Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9552 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9552 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 17/01/2025
R.G.N. 38291/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME nato a Castellammare di Stabia il 25/03/1961 avverso l’ordinanza del 01/10/2024 del Tribunale del Riesame di Napoli udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME il quale conclude chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. uditi i difensori:
L’avvocato COGNOME conclude riportandosi ai motivi del ricorso chiedendone l’accoglimento. L’avvocato COGNOME conclude chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 01 ottobre 2024, depositata il 25 ottobre 2024, il Tribunale del riesame di Napoli ha respinto l’istanza di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere emessa in data 09 settembre 2024 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, quale indagato per il reato di cui agli artt. 110, 575-577, 416bis .1 cod. pen. commesso il 12/11/2000 uccidendo NOME COGNOME quale esecutore materiale, ed agendo al fine di favorire il clan camorristico dei COGNOME.
Il Tribunale ha respinto le eccezioni di nullità dell’ordinanza genetica, in primo luogo valutandone il contenuto come autonomo rispetto alla richiesta del pubblico ministero; in secondo luogo affermando che nessuna indagine era stata svolta prima della formale autorizzazione alla riapertura delle indagini, essendo stata l’iscrizione del COGNOME nel registro degli indagati intervenuta solo in data 27/07/2023 sulla base degli indizi emersi nel febbraio 2020, con le dichiarazioni del collaborante NOME COGNOME, ed essendo stata subito chiesta la riapertura delle indagini; in terzo luogo respingendo tutte le eccezioni relative alle attività di intercettazione svolte a partire dall’anno 2000, sia quanto all’utilizzo di impianti situati fuori dalla procura, sia quanto alla legittimità dei singoli decreti autorizzativi; in quarto luogo respingendo l’eccezione relativa alla
tempestività delle propalazioni del collaboratore NOME COGNOME e alla utilizzabilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME non verbalizzate ma riportate nelle relazioni di servizio.
Nel merito, ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, rappresentati dalle dichiarazioni di NOME COGNOME soggetto a conoscenza diretta dei fatti in quanto autore dei sopralluoghi precedenti l’omicidio e sostituito all’ultimo momento per la sola fase esecutiva, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME dichiaranti de relato ma da fonte diretta, di NOME COGNOME e infine di NOME COGNOME dichiaranti de relato , da fonte indiretta ma qualificata, respingendo le affermazioni di scarsa attendibilità di tali dichiarazioni, formulate dalla difesa, stanti anche i riscontri costituiti dall’esito delle intercettazioni e dalle dichiarazioni dei parenti della vittima, sia quanto al movente dell’omicidio, sia quanto ai suoi autori. Infine ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari e adeguata la custodia in carcere, nonostante il tempo trascorso dai fatti, per le modalità mafiose del reato, la personalità dell’indagato, il ruolo dirigenziale da lui assunto nel clan di appartenenza, i delitti commessi successivamente, elementi da cui ha dedotto la sua elevata pericolosità sociale.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME per mezzo dei suoi difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME articolando sette motivi, erroneamente elencati come otto.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. quanto all’eccezione della mancanza di autonoma valutazione da parte del giudice per le indagini preliminari.
L’ordinanza genetica Ł frutto di un semplice copia-incolla rispetto alla richiesta del pubblico ministero, ed Ł priva di una valutazione autonoma e indipendente in merito alla sussistenza degli indizi a carico del ricorrente e della loro gravità. L’ordinanza del Tribunale del riesame Ł errata laddove afferma che il G.i.p. ha valutato tali indizi in modo autonomo, perchØ non tiene conto del fatto che la sua valutazione consiste in una mera ripetizione dell’imputazione, a cui si aggiungono frasi anodine, non specifiche della vicenda esaminata.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. quanto all’eccezione della nullità delle indagini svolte prima della formale riapertura delle stesse.
L’indagine nei confronti del ricorrente venne archiviata il 07/12/2004, e solo in data 01/08/2023 il pubblico ministero ne ha chiesto la riapertura, autorizzata il 05/10/2023, facendo riferimento alle dichiarazioni di NOME COGNOME intervenute nel febbraio 2020. Il Tribunale ha respinto l’eccezione affermando che nessuna indagine Ł stata svolta in tale arco temporale, ma nello stesso tempo ha rilevato che nell’informativa datata 27/07/2023 la polizia giudiziaria dava atto delle nuove emergenze probatorie: ciò significa che tali emergenze sono state acquisite mediante indagini svolte prima della riapertura delle indagini e che, pertanto, la motivazione dell’ordinanza impugnata Ł illogica e contraddittoria, nonchØ carente, dal momento che il Tribunale avrebbe dovuto individuare il materiale legittimamente utilizzabile, valutandone l’insufficienza per l’emissione della misura cautelare.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. quanto all’eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni autorizzate con i decreti n. 2251/2000 RR.
