Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1889 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1889 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/08/2023 del TRIB. LIBERTA’ di VENEZIA
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Venezia, in funzione di giudice cautelare ex art 310 cod.proc.pen., ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza del Giudice RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari del Tribunale di Venezia, in data 06/07/2023, con la quale era stata respinta l’istanza di dichiarazione di inefficacia della misur cautelare della custodia in carcere, ai sensi dell’art. 297 cod.proc.pen., applicata nei confronti di COGNOME NOME con ordinanza del Giudice RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari del Tribunale di Torino in data 10/02/2023, in relazione ai reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti capo A) – art. 74 d.P.R. 9 ottobr 1990, n. 309- commesso dall’aprile-luglio 2022 e ancora in corso, di cui all’art. 73 e 80 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 capo D), commesso il 24/06/2022, nonché il reato di porto di arma comune da sparo di cui al capo F) reato quest’ultimo per il quale era già intervenuta declaratorie di inefficacia della misura per decorrenza dei termini di fase.
1.1. Il Tribunale cautelare ha respinto la richiesta di retrodatazione del termine iniziale della misura cautelare disposta con ordinanza del Giudice RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari del Tribunale di Torino in data 10/02/2023, escludendo il requisito dell’anteriorità del reato associativo rispetto alla consumazione del reato fine di trasporto di sostanza stupefacente cocaina, per il quale l’indagato era stato tratto in arresto in flagranza di reato in data 24/06/2022, sul rilievo che trattandosi d contestazione aperta, l’intervenuta privazione della libertà personale di un partecipe all’associazione determina esclusivamente una presunzione relativa di non interruzione della condotta partecipativa che pur dovendo essere ancorata concreti elementi dimostrativi, è onere della difesa superare, evidenziando, al contempo, la presenza di elementi significativi, tratti dal contenuto di alcune intercettazioni, segno contrario ovvero della perdurante partecipazione del medesimo.
Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’indagato deducendo, con un unico motivo, la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen. e vizio di motivazione in relazione al principio di prova i ordine alla protrazione della condotta partecipativa del COGNOME.
Argomenta il ricorrente che il tribunale avrebbe errato nell’escludere l’anteriorità del reato associativo rispetto alla commissione del reato di trasporto d sostanza stupefacente. Nel caso di specie, la questione centrale attiene all’incidenza del sopravvenuto stato detentivo rispetto alla permanenza del reato associativo e sotto tale profilo sarebbe necessario far riferimento alla pronuncia Sezione Unite n.
48109 del 19 luglio del 2018, NOME, con cui il la Corte di RAGIONE_SOCIALEzione ha spiegato come a fronte di una contestazione unica formulata per una pluralità elevata di destinatari della misura, la determinazione dell’epoca di commissione del reato non possa non tener conto della posizione di ciascun singolo destinatario della misura.
In tal caso ben può il giudice o comunque l’indagato offrire una diversa ricostruzione del tempo del commesso reato. Peraltro, se non è in discussione il principio secondo cui il sopravvenuto stato di detentivo del soggetto non determina la necessaria automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio, principio reiteratamente affermato, realizzando una presunzione relativa di non interruzione, non di meno, nel caso in esame, non potrebbe ritenersi adeguatamente motivata la permanenza della condotta partecipativa dell’indagato sulla base della mancata consegna del telefono in carcere “agli altri”, tratta da una conversazione telefonica tra altri coindagati che non proverebbe la perdurante attività partecipativa del NOME, semmai il contrario, in quanto dalla privazione della libertà personale del NOME non sarebbero state registrate condotte e comportamenti dalle quali trarre elementi per ritenere superata la presunzione relativa e la permanenza nella partecipazione al sodalizio criminoso.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore ha depositato memoria difensiva con cui ha insistito nell’accoglimento del ricorso rilevando che il tribunale non avrebbe valutato la posizione individuale e soggettiva del NOME significativa di una rescissione dal contesto associativo. Nel caso di NOME, con la privazione della libertà personale, sarebbe cessata la sua partecipazione al reato associativo e, quindi, risulterebbero sussistenti tutti i presupposti di legge per la configurabilità del contestazione a catena, da cui la conclusione che l’inizio della custodia cautelare applicata all’odierno ricorrente, con l’ordinanza emessa in data 9 febbraio 2023, andrebbe retrodatato al 24 giugno 2022 (data dell’arresto in flagranza dal quale è poi scaturita l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nell’ambito del procedimento astigiano, poi trasmesso a Torino e poi a Venezia) con ampio superamento dei termini massimi di custodia cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Risulta, dall’atto di appello cautelare, che il difensore del ricorrente ha impugnato l’ordinanza del Giudice RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari del Tribunale di Venezia con la quale era stata rigettata la richiesta di perdita di efficacia della misura cautela
applicata a NOME sul rilievo che non ricorrevano i presupposti applicativi di cui all’art. 297 comma 3 cod.proc.pen. in assenza di anteriorità del reato associativo rispetto al reato fine, per cui era stata applicata la misura cautelare all’esi dell’arresto in flagranza, anteriorità esclusa dalla contestazione “in atto” del reat associativo.
