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Custodia cautelare per frodi: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di indebito utilizzo di carte di credito. L’imputata sosteneva l’inapplicabilità della misura per i limiti di pena e per le novità introdotte dalla Riforma Cartabia. La Corte ha respinto quasi integralmente il ricorso, affermando che la pena massima di cinque anni prevista dall’art. 493-ter c.p. consente la custodia cautelare in carcere. Ha inoltre chiarito che la prognosi in fase cautelare non deve estendersi alle nuove pene sostitutive, confermando la misura basata sull’elevato pericolo di recidiva.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare e Frodi con Carte di Credito: La Cassazione Fa Chiarezza

La custodia cautelare in carcere rappresenta la più grave misura restrittiva della libertà personale prima di una condanna definitiva. La sua applicazione è soggetta a rigidi presupposti, tra cui la gravità del reato contestato. Con la sentenza n. 2522 del 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta per fare luce sui criteri di applicabilità di tale misura per il reato di indebito utilizzo di carte di credito (art. 493-ter c.p.), analizzando anche l’impatto della recente Riforma Cartabia.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una persona indagata per una serie di episodi di indebito utilizzo di carte di credito di terzi, commessi in concorso con un’altra persona. A seguito dell’appello del Pubblico Ministero contro il rigetto iniziale del GIP, il Tribunale del Riesame di Roma aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere. La difesa dell’indagata ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni di legittimità sulla decisione.

I Motivi del Ricorso e la questione della custodia cautelare

Il ricorso si basava su più punti, ma i più rilevanti dal punto di vista giuridico erano principalmente tre:

1. Limiti di pena: Secondo la difesa, l’art. 493-ter c.p. prevede una pena massima di cinque anni, limite che, a suo dire, non consentirebbe l’applicazione della custodia cautelare in carcere secondo quanto previsto dal codice di procedura penale.
2. Impatto della Riforma Cartabia: Si sosteneva che il Tribunale, nel fare la sua prognosi negativa sulla concessione di benefici futuri, non avesse considerato le nuove pene sostitutive (come la detenzione domiciliare sostitutiva) introdotte dalla Riforma Cartabia. Ciò avrebbe potuto portare a una valutazione diversa sulla necessità della misura carceraria.
3. Mancanza di concretezza del pericolo di recidiva: La difesa lamentava che la decisione del Tribunale si basasse solo su elementi del reato già commesso, senza considerare un presunto cambiamento nello stile di vita dell’indagata che avrebbe attenuato il rischio di reiterazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla custodia cautelare

La Suprema Corte ha accolto il ricorso solo su un punto marginale e puramente procedurale (l’errata inclusione di un capo d’imputazione), ma lo ha rigettato su tutti gli aspetti sostanziali, confermando la legittimità della misura cautelare. Vediamo perché.

Sui limiti di pena: La Corte ha chiarito un punto cruciale. Gli artt. 278 e 280 c.p.p. escludono la custodia cautelare in carcere per i delitti per cui è prevista una pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Poiché l’art. 493-ter c.p. prevede una pena massima di cinque anni, la misura è pienamente applicabile. La soglia non è stata superata, ma eguagliata, rendendo la misura legittima.

Sulla Riforma Cartabia: Questo è forse il passaggio più interessante. La Cassazione ha stabilito che la valutazione prognostica richiesta al giudice in fase cautelare (art. 275 c.p.p.) riguarda la possibile concessione della sospensione condizionale della pena, ma non deve estendersi a un’analisi preventiva sull’applicabilità delle nuove pene sostitutive. Le due fasi – quella cautelare, volta a neutralizzare un pericolo attuale, e quella di merito, volta a determinare la pena finale – restano distinte. Pertanto, la Riforma non ha modificato i criteri per la scelta delle misure cautelari.

Sul pericolo di recidiva: La Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale del Riesame adeguata e priva di vizi logici. La valutazione del pericolo concreto e attuale di reiterazione era stata correttamente fondata sull’agire “ininterrotto e seriale” dell’indagata, sulla sua “elevata capacità criminale” e sul suo ruolo specifico nelle operazioni illecite, elementi che, nel loro insieme, disegnavano una chiara propensione a delinquere.

Le Motivazioni della Sentenza

La ratio della decisione risiede nella netta separazione tra la fase delle indagini, dominata da esigenze cautelari, e la fase del giudizio, dedicata all’accertamento della responsabilità e alla commisurazione della pena. La custodia cautelare serve a proteggere la collettività da un pericolo imminente, basandosi su una valutazione prognostica del comportamento futuro dell’indagato. La possibilità che, in un futuro processo, possa essere applicata una pena non detentiva grazie alla Riforma Cartabia non elimina il pericolo attuale che la misura cautelare è chiamata a fronteggiare. La Corte ha quindi ribadito che il giudice della cautela deve concentrarsi sugli indizi di colpevolezza e sulle esigenze cautelari, senza anticipare valutazioni che spettano al giudice del merito. L’elevata capacità criminale e la serialità delle condotte sono state ritenute indicatori sufficienti a giustificare la misura più afflittiva.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa sentenza consolida un orientamento rigoroso sull’applicazione della custodia cautelare. Stabilisce con chiarezza che i reati puniti con una pena massima di cinque anni, come l’indebito utilizzo di carte di credito, rientrano a pieno titolo tra quelli che possono giustificare il carcere preventivo. Inoltre, invia un messaggio importante sull’interpretazione della Riforma Cartabia: le innovazioni sulle pene sostitutive non hanno un effetto ‘retroattivo’ sui criteri di valutazione delle esigenze cautelari. La scelta della misura da applicare resta ancorata a una valutazione concreta e attuale del pericolo di recidiva, e la sistematicità di un’attività criminale è un fattore determinante per giustificare la massima restrizione della libertà personale.

È possibile applicare la custodia cautelare in carcere per il reato di indebito utilizzo di carte di credito (art. 493-ter c.p.)?
Sì. La Cassazione ha chiarito che, poiché la pena massima prevista è di cinque anni, la misura della custodia cautelare in carcere è applicabile, in quanto l’art. 280 cod. proc. pen. la esclude solo per reati con pena massima inferiore a cinque anni.

La Riforma Cartabia, con l’introduzione di pene sostitutive, incide sulla scelta della misura cautelare?
No. Secondo la Corte, la prognosi che il giudice compie in fase cautelare (ai sensi dell’art. 275 cod. proc. pen.) riguarda la possibile concessione della sospensione condizionale della pena, ma non si estende alla valutazione sulla futura applicazione di pene sostitutive. Le due fasi (cautelare e di merito) restano distinte.

Cosa valuta il giudice per decidere se applicare la custodia cautelare in carcere?
Il giudice valuta la concretezza e l’attualità del pericolo di reiterazione del reato. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto legittima la valutazione del Tribunale basata sull’agire ‘ininterrotto e seriale’ dell’indagata, sulla sua ‘elevata capacità criminale’ e sul suo specifico ruolo, considerandoli indicatori di una propensione a commettere nuovamente reati dello stesso tipo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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