La difesa aveva eccepito che tali intercettazioni erano state effettuate con impianti esterni alla procura della Repubblica sulla base di un’attestazione risalente ad un mese prima, e perciò non idonea a dimostrare l’insufficienza degli impianti interni, nel momento di inizio delle stesse. L’ordinanza impugnata ha travisato i termini della questione, motivando che tali intercettazioni, una
volta iniziate su impianti esterni, non potevano essere trasferite sugli impianti della procura, per non essere interrotte, mentre la questione posta era che sin dall’inizio esse non avrebbero potuto essere effettuate su impianti esterni: la sua motivazione, perciò, Ł illogica e carente.
L’ulteriore eccezione relativa al decreto autorizzativo n. 2251/2000 e a quello n. 2252/2000, cioŁ la mancanza di motivazione, non essendo indicato il fatto per cui vi sarebbero indizi di reità, Ł stata respinta dal Tribunale del riesame con motivazione apodittica, asserendo che il G.i.p. autorizzava le intercettazioni per il delitto di associazione di stampo mafioso, così integrando tale decreto senza una vera motivazione e in modo illegittimo.
L’eccezione relativa al decreto autorizzativo n. 246/2001 RR, cioŁ la prosecuzione delle intercettazioni oltre i venti giorni autorizzati, Ł stata respinta dal Tribunale del riesame dicendo che la nuova autorizzazione, emessa due giorni dopo la scadenza del termine, vale come nuova autorizzazione, rendendo perciò legittime le intercettazioni successive, mentre il nuovo decreto non può avere tale valenza, essendo privo di un autonomo apparato giustificativo.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. quanto all’omesso confronto con l’ordinanza con cui il tribunale del riesame di Napoli, in data 30 maggio 2003, respinse la richiesta di misura cautelare nei confronti del ricorrente.
In quell’ordinanza il tribunale del riesame escluse motivatamente la rilevanza indiziaria di molti degli elementi valorizzati, invece, dal provvedimento impugnato, per cui questo avrebbe dovuto confrontarsi con detta ordinanza e spiegare in modo maggiormente convincente le ragioni della sua diversa valutazione, trattandosi di elementi che vengono utilizzati come riscontri, così come avrebbe dovuto motivare la diversa rilevanza data alle dichiarazioni dei collaboratori NOME e COGNOME, nonostante le quali il pubblico ministero, nel 2004, chiese l’archiviazione. La motivazione dell’ordinanza impugnata Ł del tutto assente sotto tale profilo. Essa, inoltre, non tiene conto del fatto che non vi Ł neppure una chiamata in reità diretta in merito alla fase esecutiva dell’omicidio, perchØ nessuno dei dichiaranti vi ha partecipato, neppure l’Esposito, cosicchØ anche in merito ai dichiaranti de relato vi Ł il dubbio che nessuno di essi abbia ricevuto informazioni da una fonte diretta. Il Tribunale non ha, comunque, valutato l’attendibilità delle fonti dei vari dichiaranti, oltre che dei dichiaranti stessi, nØ ha valutato la estrema genericità delle loro dichiarazioni, ed ha svalutato in modo illogico le loro difformità.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso, erroneamente indicato come sesto, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. quanto alla sussistenza dell’aggravante della premeditazione.
L’ordinanza la ritiene sussistente basandosi sulle dichiarazioni di NOME COGNOME, che sono però generiche, non indicando la risalenza nel tempo dei suoi appostamenti, e dimostrano, comunque, l’estemporaneità della decisione di compiere l’omicidio dal momento che, a suo dire, la decisione di coinvolgere un altro soggetto al suo posto fu presa all’ultimo momento. Manca, quindi, il requisito ideologico, richiedendo la premeditazione il perdurare nell’animo del colpevole, senza soluzione di continuità, di una determinazione ferma, chiusa ad ogni modifica della decisione assunta.
2.6. Con il sesto motivo di ricorso, elencato erroneamente come settimo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. quanto alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen.