Sin dalla pronuncia RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite Librato (Sez. U, n. 14535 del 10/04/2007, Librato, Rv. 235910) era stato affermato che deve «(…) condividersi l’affermazione della giurisprudenza prevalente (posta a fondamento RAGIONE_SOCIALE precedenti decisioni negative nei confronti del ricorrente) che la retrodatazione prevista dall’art 297, comma 3, c.p.p. “presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato di associazione di stampo mafioso con descrizione del momento temporale di commissione mediante una formula cosiddetta aperta, che faccia uso di locuzioni tali da indicare la persistente commissione del reato pur dopo l’emissione della prima ordinanza” (..). È solo rispetto a condotte illecite anteriori all’inizio della custodia cautelare disposta con prima ordinanza che può ragionevolmente operarsi la retrodatazione di misure adottate in un momento successivo, come si desume dalla lettera dell’art. 297, comma 3, c.p.p., che prende in considerazione solo i “fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza».
La successiva giurisprudenza di legittimità, nel solco della citata pronuncia, ha ribadito che in tema di contestazioni a catena, ai fini della retrodatazione dei termini di decorrenza della custodia cautelare disposta per il reato di associazione mafiosa contestato in forma “aperta” (ma il principio deve ritenersi valido anche per l’associazione di cui all’art. 74 cit.), il provvedimento coercitivo che limita la lib personale dell’indagato per il primo fatto di reato determina una mera presunzione relativa di non interruzione della condotta partecipativa, la protrazione della quale deve, tuttavia, essere desunta da concreti elementi dimostrativi (Sez. 1, n. 20135 del 16/12/2020, COGNOME, Rv. 281283 – 01; Sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, COGNOME, Rv. 279222 – 01; Sez. 6, n. 13568 del 29/11/2019, COGNOME, Rv. 278840 01; Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269121; Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, COGNOME, Rv. 261272; Sez. 6, n. 31441 del 24/04/2012, COGNOME, Rv. 253237; Sez.1, n. 20882 del 21/04/2010, COGNOME, Rv. 247576; Sez. 1, n. 27785 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 240873).
Secondo tale consolidato orientamento, elaborato soprattutto in tema di associazione di stampo mafioso ed al quale il Tribunale mostra di aderire, il
sopravvenuto stato detentivo del soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura – caratterizzata da complessità, forti legami tra gli aderenti e notevol spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine – accetta il rischio di periodi d detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualità che da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione RAGIONE_SOCIALE sue attività e, dall’altro, non ne fanno venir meno la disponibilità a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento (fra le molte, così, Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, De Notari, Rv. 269121).
Secondo tale consolidato principio il sopravvenuto stato detentivo dell’indagato non esclude la permanenza della partecipazione dello stesso al sodalizio criminoso, che viene meno solo nel caso, oggettivo, della cessazione della consorteria criminale ovvero nelle ipotesi soggettive, positivamente acclarate, di recesso o esclusione del singolo associato (Sez. 1, n. 46103 del 07/10/2014, COGNOME, Rv. 261272).
