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Custodia Cautelare per Droga: Criteri della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di custodia cautelare per droga, respingendo il ricorso di un indagato. La decisione sottolinea che, per valutare la gravità del reato di spaccio e il rischio di recidiva, non conta solo la quantità di sostanza ceduta, ma anche il contesto criminale in cui l’indagato opera. In questo caso, il collegamento con un’associazione di narcotraffico e la professionalità dimostrata hanno giustificato la misura detentiva in carcere, escludendo sia l’ipotesi di ‘lieve entità’ sia misure meno afflittive come gli arresti domiciliari.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare per Droga: Quando il Contesto Criminale Giustifica il Carcere

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, n. 30514 del 2024, offre importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione della custodia cautelare per droga. La decisione evidenzia come, anche in presenza di cessioni di stupefacenti per quantità non ingenti, la misura detentiva più grave possa essere giustificata se l’indagato opera all’interno di un contesto criminale più ampio e strutturato. Analizziamo insieme i punti salienti di questa pronuncia.

I Fatti del Caso: Oltre la Singola Cessione

Il caso riguarda un individuo sottoposto a custodia cautelare in carcere per plurimi episodi di spaccio di sostanze stupefacenti. Il Tribunale del Riesame aveva confermato la misura, basandosi su intercettazioni telefoniche e sulle dichiarazioni di un acquirente. Dalle indagini era emerso che l’indagato non era un semplice spacciatore isolato, ma riforniva di cocaina un altro soggetto, a sua volta coinvolto in un’associazione dedita al narcotraffico e a capo di un proprio gruppo di smercio. Questa connessione è stata un elemento chiave nella valutazione dei giudici.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre principali motivi:

1. Errata qualificazione giuridica: Si sosteneva che i fatti dovessero essere inquadrati nell’ipotesi di ‘lieve entità’ (art. 73, comma 5, d.p.r. 309/1990), data la modesta quantità di droga ceduta.
2. Insussistenza del pericolo di recidiva: Secondo la difesa, mancava un pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato, requisito fondamentale per applicare una misura cautelare.
3. Inadeguatezza della misura: Si riteneva che la custodia in carcere fosse sproporzionata e che gli arresti domiciliari, anche con braccialetto elettronico, sarebbero stati sufficienti a contenere le esigenze cautelari.

L’Analisi della Corte: la custodia cautelare per droga e i suoi presupposti

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto e confermando la piena legittimità dell’ordinanza impugnata.

L’Esclusione della “Lieve Entità”

La Cassazione ha chiarito che la qualificazione di un fatto di spaccio come di ‘lieve entità’ richiede una valutazione complessiva di tutte le circostanze: mezzi, modalità, quantità e qualità della sostanza. Nel caso di specie, sebbene le singole cessioni potessero apparire modeste, un elemento è stato ritenuto assorbente e decisivo: l’inserimento delle condotte in un contesto criminale più ampio. Il fatto che l’indagato agisse come fornitore per un altro soggetto inserito in una rete di narcotraffico ha dimostrato una professionalità e una contiguità con ambienti malavitosi tali da escludere la minima offensività della condotta.

La Valutazione del Pericolo di Recidiva

Sul secondo motivo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’attualità del pericolo di recidiva non equivale a un’imminenza di specifiche occasioni di reato. Si tratta, piuttosto, di una valutazione prognostica basata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul suo contesto socio-ambientale. La Corte ha ritenuto che l’organizzazione dell’attività illecita, la gestione di una rete di acquirenti e la professionalità dimostrata costituissero indicatori solidi di un concreto e attuale pericolo che l’indagato potesse commettere nuovamente reati della stessa specie.

L’Inadeguatezza delle Misure Alternative

Infine, la Cassazione ha ritenuto logica e ben motivata la scelta della custodia in carcere. L’intensità del rischio di recidiva, i precedenti penali dell’indagato e il fatto che una delle condotte contestate fosse stata commessa proprio presso la sua abitazione, hanno fatto ritenere del tutto inidonea la misura degli arresti domiciliari. Questa misura, infatti, presuppone un affidamento sulla capacità di autocontenimento del soggetto, capacità che i giudici hanno ritenuto assente nel caso specifico. La Corte ha inoltre precisato che il braccialetto elettronico non è una misura autonoma, ma una modalità esecutiva degli arresti domiciliari. Pertanto, se questi ultimi sono ritenuti inadeguati, a nulla vale discutere dell’applicazione del dispositivo elettronico.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda su una visione d’insieme del fenomeno criminale. I giudici hanno stabilito che l’analisi di un episodio di spaccio non può essere frammentaria e limitata alla singola cessione. È necessario, ai fini della valutazione cautelare, considerare il ruolo dell’indagato all’interno di eventuali reti criminali. La professionalità, la sistematicità delle condotte e i legami con la criminalità organizzata sono indici che aggravano la posizione del soggetto, giustificando non solo l’esclusione dell’ipotesi lieve, ma anche l’applicazione della misura cautelare più severa. La sentenza ribadisce che il controllo di legittimità della Cassazione non può sostituirsi alla valutazione di merito del giudice, ma deve verificare la coerenza logica e giuridica della motivazione, che in questo caso è stata ritenuta pienamente adeguata.

Le Conclusioni

Questa pronuncia conferma un orientamento consolidato: nella valutazione della pericolosità sociale di un indagato per spaccio, il contesto è fondamentale. Un’attività illecita, seppur basata su cessioni di modesta entità, se inserita in una filiera criminale strutturata, rivela una pericolosità che può giustificare la custodia cautelare in carcere. La decisione serve da monito sul fatto che la ‘lieve entità’ non è un automatismo legato solo alla quantità, ma il risultato di una valutazione complessa che tiene conto di tutti gli indicatori della condotta criminale. Per la difesa, ciò significa che per contestare una misura cautelare non è sufficiente appellarsi alla quantità di droga, ma è necessario smontare l’intero quadro indiziario che descrive il ruolo e la professionalità dell’indagato.

Quando uno spaccio di piccole dosi può non essere considerato di ‘lieve entità’?
Quando le condotte, seppur relative a quantità modeste, si inseriscono in un contesto criminale più ampio. La professionalità nell’attività illecita e il collegamento con ambienti del narcotraffico, come agire da fornitore per un altro spacciatore, sono elementi che escludono la minima offensività e quindi la qualifica di ‘lieve entità’.

Come si valuta il ‘pericolo attuale di recidiva’ per giustificare la custodia cautelare per droga?
Il pericolo si valuta attraverso un giudizio prognostico basato su elementi concreti come le modalità organizzate e non occasionali del reato, la gestione di una rete di acquirenti e la professionalità dimostrata. Non è necessaria la previsione di specifiche occasioni di reato, ma la sussistenza di un rischio concreto che l’indagato possa commettere delitti analoghi.

Perché gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico possono essere ritenuti inadeguati?
Gli arresti domiciliari possono essere ritenuti inadeguati quando l’intensità del rischio di recidiva è elevata, quando vi sono precedenti penali e quando la condotta criminale è stata posta in essere anche presso l’abitazione dell’indagato. In questi casi, viene a mancare la fiducia nella capacità di autocontenimento del soggetto, che è il presupposto della misura domiciliare. Il braccialetto elettronico è solo una modalità di controllo e non rende adeguata una misura che è già inidonea di per sé.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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