Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6593 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6593 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato in Albania il 4/3/1976
avverso la ordinanza del 4/11/2024 del Tribunale del riesame di Genova; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 4/11/2024, il Tribunale del riesame di Genova confermava l’ordinanza emessa il 23/10/2024 dal Tribunale della Spezia, con la quale NOME COGNOME era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere con riguardo al delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo – con unico motivo – la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, con erronea applicazione dell’art. 275 cod. proc. pen. Il Tribunale avrebbe confermato
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la misura custodiale senza valutarne adeguatamente i presupposti, considerando che il ricorrente vanterebbe sì precedenti specifici, ma solo per quantitativi modesti di sostanza stupefacente; nella vicenda in esame, peraltro, il dato ponderale sarebbe ad oggi indicato in misura lorda, dunque destinato a calare all’esito delle analisi. In forza di ciò, dovrebbe ritenersi certo che, all’esito del giudizio di merit la pena irrogata non supererà i 3 anni di reclusione, così da non poter essere applicata la custodia cautelare in carcere ai sensi dell’art. 275, comma 2-bis cod. proc. pen. La motivazione dell’ordinanza, ancora, sarebbe illogica nella parte in cui ha ritenuto inadeguata la misura degli arresti domiciliari, considerando che il ricorrente, in passato, avrebbe sempre rispettato ogni prescrizione cautelare, portando proficuamente a termine l’espiazione di pene detentive in regime alternativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso – che non coinvolge i gravi indizi di colpevolezza – risulta manifestamente infondato.
La prima parte del motivo – con la quale si sostiene che il COGNOME verrà certamente condannato ad una pena non superiore a tre anni di reclusione, con conseguente divieto della custodia cautelare in carcere, ai sensi dell’art. 275, comma 2-bis cod. proc. pen. – è inammissibile, in quanto, per un verso, fondata su un argomento di merito non consentito in questa sede (la modestia dei quantitativi di stupefacente oggetto delle precedenti condanne) e, per altro verso, meramente congetturale, sul presupposto che il quantitativo di cocaina sequestrato in questo procedimento sarà di certo ridimensionato “all’esito di analisi di laboratorio”, così da “attribuire minor disvalore alle condotte in contestazione.”
Alle stesse conclusioni, poi, la Corte giunge anche sulla seconda parte del motivo, che contesta la mancata applicazione della misura degli arresti domiciliari, evidenziando che il COGNOME avrebbe sempre rispettato le prescrizioni cautelari relative a precedenti vicende giudiziarie, portando proficuamente a termine le misure alternative alla detenzione: anche questo argomento, infatti, si connota per un evidente profilo di merito che questa Corte non è ammessa a verificare.
Il ricorso, infine, risulta inammissibile anche per non essersi confrontato con la motivazione resa dal Tribunale del riesame, che, con argomento del tutto adeguato e privo di illogicità manifesta, ha evidenziato le esigenze cautelari a carico del ricorrente e la necessità di farvi fronte con la sola misura custodiale.
6.1. In particolare, è stata innanzitutto sottolineata l’obiettiva serietà dell vicenda, pur inquadrata nell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990: al Leka erano stati sequestrati 13 involucri di cocaina, per 33 grammi complessivi, oltre a
10mila euro in contanti, somma della quale non risulta essere stata fornita alcuna giustificazione, invero opportuna alla luce dello stato di disoccupazione proprio dello stesso ricorrente e di sua moglie.
6.2. Ancora, l’ordinanza ha elencato i precedenti penali a carico dell’indagato, sia per sfruttamento della prostituzione che per delitti in materia di stupefacenti; quanto a questi ultimi, se è vero trattarsi di due episodi ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, come affermato nel ricorso, è altresì vero che il secondo (tra aprile e luglio 2018) era stato commesso quando la precedente condanna era già definitiva (dal 19/7/2017) ed era terminato l’affidamento in prova ai servizi sociali, senza che ciò avesse costituito remora alcuna. Il COGNOME, peraltro, risulta aver riportato un’altra condanna – ad oggi in primo grado – per il medesimo reato, commesso il 16/12/2020.
6.3. In forza di questi elementi oggettivi, il Tribunale, con argomento privo di vizi logici, ha quindi affermato che l’indagato, quantomeno dal 2015, aveva commesso plurime attività illecite nel settore degli stupefacenti, e che le sentenze definitive a suo carico non avevano avuto alcun effetto deterrente; un soggetto di particolare allarme sociale, dunque, per il quale il pericolo di reiterazione del reato è stato congruamente ritenuto fronteggiabile soltanto con la massima misura cautelare, ben potendo lo stesso, altrimenti, seguitare nell’attività illecit approfittando dei margini di libertà connaturati alla custodia domestica.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Il
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2025
Il Presidente