L’aggravante Ł contestata solo sotto il profilo della finalità di agevolare un clan camorristico, mentre il Tribunale del riesame ha valutato la sussistenza dell’uso del metodo mafioso. Manca, quindi, la motivazione circa la sussistenza dell’aggravante così come contestata, la cui esistenza Ł messa in dubbio dal movente indicato dal collaboratore COGNOME, senza che di ciò il Tribunale del riesame tenga conto.
2.3. Con il settimo motivo di ricorso, erroneamente indicato come ottavo, deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen. quanto alla motivazione sulle esigenze cautelari.
L’ordinanza non tiene conto della notevole risalenza nel tempo del delitto, in quanto contiene una motivazione solo apparente, che non valuta che il lungo tempo trascorso dall’omicidio quanto meno affievolisce la presunzione relativa circa la sussistenza delle esigenze cautelari, sotto il profilo del pericolo di reiterazione dei reati. Anche la necessità di applicare la misura della custodia in carcere non Ł adeguatamente motivata, non avendo il Tribunale valutato la idoneità degli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, nel suo complesso, Ł infondato e deve essere rigettato.
Il primo motivo di ricorso Ł infondato.
La valutazione di una sufficiente autonomia dell’ordinanza genetica, rispetto alla richiesta di misura cautelare formulata dal pubblico ministero, Ł adeguata e concreta. L’ordinanza richiama, in particolare, i punti in cui il g.i.p. ha espresso la sua personale valutazione circa la rilevanza dei singoli elementi indiziari a carico del ricorrente, contenuti nella richiesta stessa. La deduzione del ricorrente, peraltro, Ł generica e consiste solo in una personale valutazione circa la idoneità della motivazione dell’ordinanza genetica, mentre questa Corte ha sempre sostenuto che «In tema di impugnazioni avverso i provvedimenti de libertate , il ricorrente per cassazione che denunci la nullità dell’ordinanzacautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate» (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Rv. 277496).
Nel presente caso il ricorrente stesso dà atto che l’ordinanza genetica esplicitamente indica gli elementi da cui ritiene che emerga la prova della sussistenza del reato, e non nega che il g.i.p. abbia esposto una sua personale conclusione, ma sostiene che la sua motivazione Ł insufficiente e non autonoma. Non si confronta, però, con la motivazione dell’ordinanza impugnata, in cui il Tribunale richiama esplicitamente la pagina 49 dell’ordinanza genetica come contenente la personale valutazione degli indizi da parte del g.i.p., e la parte della motivazione relativa alla sussistenza delle esigenze cautelari, ed afferma che il g.i.p. dà atto di avere «valutato e considerato tutti gli elementi in suo possesso e di essere giunto ad una personale conclusione», e quindi di avere compiuto l’autonomo percorso argomentativo che il ricorrente sostiene essere stato omesso. Il ricorso non controbatte a questa valutazione del Tribunale indicando in modo specifico quali indizi, ovvero quali elementi relativi alle esigenze cautelari, non sarebbero stati valutati in modo autonomo. Esso rimane, perciò, generico e sostanzialmente reiterativo, non confrontandosi adeguatamente con l’ordinanza impugnata, che ha valutato la doglianza in questione e l’ha respinta con una motivazione non illogica nØ contraddittoria, che si sottrae, perciò, al sindacato del giudice di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso Ł infondato, per la medesima ragione.
Il ricorrente reitera le eccezioni proposte contro l’ordinanza genetica, in merito alla dedotta inutilizzabilità delle indagini svolte prima della riapertura delle stesse, senza confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza impugnata, che ha valutato tale eccezione, alle pagine 3 e 4, e l’ha ritenuta infondata perchØ l’informativa della polizia giudiziaria datata 17/07/2023, che secondo il ricorrente dimostrerebbe l’avvenuto svolgimento di indagini sino a quella data, contiene solo il
resoconto delle emergenze antecedenti al 2020, comprensive delle dichiarazioni del COGNOME, risalenti al febbraio 2020, in quanto redatta a seguito della richiesta del pubblico ministero, formulata in data 28/09/2020, di raccogliere gli elementi emersi sino a quel momento a carico del ricorrente. Il Tribunale del riesame precisa infatti che tale informativa, in merito alle presunte nuove emergenze che vi sarebbero contenute, cita solo le dichiarazioni del collaborante NOME COGNOME, risalenti al febbraio 2020 e conseguenti non allo svolgimento di nuove indagini, ma solo alla sopravvenuta scelta collaborativa del dichiarante stesso.
