Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 45252 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 45252 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME CODICE_FISCALE nato in Nigeria il 21/1/1984
avverso l’ordinanza del 21/08/2024 del TRIB. di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data in data 21/8/2024 il Tribunale di Torino, adito ex art. 309 cod. proc. pen., ha rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di NOME COGNOME, indagato per il reato di cui all’art. 73 comma 1 d.P.R. 309/0 perché deteneva fine di spaccio, in concorso con una connazionale, complessivamente 32 grammi di cocaina suddivisa in 26 ovuli, di cui sette rinvenuti occultati nella biancheria intima della concorrente e i restanti detenuti nell’abitazione.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore, COGNOME che, con unico motivo, denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 275 cod. proc. pen. e 20 bis cod. pen. rilevando che l’unico precedente specifico dell’indagato e il dato ponderale compatibile con l’ipotesi del piccolo spaccio impedivano di configurare esigenze cautelari così gravi da giustificare la custodia in carcere, risultando sufficiente ad
assicurare l’esigenza specialpreventiva l’applicazione degli arresti domici essendo del tutto congetturale l’argomentazione del Tribunale secondo il qua COGNOME avrebbe potuto sottrarsi alle prescrizioni lui imposte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il tema devoluto dal ricorso riguarda esclusivamente l’adeguatezza degl arresti domiciliari a soddisfare le esigenze cautelari individuate dal tribunale cautela.
In estrema sintesi, il ricorrente lamenta che il Tribunale del riesame avre giustificato il mantenimento della custodia cautelare in carcere con motivazione “generica” che non si sarebbe confronta con l’argomentazione della difesa che, valorizzando il carattere risalente dell’unico precedente spec dell’indagato e il quantitativo non esorbitante di droga sequestrato, a contestato che potessero essere configurate esigenze cautelari così gravi giustificare l’applicazione della custodia n carcere.
In realtà a essere aspecifico è il ricorso in quanto il Tribunale ha indivi tutta una serie di elementi (pag. 2) che fanno ragionevolmente ritenere che si in presenza di “un’attività illecita svolta in modo organizzato e professional un soggetto inserito “negli ambienti dediti allo spaccio di stupefacenti con un di non secondario”. E’ stato, inoltre, sottolineato che nell’abitazione dimorava NOME “custodiva, tagliava e suddivideva le dosi di cocaina acquistat in quantità significativa da una fonte di approvvigionamento che l’indagato preferito mantenere anonima”; anche qualora si ritenesse la condotta sussumibi nella previsione del comma 5 dell’art. 73 dPR 309/90, la pena prevedibi risulterebbe comunque superiore al limite dei tre anni, venendo in ril un’attività illecita organizzata e professionale.
La motivazione del Tribunale è, quindi, tutt’altro che generica e non presen vizi di illogicità, tanto meno manifesti, risultando coerente rispetto alle pr che l’indagato, sfruttando i contatti con i fornitori abituali, rimasti ig investigatori, e avvalendosi di soggetti incensurati, come la concorrente nell biancheria intima era occultata la droga, spinto dalla necessità di reperire le necessarie per fra fronte alle esigenze di vita, non risultando che disponga di lecite di reddito, possa proseguire nell’attività di spaccio anche se sottopos arresti domiciliari.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere dichia inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché- ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di co nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore de Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte
costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determina considerati i profili di inammissibilità rilevati, in euro tremila.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma I ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 6/11/2024