Sotto questo profilo solo intervenute di recente le Sezioni Unite, n. 48109 del 19/07/2018, COGNOME, con cui la Corte di cassazione ha chiarito come, a fronte di una contestazione unica formulata per una pluralità elevata di destinatari della misura cautelare, la determinazione dell’epoca di commissione del reato non possa non tenere conto della posizione di ciascun singolo destinatario della misura, atteso che, ad esempio, la stessa quantità di luoghi di consumazione del reato- per come possono essere individuati nella imputazione provvisoria – può sottintendere una pluralità di coordinate spazio -temporali in cui il reato si è perfezionato; in tali casi, affermano Sezioni unite, “ben può il giudice o comunque l’indagato offrire, una diversa ricostruzione del tempo di commissione del reato”.
Venendo al caso in scrutinio, il reato di associazione finalizzata al traffico d sostanze stupefacenti nei confronti del ricorrente è contestato come commesso “dall’aprile-luglio 2022 e ancora in corso”, capo A) e l’arresto del COGNOME per il rea fine di trasporto di sostanza stupefacente è avvenuto il 24 giugno 2022.
L’ordinanza impugnata ha fatto applicazione dei principi ermeneutici sopra enunciati ed ha argomentato la permanenza dell’associazione finalizzata al narcotraffico e la non interruzione della condotta partecipativa con motivazione congrua e non manifestamente illogica e fondata sulle emergenze processuali.
Vengono in rilievo, in particolare, secondo i giudici della cautela, le intercettazioni telefoniche, indicate nell’ordinanza impugnata, dalle quali il tribunal
cautelare ha tratto la dimostrazione della permanenza del sodalizio criminoso e della partecipazione del COGNOME.
Le conversazioni, riportate a pag. 3 dell’ordinanza, dimostrano, secondo i giudici della cautela, la persistenza dell’associazione, ancora viva e vitale i cui scop sono perseguiti dai coimputati non arrestati, i quali si premurano di non fare mancare nulla ai coimputati arrestati, tant’è che riescono finanche ad introdurre un apparato telefonico nel carcere ove è ristretto, tra gli altri, il COGNOME, per mantenere i con con l’esterno, apparecchio telefonico che deve essere “fatto circolare” tra tutti detenuti, e, quanto alla posizione soggettiva del COGNOME, evidenziano, i giudici, l’aiut concreto messo in atto da questi il quale, nel periodo successivo al suo arresto aveva ricevuto un telefono, introdotto illecitamente nell’istituto penitenziario e utilizzato sodali ristretti per mantenere i contatti con i soggetti appartenenti al medesimo sodalizio non detenuti il quali, sotto l’egida del capo promotore COGNOME, ricevevano le direttive impartite ai soggetti non detenuti, elementi sulla scorta dei quali l’ordinanz impugnata ha ritenuto la permanenza della sua partecipazione in forza del principio secondo cui l’aiuto ai coindagati è sintomatico della partecipazione. Il possesso del telefono ricevuto in carcere, è, secondo i giudici dell’appello cautelare, elemento per ritenere protratta la condotta associativa, e certamente non superata la presunzione relativa di una persistente fidelizzazione strutturale dell’indagato all’associazione i un contesto nel quale il ricorrente non offre alcun elemento per datare il commesso reato e superare la contestazione “aperta”.
Il ricorrente, infatti, propone una diversa chiave di lettura della conversazione sulla disponibilità in capo al NOME del telefono che, a fronte di una motivazione non manifestamente illogica, non supera la presunzione relativa di permanenza della sua partecipazione, permanenza che non è vinta dalla alternativa lettura della conversazione secondo cui il non aveva messo a disposizione degli altri tale apparato cellulare sarebbe indicativo di un recesso. In conclusione, a fronte di tale adeguata motivazione il ricorrente si è limitato a considerazioni generiche, presuntivamente favorevoli e a prospettare in chiave alternativa la valutazione RAGIONE_SOCIALE intercettazion telefoniche.
4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
La Corte dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 20/12/2023