Anche in questo caso, pertanto, il ricorso non si confronta adeguatamente con la motivazione dell’ordinanza impugnata, che anche nelle parti successive non cita mai indagini o intercettazioni svolte dopo il 28/09/2020, ed espone una doglianza generica, in quanto non indica quali indagini sarebbero state svolte successivamente, e sarebbero state poste a base della misura cautelare stessa.
4. Il terzo motivo di ricorso Ł infondato.
La motivazione dell’ordinanza del tribunale del riesame non affronta esplicitamente la questione dell’omesso rinnovo della verifica della indisponibilità degli impianti situati presso la Procura della Repubblica immediatamente prima dell’inizio delle operazioni di intercettazione, avvenuto in data 12 dicembre 2020. Appare evidente, però, l’infondatezza della doglianza: il ricorrente stesso riconosce che tale verifica Ł stata effettuata, e lamenta solo che essa sia stata troppo distante rispetto all’inizio effettivo delle intercettazioni. Tale affermazione non Ł condivisibile in quanto il tempo trascorso, asseritamente pari a circa un mese, non Ł tale da porre un dubbio di inattendibilità del suo esito alla data di effettivo inizio delle intercettazioni. Il ricorso, poi, non Ł fondato perchØ non indica quali conversazioni, viziate per tale motivo, sono state poste a base della motivazione, e non effettua la sempre doverosa prova di resistenza, valutando se, espunte tali intercettazioni, verrebbe meno la prova circa la sussistenza del reato o la responsabilità del ricorrente stesso. Il ricorso, infatti, si limita ad affermare, anche in questo caso con eccessiva genericità, che da esse l’accusa ha ricavato la prova del ruolo del ricorrente nel contesto criminale di riferimento, ma tale ruolo Ł stato ampiamente riferito dai collaboratori, ed emerge da molte altre intercettazioni: l’eccezione, perciò, Ł irrilevante, in quanto anche escludendo le intercettazioni contestate il quadro indiziario, per quanto riferito dal ricorrente, non risulta indebolirsi.
Anche le ulteriori eccezioni, relative alla mancanza di motivazione dei decreti autorizzativi n. 2251/2000 e n. 2252/2000 e alla tardività del decreto n. 246/2001, sono infondate e non accoglibili. In primo luogo, quanto all’eccezione relativa ai primi due decreti, il ricorso non si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata, che evidenzia come entrambi fossero sufficientemente motivati con il richiamo alla richiesta del pubblico ministero, che riportava in modo esplicito gli indizi già emersi circa l’esistenza di un sodalizio criminoso e di una sua contrapposizione con altre associazioni, che poteva avere provocato l’omicidio del COGNOME. Il richiamo alla motivazione della richiesta avanzata dal pubblico ministero Ł sufficiente, non essendo necessario, per la gravità degli indizi che consente l’intercettazione, nØ che essi dimostrino già la sussistenza di un reato (Sez. 3, n. 14954 del 02/12/2014, dep. 2015, Rv. 263044), nØ che essi risultino a carico di una persona già individuata (vedi Sez. 1, n. 2568 del 18/09/2020, dep. 2021, Rv. 280354). L’indicazione, da parte del pubblico ministero, della sussistenza di gravi indizi circa l’esistenza di una associazione camorristica Ł perciò sufficiente per autorizzare l’intercettazione, e legittima l’interpretazione del Tribunale del riesame, secondo cui essa Ł stata disposta per l’accertamento del reato di cui all’art. 416bis cod. pen.
Quanto all’eccezione relativa al decreto autorizzativo n. 246/2001, il ricorso non si confronta adeguatamente con l’ordinanza impugnata, in cui il Tribunale del riesame ha affermato,
prioritariamente, l’irrilevanza dell’eccezione stessa, dal momento che, anche espungendo le conversazioni intercettate sulla base di tale decreto, «resterebbe immutata la valutazione di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del Di Martino». Il ricorrente, infatti, si limita a sostenere che l’esclusione di dette conversazioni «eliderebbe l’elemento utilizzato nella o.c.c., la conv. n. 9 del 05.03.2001 … con l’effetto di rendere necessaria la prova di resistenza», ma non tiene conto del fatto che il Tribunale del riesame ha effettuato tale prova, con l’esito sopra riportato, dal momento che, alla pagina 16 dell’ordinanza, cita detta conversazione solo come uno dei tre riscontri esterni alla dichiarazioni dei collaboranti. Questo motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato, sul punto, perchØ non si confronta con questa parte della motivazione, e con la conseguente valutazione di irrilevanza dell’eccezione formulata.
Il quarto motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per la sua manifesta infondatezza.
