Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25371 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25371 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME n. a Palermo il 14/4/1995 avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia in data 28/2/2025 visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Cons. NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc.Gen. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha illustrato i motivi chiedendone
l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata ordinanza il Tribunale di Venezia, in accoglimento dell’appello cautelare proposto dal P.m. avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Treviso che, in data 24/1/2025, aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di COGNOME NOME in relazione al delitto ex art. 640, comma 2 n. 2 bis, cod.pen., aggravato dalla
recidiva qualificata, disponeva nei confronti del COGNOME la misura della custodia inframuraria.
Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato, Avv. NOME COGNOME il quale ha dedotto:
2.1 bis la possibile incostituzionalità dell’art. 275 cod.proc.pen. per violazione dell’art. 13 della Carta con riguardo al disallineamento testuale tra il sistema cautelare e quello di esecuzione della pena che espone il soggetto a rischio di essere sottoposto a misura custodiale a fronte della concreta possibilità di ottenere, ai sensi dell’art. 20 bis cod.pen. l’accesso a modalità di espiazione della condanna diverse dalla restrizione in carcere;
2.2 il vizio di motivazione con riferimento alla gradualità delle esigenze e all’inadeguatezza delle restanti misure. Il difensore lamenta che il Collegio cautelare ha reputato insufficienti misure cautelari diverse dalla custodia in carcere con motivazione illogica, richiamando l’incapacità dell’indagato di prestarvi spontanea adesione, evocando la commissione di ulteriori reati nonostante il beneficio della sospensione condizionale riconosciutogli in relazione a precedenti condanne, argomento non conferente al fine di dimostrare l’inadeguatezza di misure di minore afflittività di quella imposta. Inoltre, i giudici cautelari hanno ulteriormente ritenuto l’impossibilità di applicare la misura degli arresti domiciliari “per assenza di soluzioni domiciliari documentate” nonostante l’indicazione di una residenza da parte dell’indagato, rassegnando sul punto una motivazione incongrua e contraddittoria;
2.3 la violazione di legge in relazione alla mancata concessione degli arresti domiciliari con riguardo all’avvenuta valorizzazione in senso ostativo delle modalità esecutive del reato mediante strumenti telematici senza considerare la possibilità di adottare un’espressa inibizione all’uso dei mezzi di comunicazione elettronici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo è infondato. Indiscussa la gravità indiziaria, l’ordinanza impugnata ha nella specie ritenuto sussistente un elevato pericolo di recidiva, non neutralizzabile se non con l’adozione della misura di massimo rigore, tenuto conto delle modalità esecutive del fatto e dei plurimi, reiterati, specifici precedenti dell’indagato, attestanti una spiccata e professionale proclività a delinquere nel settore delle truffe informatiche.
Al ricorrente è contestata provvisoriamente la fattispecie delittuosa ex art. 640, comma 2 n.2 bis,cod.pen. sanzionata con la pena detentiva da uno a cinque anni di reclusione, elevata nella forbice edittale compresa tra anni uno, mesi otto di reclusione ed anni otto, mesi quattro per effetto della contestata recidiva reiterata specifica infraquinquennale che, costituendo aggravante ad effetto speciale, concorre alla determinazione della pena a norma dell’art. 278 cod.pen.
1.1 E’ bensì vero che il collegio cautelare ha omesso di formulare la prognosi in ordine alla pena irrogabile in esito al giudizio ma ciò ha fatto all’evidenza in applicazione della regola prevista dall’art. 275, comma 3, cod.proc.pen., fatta salva dal precedente comma 2-bis, secondo la quale il giudice che ritenga
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comunque inadeguata ogni misura cautelare meno afflittiva, può prescindere dai limiti di applicabilità della custodia cautelare in carcere previsti dall’art. 275 comma 2-bis, secondo paragrafo, cod. proc. pen., come introdotto dall’art. 8, comma 1, dl. 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 117.
Questa Corte ha al riguardo in più occasioni precisato che i limiti di applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere previsti dall’art. 275, comma secondo bis, secondo periodo, cod. proc. pen. possono essere superati dal giudice qualora ritenga, secondo quanto previsto dal successivo comma terzo, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva (Sez. 3, n. 32702 del 27/02/2015, COGNOME, Rv. 264261 – 01; nello stesso senso, Sez. 3, n. 15025 del 18/12/2018, dep. 2019, Manto, Rv. 275860- 01; Sez. 2, n. 46874 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 268143 – 01;Sez. 4, n. 43631 del 18/09/2015, COGNOME, Rv. 264828 – 01).
