quale occorre evidenziare l’esistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Il motivo nuovo del 14 ottobre sviluppa ulteriormente l’argomento e sostiene che nel caso in esame l’ordinanza impugnata ha ricavato le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza soltanto dal titolo di reato, violando in questo modo la previsione dell’art. 275, comma 4, cod. proc. pen., e facendo rivivere la presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere per alcuni reati, che è invece subvalente rispetto alla norma speciale per gli ultrasettantenni sopra citata.
L’argomento è inammissibile per difetto di specificità, perché non si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata che non ha desunto le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza dal titolo di reato contestato all’indagato, ma dalle specifiche modalità di commissione dell’omicidio, che viene descritto come un omicidio effettuato assoldando un killer a pagamento (pag. 10 dell’ordinanza impugnata), realizzato per finalità di vendetta (pag. 9 dell’ordinanza), preordinato e pianificato (sempre pag. 9), ed in cui ha un ruolo – non scalfito dalle considerazioni del ricorso sulla risalenza del progetto di svago – anche l’aver pianificato la vacanza all’estero e l’allontanamento dal territorio campano (pag. 10 dell’ordinanza) proprio in prossimità della data di commissione del reato, ovvero in un periodo in cui massima sarebbe stata la attenzione delle forze di polizia sulle frequentazioni della vittima e, qualora individuato, del killer.
La nota del difensore dell’11 ottobre deduce, infine, che con il decreto di giudizio immediato, depositato nelle more, sarebbero venute meno le esigenze di inquinamento probatorio, ma l’argomento, a prescindere dalla non decisività nell’incidere sul percorso logico di un’ordinanza motivata per tutte e tre le esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen., è inammissibile, in quanto “in tema di impugnazioni cautelari, eventuali elementi sopravvenuti al momento della chiusura della discussione dinanzi al tribunale del riesame non assumono alcun rilievo nel successivo giudizio di legittimità, potendo essere fatti valere soltanto con una nuova richiesta di revoca o di modifica della misura cautelare al giudice competente. Fattispecie in cui la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti depositati dalla difesa e fondati su documenti formati in un momento successivo alla presentazione del ricorso per cassazione” (Sez. 3, Sentenza n. 23151 del 24/01/2019, PM in proc. COGNOME, Rv. 275982).
Il motivo è, pertanto, nel complesso, infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 16 ottobre 2024.