5.1. L’ordinanza n. 2800 emessa in data 30 maggio 2003 dal Tribunale del riesame di Napoli, che annullò l’ordinanza cautelare allora emessa dal g.i.p. ritenendo insussistenti i gravi indizi di colpevolezza del reato qui di nuovo contestato, si fondava su un materiale indiziario così diverso dall’ordinanza cautelare emessa in data 09 settembre 2024, da rendere del tutto irrilevante un confronto tra i due provvedimenti. E’ infatti evidente, dalla lettura degli stessi, che l’ordinanza emessa successivamente si basa su numerosi elementi indiziari che, all’epoca, non erano emersi, e che la valutazione allora espressa circa gli indizi posti dal pubblico ministero a base della sua richiesta non si Ł modificata, essendo gli stessi ritenuti ancora oggi poco significativi, e rilevanti solo quale riscontro agli indizi ben piø consistenti raccolti successivamente. Gli otto elementi elencati alle pagine 14 e 15 del ricorso, che costituirebbero il fulcro della motivazione dell’ordinanza emessa in data 30 maggio 2003, rendono evidente che l’ordinanza emessa in data 09 settembre 2024 non si fonda su di loro, bensì sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ed in particolare di NOME COGNOME, all’epoca non ancora rese. Le accuse formulate dai fratelli della vittima, indicate al n. 1 di detto elenco e ritenute, all’epoca, non costituire un indizio, sono riportate nell’ordinanza qui impugnata, alla pagina 15, come mera conferma delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia. Analogamente, le lettere scritte da NOME COGNOME ad NOME COGNOME, le dichiarazioni captate a carico dei congiunti e conoscenti della vittima, la stessa conversazione n. 9 intercettata in data del 05.03.2001, di cui ai numeri 2, 3, 4 e 7 del predetto elenco, sono utilizzate solo come riscontri alle propalazioni dei collaboratori, le quali peraltro si riscontrano a vicenda e sono ritenute, dal Tribunale del riesame, «già di per sØ pienamente attendibili e fondanti un grave quadro indiziario nei confronti dell’odierno ricorrente» (pag. 16 dell’ordinanza impugnata). La conclusione raggiunta all’epoca, della mancanza di un quadro indiziario perchØ non era stato accertato chi avesse identificato i killers, quale fosse la fonte della loro indicazione nominativa contenuta in diverse intercettazioni, e quale fosse il possibile movente dell’agguato, Ł stata superata dalla sopravvenienza di numerosi e ben piø pregnanti elementi indiziari, costituiti dalle dichiarazioni di vari collaboratori, esaminate alle pagine da 8 a 15 dell’ordinanza impugnata, elementi nuovi (ad eccezione dei collaboratori COGNOME e COGNOME dichiaranti de relato già ascoltati prima dell’emissione dell’ordinanza del 30 maggio 2003 e correttamente ritenuti, allora, insufficienti dal pubblico ministero) la cui valutazione costituisce la motivazione rafforzata richiesta dal ricorrente.
La motivazione dell’ordinanza impugnata appare logica e non contraddittoria: le valutazioni difformi di specifici elementi, elencati alla pagina 16 del ricorso, sono giustificate, infatti, dal loro esame alla luce del nuovo compendio indiziario, che ha permesso di superare le equivocità ed ambiguità dei pochi indizi raccolti all’epoca dell’omicidio, che determinarono il tribunale del riesame di allora ad annullare l’ordinanza di custodia cautelare.
Questa prima parte del motivo di ricorso, pertanto, Ł manifestamente infondata, in quanto deduce una violazione di legge processuale e una carenza o illogicità motivazionale del tutto insussistenti, avendo l’ordinanza impugnata, logicamente, omesso un diretto confronto con il provvedimento emesso ben undici anni prima per la rilevante diversità del materiale indiziario posto a base della stessa richiesta di misura cautelare.
5.2. La seconda parte di questo quarto motivo di ricorso deduce la omessa o errata valutazione delle chiamate di correità poste a fondamento dell’ordinanza cautelare, chiamate che il ricorrente esamina singolarmente per evidenziarne la asserita genericità o contraddittorietà, nonchØ deduce la omessa valutazione dell’attendibilità della fonte di ciascun dichiarante.
Anche sotto questo profilo il motivo Ł manifestamente infondato.
L’ordinanza impugnata esamina in modo approfondito e dettagliato tali dichiarazioni, indicandone e valutandone anche la fonte, alle pagine da 8 a 15, e conformandosi ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità, sia quanto alla valutazione della loro attendibilità intrinseca, sia quanto alla loro attendibilità estrinseca e all’esistenza di riscontri, che possono essere costituiti anche dalle dichiarazioni di altri collaboratori: sul punto, l’ordinanza ribadisce la legittimità di una valutazione frazionata di tali dichiarazioni, e il principio secondo cui «In tema di chiamata in correità, qualora i riscontri esterni siano costituiti da ulteriori dichiarazioni accusatorie, esse devono convergere in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione ed avere portata individualizzante, intesa quale riferibilità sia alla persona dell’incolpato che alle imputazioni a lui ascritte, senza che possa pretendersi la piena sovrapponibilità dei loro rispettivi contenuti narrativi, dovendosi piuttosto privilegiare l’aspetto sostanziale della concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere» (Sez. 6, n. 47108 del 08/10/2019, Rv. 277393).
Il ricorso trascura del tutto quest’ultimo principio e la legittimità della valutazione frazionata delle dichiarazioni, e nega la loro convergenza solo sulla base di singole difformità su elementi di contorno, altresì omettendo di confrontarsi con l’ordinanza che, dopo un esame dettagliato delle singole dichiarazioni, evidenzia che «tutti i collaboratori sono concordi nell’indicare il COGNOME coinvolto nell’omicidio … e nel riferire che Ł stato proprio lui a sparare al COGNOME. Tutti i collaboratori inquadrano l’omicidio nei contrasti interni al clan COGNOME dovuti alla scissione del gruppo della COGNOME e tutti i collaboratori sono soggetti particolarmente qualificati» (pag. 12 dell’ordinanza). Il ricorso non si confronta, infatti, con questa valutazione, che coglie invece, correttamente, la assoluta convergenza di tutte le dichiarazioni sul nucleo centrale del reato e sul ruolo assunto dal ricorrente stesso.
Anche la valutazione dell’attendibilità delle fonti dei singoli dichiaranti Ł effettuata in modo approfondito nelle pagine 9 e 10 dell’ordinanza impugnata, indicando la fonte di ciascuno di essi e le ragioni della sua attendibilità (ad eccezione della fonte del Procida, tale NOME COGNOME il quale però, significativamente, indica in un Esposito uno degli esecutori materiali, confermando così, indirettamente, che questi venne sostituito all’ultimo momento, come da lui stesso dichiarato).
Del tutto infondata, peraltro, Ł la continua qualificazione del collaboratore NOME COGNOME come un dichiarante de relato : egli Ł un dichiarante diretto in merito alle fasi organizzativa e preparatoria dell’omicidio, avendo ricevuto dal COGNOME stesso l’incarico di partecipare alla sua materiale esecuzione, avendo con lui effettuato diversi sopralluoghi, ed essendo stato sostituito solo all’ultimo momento da NOME COGNOME quale esecutore materiale. La sostituzione, e il nome dell’altro esecutore, gli vennero riferiti dallo stesso COGNOME. E’ evidente, quindi, che egli Ł a conoscenza diretta del coinvolgimento dell’odierno ricorrente nell’omicidio, e la sua non conoscenza diretta di chi abbia materialmente sparato Ł irrilevante per la sua credibilità, avendo egli appreso dallo stesso COGNOME il nominativo di colui che lo avrebbe sostituito, ed essendo irrilevante, quanto al ruolo di esecutore materiale, se i colpi siano stati esplosi dall’uno o dall’altro dei due esecutori
materiali. La richiesta di verifica della fonte delle informazioni riferite da NOME COGNOME, contenuta nel ricorso, Ł pertanto manifestamente illogica, avendo questi riferito fatti a sua diretta conoscenza perchØ da lui stesso compiuti, o perchØ a lui riferiti dallo stesso accusato; altrettanto illogica Ł la richiesta di verifica dell’attendibilità della fonte di NOME COGNOME, da lui indicata in NOME COGNOME nonchØ, in parte, nello stesso NOME COGNOME: quest’ultimo Ł un diretto partecipe alla organizzazione e alla preparazione dell’omicidio stesso, ed ha ammesso di avere scambiato varie considerazioni sul fatto con il predetto COGNOME la cui conoscenza della vicenda, pertanto, Ł confermata dal medesimo partecipe.