1.2 La citata sentenza n.32702/2015, COGNOME, ha evidenziato che le deroghe ai normali criteri di applicabilità della custodia inframuraria dettate dall’art. 275 comma 2 bis secondo periodo cod.proc.pen. si giustificano con quanto prevede l’art. 656, cod. proc. pen., secondo il quale, normalmente, l’esecuzione della sentenza di condanna a pena detentiva resta sospesa nei confronti di chi deve scontare una pena residua non superiore a tre anni di reclusione, a meno che non si tratti di condannati per delitti di cui agli articoli 423-bis, 572, 612-bis e 624-bi del codice penale, nonché di quelli previsti dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (richiamati dall’art. 656, comma 9, lett. a, cod. proc. pen.), ipotesi in cui la condanna viene eseguita anche se la pena da scontare non è superiore a tre anni, ed ha sottolineato la “rado” dell’intervento legislativo volta ad impedire a chi si ritiene che non dovrà espiare la pena in carcere ogni contatto con la realtà inframuraria. I giudici di legittimità hanno, tuttavia, considerato che, secondo quanto prevede lo stesso art. 656, comma 9, lett. b), cod. proc. pen., la sospensione della esecuzione della pena detentiva non superiore a tre anni di reclusione non può essere disposta nei confronti di coloro che, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, si trovano in stato di custodia cautelare in carcere al momento in cui la sentenza diviene definitiva, regola non modificata dall’intervento legislativo del 2014, che dimostra come lo stesso legislatore contempli la possibilità che, nonostante i limiti e le preclusioni previste dall’art. 275, comma 2bis, secondo paragrafo, la misura della custodia cautelare in carcere può essere applicata quando il giudice ritenga possibile una condanna a pena uguale o inferiore a tre anni di reclusione e contestualmente reputi inadeguata, sul piano cautelare, ogni altra misura meno afflittiva.
2.1 Alla luce dei richiamati principi deve rammentarsi che questa Corte, con valutazione che il Collegio condivide, ha già dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui esclude l’applicabilità della custodia cautelare nei casi in cui sia prevedibile l’irrogazione di una pena detentiva non superiore a tre anni, anziché a quattro, come previsto dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., nel testo risultante dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, ad opera della sentenza n. 41 del 2018, non essendo ravvisabile alcuna irragionevolezza nella diversa individuazione del limite di pena, attesa la differente finalità dei due istituti, che consiste, nel primo caso, nel ridurre il ricors alla custodia e, nel secondo, nel salvaguardare gli obiettivi di risocializzazione,
propri esclusivamente della fase esecutiva (Sez. 1, n. 18891 del 28/02/2019,
COGNOME, Rv. 275480 – 01).
3. Il secondo e terzo motivo, che possono essere congiuntamente delibati, sono manifestamente infondati. Il Collegio cautelare alle pagg. 5-7 ha
congruamente motivato in ordine all’inadeguatezza di misure di minore afflittività
evidenziando l’impossibilità, alla luce della biografia criminale del prevenuto, di confidare sulla spontanea adesione ai contenuti e prescrizioni delle stesse, tenuto
conto dell’assenza di ogni efficacia deterrente delle otto condanne già inflittegli per delitti di truffa consumati tra il 2019 e il 2021 e delle ben 29 denunce riportate
nell’anno 2024 per fatti analoghi a quello per cui si procede. Siffatte emergenze giustificano la valutazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla professionalità e
all’abitualità a delinquere del ricorrente e alla connessa ed elevata intensità del rischio di recidivanza, non utilmente neutralizzabile nemmeno con l’adozione della
misura autodetentiva. Al riguardo, contrariamente a quanto assume la difesa, l’assenza di un documentato e stabile domicilio è argomento speso dai giudici
cautelari in termini meramente rafforzativi giacché il giudizio di inidoneità della misura domiciliare poggia sulle modalità di commissione dell’illecito, attraverso il ricorso a strumenti telematici, la cui disponibilità ed utilizzabilità in ambito domestico non è agevolmente neutralizzabile mediante il sistema dell’interdittiva d’uso, in difetto di una spontanea adesione ai contenuti del regime detentivo da parte dell’indagato, motivatamente negato dall’ordinanza impugnata. In ogni caso va ulteriormente rilevato a confutazione delle deduzioni difensive sul punto che l’esistenza di una residenza anagrafica sul territorio nazionale non equivale alla giuridica disponibilità di un domicilio al fine dell’eventuale esecuzione della misura in forma alternativa.
4.Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato in ragione della complessiva infondatezza dei motivi, con condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. Esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, 10 giugno 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente