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Custodia cautelare: quando è legittima in carcere?

Un’ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema della custodia cautelare in carcere per un indagato per truffa aggravata. La difesa sosteneva la sproporzione della misura rispetto alla pena prevedibile. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che la custodia cautelare in carcere è legittima se le altre misure sono inadeguate a causa dell’elevato pericolo di recidiva dell’indagato, anche se la pena finale potrebbe essere inferiore ai limiti per l’accesso a misure alternative.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia cautelare: quando il carcere è inevitabile anche per pene brevi?

La decisione sulla custodia cautelare rappresenta uno dei momenti più delicati del procedimento penale, poiché bilancia la presunzione di non colpevolezza con esigenze di sicurezza sociale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’elevata pericolosità sociale dell’indagato può giustificare la detenzione in carcere anche quando la pena finale prevista sia relativamente bassa. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Il caso nasce dal ricorso presentato contro un’ordinanza del Tribunale di Venezia. Quest’ultimo, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero, aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo indagato per il reato di truffa aggravata, commessa con strumenti informatici. In prima istanza, il Giudice per le Indagini Preliminari (Gip) aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura carceraria.

I Motivi del Ricorso

La difesa dell’indagato ha contestato l’ordinanza del Tribunale basandosi su diversi motivi, incentrati principalmente sulla violazione del principio di proporzionalità. Secondo il ricorrente:
1. La misura della custodia cautelare in carcere sarebbe sproporzionata, in quanto una ragionevole previsione sulla pena finale non avrebbe giustificato l’ingresso nel circuito carcerario, potendo l’indagato beneficiare di misure alternative alla detenzione.
2. Il giudice avrebbe dovuto considerare che il limite di pena per l’applicazione della custodia in carcere (tre anni, secondo l’art. 275, comma 2-bis, c.p.p.) dovrebbe essere allineato a quello per l’accesso a misure alternative in fase esecutiva (quattro anni, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 41/2018).
3. Le misure degli arresti domiciliari erano state ingiustamente scartate, nonostante l’indagato avesse indicato una residenza.

La Decisione della Cassazione sulla custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito che, sebbene esista un limite generale di pena per l’applicazione della custodia in carcere, questo può essere superato in presenza di specifiche condizioni. La pronuncia si basa su una distinzione netta tra la logica che governa la fase cautelare e quella che presiede all’esecuzione della pena.

La deroga al limite di pena

Il punto cruciale della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma consente al giudice di disporre la custodia cautelare in carcere anche quando si preveda una pena inferiore al limite di tre anni, qualora ritenga inadeguata ogni altra misura meno afflittiva. Nel caso di specie, il Tribunale aveva motivato la sua scelta evidenziando l’elevato pericolo di recidiva dell’indagato, desunto dai suoi numerosi e specifici precedenti per reati dello stesso tipo.

Differenza tra fase cautelare ed esecuzione della pena

La Corte ha inoltre ribadito, richiamando la giurisprudenza costituzionale, che le finalità delle misure cautelari sono diverse da quelle della pena. Le prime servono a prevenire rischi processuali (fuga, inquinamento prove, reiterazione del reato), mentre la seconda ha una funzione punitiva e rieducativa. Pertanto, non vi è alcuna irragionevolezza nel prevedere limiti di pena diversi per l’accesso ai due istituti, e il giudice della cautela non è vincolato a una prognosi sulla futura eseguibilità della pena in regime alternativo.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale pienamente logica e coerente. L’ordinanza impugnata aveva correttamente identificato un elevato e concreto pericolo di recidiva, basato sulla ‘spiccata e professionale proclività a delinquere nel settore delle truffe informatiche’ manifestata dall’indagato attraverso i suoi precedenti. Questa pericolosità rendeva inadeguata qualsiasi misura meno restrittiva. In particolare, gli arresti domiciliari sono stati scartati perché il reato era stato commesso con strumenti telematici, facilmente utilizzabili anche in un contesto domestico, rendendo difficile neutralizzare il rischio di reiterazione. La Corte ha sottolineato che la semplice indicazione di una residenza anagrafica non equivale alla disponibilità di un domicilio idoneo per l’esecuzione di una misura alternativa.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza pratica: la valutazione sulla misura cautelare più idonea deve essere basata su un giudizio concreto e attuale sulla pericolosità dell’indagato. Il giudice può discostarsi dai limiti di pena generali per la custodia cautelare in carcere quando le circostanze specifiche del caso, come la professionalità nel crimine e le modalità esecutive del reato, dimostrino che nessuna altra misura sarebbe sufficiente a tutelare la collettività. Questa decisione riafferma la discrezionalità del giudice nel bilanciare la libertà personale con le esigenze di prevenzione, separando nettamente il piano cautelare da quello dell’esecuzione della pena.

È possibile applicare la custodia cautelare in carcere se si prevede che la pena finale non supererà i tre anni?
Sì, è possibile. Secondo la sentenza, l’art. 275, comma 3, cod.proc.pen. consente al giudice di disporre la custodia in carcere anche per pene inferiori a tre anni, qualora ritenga che ogni altra misura cautelare meno afflittiva sia inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari, in particolare a causa dell’elevato pericolo di recidiva.

Perché la Corte ha ritenuto inadeguate misure meno afflittive come gli arresti domiciliari?
La Corte ha ritenuto inadeguati gli arresti domiciliari perché il reato contestato (truffa informatica) era stato commesso tramite strumenti telematici. La disponibilità e utilizzabilità di tali strumenti in ambito domestico non sarebbe stata facilmente neutralizzabile, data la mancanza di una spontanea adesione dell’indagato alle prescrizioni e la sua spiccata proclività a delinquere.

Qual è la differenza tra il sistema cautelare e quello di esecuzione della pena secondo la sentenza?
La sentenza, richiamando la Corte Costituzionale, sottolinea che i due sistemi hanno finalità diverse. Il sistema cautelare ha lo scopo di prevenire rischi durante il processo (fuga, inquinamento probatorio, reiterazione del reato). Il sistema di esecuzione della pena, invece, ha finalità punitive e di risocializzazione. Questa differente finalità giustifica l’esistenza di regole e limiti di pena diversi per i due istituti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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