L’ordinanza impugnata ha esplicitamente affermato di essersi conformata, nella valutazione delle chiamate in correità e della loro sufficienza a carico del ricorrente, ai principi stabiliti dalla sentenza Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. NUMERO_CARTA, sottolineando peraltro che le dichiarazioni dell’COGNOME costituiscono una chiamata diretta e non de relato , che Ł confermata dai dichiaranti de relato . Il ricorso nega la corretta applicazione di tali principi sostenendo non essere stata individuata o valutata la fonte diretta dei dichiaranti de relato , ma, al contrario, tale individuazione Ł stata effettuata, e la sua valutazione di attendibilità Ł stata ritenuta superflua quando tale fonte Ł un complice nel reato, o l’indagato stesso. Deve ribadirsi, poi, che la sentenza delle Sezioni Unite sopra citata Ł stata emessa in relazione alla prova necessaria per la condanna nel giudizio di merito, mentre per l’emissione di una misura cautelare non Ł richiesto il raggiungimento della prova della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, bensì solo la prova della sussistenza di gravi indizi di tale colpevolezza: per tale motivo, questa Corte ha anche affermato che i riscontri estrinseci alla chiamata in reità o correità nella fase cautelare possono essere «anche solo parzialmente o tendenzialmente individualizzanti, in quanto la verifica dell’attendibilità di tali dichiarazioni pertiene ad una fase segnata dalla fluidità dell’incolpazione, in cui non Ł richiesta la certezza della colpevolezza ed Ł invece sufficiente al riguardo un consistente grado di probabilità» (Sez. 4, n. 22740 del 16/07/2020, Rv. 279515). il ricorso non tiene conto della diversa valutazione degli indizi che attiene alla fase cautelare rispetto al giudizio di merito, diversità che rende sufficientemente completa, non illogica nØ contraddittoria la motivazione contenuta nell’ordinanza impugnata, e non suscettibile, perciò, di annullamento da parte del giudice di legittimità (si veda, sul punto, Sez. U, n. 11 del 23/02/2000, COGNOME, Rv. 215828).
Anche il quinto motivo di ricorso, erroneamente indicato come sesto, Ł inammissibile per la sua manifesta infondatezza.
Il ricorrente sostiene l’insussistenza dell’aggravante della premeditazione solo affermando che le dichiarazioni del collaboratore COGNOME non chiariscono la risalenza nel tempo degli appostamenti, e che la decisione di sostituire all’ultimo momento lo stesso dichiarante con un diverso soggetto dimostrerebbe l’estemporaneità della decisione di commettere l’omicidio. Tale affermazione Ł manifestamente illogica e infondata: in primo luogo la citazione giurisprudenziale di una sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte Ł errata, essendo richiamata una pronuncia della Sez. 1, n. 37825 del 29/04/2022, Rv. 283512, la cui massima recita che «In tema di omicidio, la mera preordinazione del delitto, intesa come apprestamento dei mezzi minimi necessari all’esecuzione, nella fase a quest’ultima immediatamente precedente, non Ł sufficiente a integrare l’aggravante della premeditazione, che postula invece il radicamento e la persistenza costante, per un apprezzabile lasso di tempo, nella psiche del reo del proposito omicida, del quale sono sintomi il previo studio delle occasioni e dell’opportunità per l’attuazione, un’adeguata organizzazione di mezzi e la predisposizione delle modalità esecutive». In quel caso l’aggravante della premeditazione fu ritenuta sussistente, per avere l’omicida compiuto uno studio accurato dei luoghi in cui compiere l’agguato e delle abitudini della vittima.
La medesima situazione Ł stata, correttamente, ravvisata dal Tribunale del riesame nella presente vicenda, in cui l’COGNOME ha riferito di una pluralità di sopralluoghi, necessariamente svolti in piø giorni, con una programmazione, pertanto, protrattasi per un apprezzabile lasso di tempo, ed ha altresì parlato di un «ordine generale di uccidere» i membri del gruppo della COGNOME, proveniente dai vertici del clan COGNOME e a lui comunicato dallo stesso ricorrente. Anche il dichiarante il COGNOME ha riferito di una accurata preparazione della fase finale dell’esecuzione. E’ pertanto ampiamente provato che l’omicidio era un delitto preordinato da tempo ed organizzato con una accurata preparazione, protrattasi a lungo, elementi che dimostrano ampiamente il radicamento del proposito omicidiario nella psiche del ricorrente.
Il ricorso non si confronta affatto con la motivazione dell’ordinanza che, avendo richiamato nel dettaglio le varie chiamate in reità o correità, anche relative alla fase organizzativa e preparatoria del delitto, ha sufficientemente motivato la sussistenza dell’aggravante, ed incorre così nel difetto di ammissibilità per genericità e mancanza di specificità.
Anche il sesto motivo di ricorso, erroneamente indicato come settimo, Ł inammissibile per manifesta infondatezza.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale del riesame abbia motivato la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen. anche sotto il profilo dell’utilizzo del metodo mafioso, mentre la contestazione Ł relativa solo alla finalità di agevolare il clan camorristico dei Cesarano. Tale deduzione Ł irrilevante e priva di interesse per il ricorrente, dal momento che l’attribuzione di una condotta che non gli Ł contestata non può nuocergli, ma può risultare congeniale alla valutazione della sussistenza del reato, stante la fluidità dell’incolpazione nella fase della applicazione di una misura cautelare.
Erroneamente, poi, il ricorso afferma la totale mancanza di motivazione in merito alla sussistenza dell’aggravante nella forma dell’agevolazione del clan camorristico: l’ordinanza motiva esplicitamente alla pagina 17, nel paragrafo successivo a quello relativo all’utilizzo del metodo mafioso, che «la finalità dell’agevolazione mafiosa va ravvisata nella conservazione del prestigio criminale sul territorio da parte del clan COGNOME». Tale motivazione Ł adeguata e logica, nonchØ conforme alle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME anche quanto alla provenienza del mandato omicidiario dai vertici del clan COGNOME, elemento che conferma l’interesse del clan alla eliminazione del COGNOME, e alle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME secondo cui il COGNOME fu ucciso perchØ «dava fastidio ai Cesarano», dichiarazione che conferma che il movente dell’omicidio non era una questione personale degli esecutori materiali, ma la decisione dei capi dell’associazione camorristica di eliminare un proprio concorrente, ovvero la loro volontà di ribadire il proprio controllo sul territorio.
Il settimo motivo di ricorso, erroneamente indicato come ottavo, Ł infondato e deve essere rigettato.
L’ordinanza impugnata motiva adeguatamente la sussistenza delle esigenze cautelari e la necessità di applicare la misura della custodia in carcere, sulla base della pericolosità del ricorrente, ampiamente valutata alle pagine da 17 a 19, e logicamente ritenuta dimostrata dai numerosi delitti, tra cui estorsioni ed un altro omicidio, commessi successivamente a quello oggetto del presente procedimento, e dall’assenza di qualunque espressione di resipiscenza. Altro elemento dimostrativo della sua pericolosità Ł stato ravvisato nella sua partecipazione al clan COGNOME, perdurante da oltre venti anni, che Ł dimostrata da una condanna per il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen., clan nel quale egli ha rivestito un ruolo apicale e di cui Ł rimasto partecipe nonostante la lunga detenzione. La valutazione di una personalità fortemente incline al delitto e di una rilevante capacità
criminale Ł pertanto logica, e fondata su elementi concreti; sulla base di tale valutazione l’ordinanza ha ritenuto, in modo logico e non contraddittorio, che la mera distanza temporale del delitto contestato non sia sufficiente per superare la presunzione relativa di pericolosità stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Tale valutazione Ł conforme agli elementi indiziari acquisiti, e ai principi giurisprudenziali, secondo cui «In tema di misure cautelari, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. Ł prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito. » (Sez.6, n. 11735 del 25/01/2024, Rv. 286292) e «In tema di custodia cautelare in carcere, la presunzione relativa di pericolosità sociale posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. determina la necessità che il giudice, senza dover dar conto della ricorrenza dei pericula libertatis , si limiti a apprezzare le ragioni della sua esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali, in particolare, rilevano sia il fattore “tempo trascorso dai fatti”, che deve essere parametrato alla gravità della condotta, sia la rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, desumibile da indicatori concreti, quali le attività risocializzanti svolte in regime carcerario, volte al reinserimento nel circuito lavorativo lecito, nonchØ l’assenza di comportamenti criminali» (Sez. 5, n. 806 del 27/09/2023, dep. 2024, Rv. 285879).
Nel presente caso il Tribunale ha dato atto della rilevante attività criminosa svolta dal ricorrente negli anni successivi al delitto oggetto del presente procedimento, e dell’assenza di condotte valutabili positivamente, anche tenute durante la detenzione, elementi idonei a far ritenere non superata la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di necessità di applicazione della misura della custodia in carcere, senza che debba valutarsi, stante l’operatività di tale presunzione, la sufficienza di una misura meno afflittiva.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. La presente decisione non comporta la rimessione in libertà del ricorrente, per cui deve disporsi la trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 17/01/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME