Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 31542 Anno 2025
Penale Sent. Sez. F Num. 31542 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/08/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata a Ostuni il 13/9/1978
avverso l’ordinanza del Tribunale di Taranto del 5/5/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; dato atto che il difensore della ricorrente, avv. NOME COGNOME del foro di Lecce, ha trasmesso in data 8.8.2025 rinuncia alla trattazione orale.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 5.5.2025, il Tribunale di Taranto, in funzione di giudice del riesame, ha provveduto su un appello, presentato ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen. nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui 1’11.4.2025 la Corte di Assise di Appello di Taranto ha rigettato un’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere.
1.1 L’ordinanza premette che NOME COGNOME è sottoposta a misura cautelare per il reato di cui agli artt. 110 e 575 cod. pen., in relazione al quale la Corte di
Assise d’Appello di Taranto, a seguito di annullamento con rinvio della precedente sentenza di condanna della Corte di Assise di Appello di Lecce limitatamente al trattamento sanzionatorio, ha rideterminato la pena dei suoi confronti in nove anni, dieci mesi e dieci giorni di reclusione.
Con istanza del 7.4.2025 il difensore dell’imputata aveva chiesto la sostituzione della misura vigente con quella degli arresti domiciliari, anche con l’applicazione di sistemi elettronici di controllo, evidenziando: che l’imputata era detenuta dal 15.7.2019 e aveva sempre tenuto un contegno collaborativo in carcere; che il tempo decorso in regime cautelare era pari a due terzi circa della pena inflittale; che il suo ruolo nella vicenda doveva ritenersi marginale; che aveva dimostrato pentimento per il fatto commesso in una dichiarazione autografa; che il marito coimputato aveva ottenuto la detenzione domiciliare a causa delle sue precarie condizioni di salute.
A seguito del rigetto dell’istanza da parte della Corte d’Assise d’Appello, il difensore della COGNOME interponeva appello, ribadendo le ragioni addotte a sostegno della invocata sostituzione onde censurare che non fossero state prese in considerazione e, da ultimo, facendo presente, con una memoria depositata il 28.4.2025, che fosse disponibile come luogo di eventuale esecuzione degli arresti domiciliari anche l’abitazione del figlio dell’imputata in un comune diverso da quello di residenza.
1.2 I giudici del riesame hanno giudicato l’appello infondato, dichiarando preliminarmente inammissibile la memoria depositata in data 28.4.2025, perché, da un lato, è stata depositata senza l’osservanza dei termini di cui all’art. 127 cod. proc. pen. (due giorni prima dell’udienza del 30.4.2025) e, dall’altro, ha introdotto un elemento mai prima sottoposto al giudice di prime cure. Dunque, non si potrebbe – afferma il Tribunale – decidere in sede di appello sull’istanza di sostituzione della misura con quella degli arresti donniciliari presso l’abitazione del figlio dell’imputata, in quanto esondante il perimetro del decisum del primo giudice, giacché la disponibilità di un’abitazione in comune diverso da quello in cui si sono verificati i fatti è stata prospettata come elemento incidente sull’attualità delle esigenze cautelari.
Per quel che riguarda, poi, i motivi ritualmente proposti con l’appello, il Tribunale ritiene che nessun elemento rappresentato dalla difesa sia idoneo per una rivisitazione del quadro cautelare, oltre che del compendio indiziario confermato nelle sentenze di condanna.
Quanto al tempo decorso dall’applicazione della misura, osserva che la doppia presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. fa ritenere sussistenti i caratteri dell’attualità e della concretezza del pericolo, salvo prova contraria che non è desumibile dal mero decorso del tempo. Nel caso di specie,
non sono ravvisabili altri elementi sopravvenuti, oltre al decorso del tempo, che costituisce elemento di carattere neutro.
Peraltro, il Tribunale rileva che, al contrario, il quadro cautelare non può dirsi mutato e che l’attuale e concreto pericolo di recidivanza si desume dalle modalità del fatto e della negativa valutazione della personalità della COGNOME, la quale, diversamente da quanto prospettato dalla difesa, non ha affatto assunto un ruolo marginale nella vicenda omicidiaria, come si desume dalle sentenze di merito.
Dalla ricostruzione del fatto (ricavata dalla sentenza di primo grado, mai riformata sul punto dell’accertamento dei fatti) emerge che la COGNOME ebbe un ruolo tutt’altro che passivo, dando inizio all’aggressione della Sorada, che teneva ferma, e partecipando pure all’accoltellamento di COGNOME (poi deceduto), cui assestò anche qualche coltellata.
Di conseguenza, il pericolo di reiterazione criminosa non può ritenersi attenuato nemmeno dal fatto che durante il periodo di detenzione la COGNOME ha osservato le prescrizioni imposte con la misura carceraria, empatizzando con le altre detenute, in quanto, di converso, ella ha dimostrato, quando sono in gioco come nel caso di specie – interessi che la riguardano direttamente, di reagire aggressivamente senza freni inibitori.
In ogni caso, tale condotta carceraria non si potrebbe considerare come segno di resipiscenza, se si considera che nelle recenti dichiarazioni spontanee rese alla Corte d’Assise d’Appello la ricorrente ha seguitato a protestare la propria innocenza, così dimostrando l’assenza di ogni revisione critica dei fatti e non più che esprimendo in una dichiarazione autografa il proprio rammarico per le sole conseguenze occorse alla sua famiglia.
Né la circostanza che il marito coimputato sia oggi in precarie condizioni di salute agli arresti domiciliari attenua le esigenze cautelari, in quanto dalle sentenze risulta che fosse già all’epoca in uno stato di salute precario e comunque è emerso che nella vicenda giudicata i Moro abbiano dimostrato di poter contare su conoscenze in ambito criminale, tanto da avere chiesto e ottenuto l’aiuto di due pregiudicati, ciò che potrebbe ripetersi ancora, a maggior ragione per le problematiche condizioni del marito della COGNOME.
Tale ultima circostanza, peraltro, renderebbe comunque inadeguata anche la misura degli arresti domiciliari in altro comune presso il domicilio del figlio.
1.3 In definitiva, dunque, il Tribunale del riesame conclude che non sia possibile formulare una prognosi favorevole in ordine al futuro comportamento della COGNOME e che la custodia in carcere sia l’unica misura idonea a evitare la ricaduta in delitti di analoga indole, oltre che misura proporzionata alla entità del fatto e alla sanzione irrogata. Nemmeno l’adozione del c.d. braccialetto elettronico sarebbe idonea a scongiurare le ravvisate esigenze cautelari, dal momento che
l’imputata ha dimostrato di potere avere contatti con pregiudicati, che il dispositivo di controllo non consentirebbe di monitorare.
Avverso la predetta ordinanza, il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso, articolando un unico motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con cui deduce erronea applicazione degli artt. 127, 299, 275, comma 3, cod. proc. pen., e motivazione carente, illogica e contraddittoria con riferimento alla valutazione delle esigenze cautelari.
Il ricorso censura innanzitutto che il Tribunale del riesame abbia ritenuto inammissibile la memoria del 28.4.2025, in quanto depositata fuori dai termini previsti dall’art. 127 cod. proc. pen. e, comunque, perché prospettava un elemento mai sottoposto al giudice di prime cure.
In questo modo, tuttavia, non si è tenuto conto che l’indicazione di un domicilio nuovo poteva essere considerata come elemento attinente al criterio dell’adeguatezza della misura e che, pertanto, avrebbe potuto essere segnalato anche nel corso dell’udienza camerale.
In ogni caso, l’ordinanza è comunque da annullare – secondo il ricorso – per la violazione del combinato disposto degli artt. 299, 275, commi 1 e 3, in relazione all’art. 274 cod. proc. pen.
Nel corso dei processi di merito, infatti, è stata dapprima esclusa l’aggravante delta premeditazione e poi la recidiva con la concessione delle attenuanti generiche, sicché l’originaria pena è stata ridotta e la COGNOME ha scontato ormai più di due terzi della pena stessa in vinculis.
Il Tribunale non ha considerato che il tempo trascorso dalla commissione del reato può costituire un elemento specifico dal quale desumere l’insussistenza delle esigenze cautelari.
Peraltro, la motivazione dell’ordinanza impugnata fa riferimento ad ampi stralci della sentenza di primo grado, che è stata riformata in bonam partem nei successivi gradi di giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato per le ragioni di seguito esposte.
Va premesso che, in tema di esigenze cautelari, opera il principio secondo cui, in sede di giudizio di legittimità, sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244 – 01; Sez. 1, n. 6972 del 7/12/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 215331 – 01). Il controllo di logicità
deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione dello spessore delle esigenze cautelari (Sez. 1, n. 1083 del 20/2/1998, COGNOME, Rv. 210019 – 01).
Il ricorso per cassazione che deduca assenza delle esigenze cautelari è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01).
Ciò premesso, deve essere innanzitutto presa in considerazione la questione, posta inizialmente dal ricorso, della violazione dell’art. 127 cod. proc. pen. che è stata affermata dal Tribunale di Taranto.
Costituisce principio consolidato quello secondo cui, nel procedimento di appello cautelare, il deposito delle memorie difensive è regolato, non già dalla norma generale di cui all’art. 121 cod. proc. pen., bensì da quella speciale di cui al comma 2 dell’art. 127 cod. proc. pen., espressamente richiamata dall’art. 310 cod. proc. pen., con la conseguenza che deve essere rispettato, a pena di inammissibilità, il termine dilatorio di cinque giorni prima dell’udienza (Sez. 1, n. 33 del 20/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274662 – 01; Sez. 1, n. 4793 del 25/1/2012, Carta, Rv. 251864 – 01).
Giacché non è previsto l’onere della notificazione della memoria depositata alle parti controinteressate, detto termine è finalizzato ad assicurare l’effettività e l’adeguatezza del contraddittorio scritto in vista dell’udienza, per la quale l’intervento non è obbligatorio ai sensi del comma 3 dell’art. 127 cod. proc. pen.
2.1 A questo proposito, Sezioni Unite COGNOME, affermando il principio che nel giudizio di appello cautelare, celebrato nelle forme e con l’osservanza dei termini previsti dall’art. 127 cod. proc. pen., possono essere prodotti dalle parti elementi probatori “nuovi” nel rispetto del contraddittorio e del principio di devoluzione, contrassegnato dalla contestazione, dalla richiesta originaria e dai motivi contenuti nell’atto di appello (Sez. U, n. 15403 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286155 – 01), ha, in particolare, affrontato in motivazione anche il problema del rispetto del contraddittorio.
La sentenza ha ribadito che la possibilità di modificare su iniziativa unilaterale la piattaforma cognitiva del giudice dell’impugnazione presuppone che sia debitamente garantito sul punto il contraddittorio. Il rinvio operato dall’art. 310, comma 2, alle “forme” previste dall’art. 127 cod. proc. pen. comporta quantomeno il recepimento delle regole dettate da tale ultima disposizione per la celebrazione dell’udienza camerale e, conseguentemente, anche della regola posta dal comma
2, secondo la quale le parti possono presentare memorie fino a cinque giorni prima dell’udienza.
Si tratta di regola che, proprio nell’ottica della garanzia dell’effettività del contraddittorio camerale, intende assicurare alle parti il diritto di partecipare all’udienza e formulare le proprie conclusioni in riferimento ad uno stato degli atti del quale abbiano potuto prendere previamente conoscenza.
Alla luce di tale ratio, pertanto, la sentenza COGNOME afferma che «la norma deve essere interpretata nel senso per cui ogni integrazione di quello stato degli atti su cui si fonda il corretto svolgimento del contraddittorio camerale deve necessariamente avvenire nei termini fissati dal legislatore, dovendo altrimenti il giudice non tenerne conto. Infatti, il termine “memorie” utilizzato nell’art. 127, comma 2, cod. proc. pen., individua lo strumento attraverso cui le parti veicolano nel procedimento camerale non soltanto le proprie argomentazioni, ma qualsiasi elemento informativo che intendono sottoporre alla valutazione del giudice e, dunque, anche eventuali documenti rappresentativi delle inedite prove precostituite».
2.2 Tanto precisato, il ricorso oppone che l’indicazione di un domicilio diverso sia non un “elemento probatorio nuovo”, ma un elemento attinente al criterio di adeguatezza della misura, così lasciando intendere che non dovesse essere sottoposto al previo contraddittorio.
Si tratta, dunque, di stabilire se l’indicazione di un domicilio presso cui allocare l’imputata in caso di eventuale sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari sia anch’essa sottoposta ai termini di cui all’art. 127 cod. proc. pen. ovvero se se ne possa tenere conto anche senza il rispetto dei termini funzionali all’instaurazione del contraddittorio pieno.
Ora, la determinazione in concreto dei tempi e delle modalità con cui possono avere ingresso in sede cautelare nuovi elementi del tipo di quelli richiamati nel ricorso deve essere modulata alla luce dei principi giurisprudenziali appena sopra menzionati.
Il dato da cui muovere in questa valutazione è che, in base a tali principi, è consentito al giudice di acquisire la documentazione fornita dalle parti relativa agli elementi informativi “precostituiti” che intendono sottoporre alla sua valutazione, purché tali elementi siano introdotti per il tramite di memorie da presentarsi entro il termine previsti dall’art. 127, comma 2, cod. proc. pen.
Per superare questo argomento, il ricorso obietta che quello rappresentato al tribunale del riesame senza il rispetto dei detti termini non fosse un elemento probatorio.
Ma in questo modo introduce nella valutazione della questione un dato che in realtà la giurisprudenza citata e, in particolare, Sezioni Unite Galati non autorizzano a valorizzare in senso favorevole alla COGNOME.
Ciò che i giudici dell’impugnazione cautelare possono acquisire solo previo il rispetto dei cinque giorni precedenti all’udienza camerale è costituito da “qualsiasi elemento informativo”, concetto nel quale le Sezioni Unite fanno rientrare anche “eventuali documenti rappresentativi delle inedite prove precostituite”.
Ma questo non vuol dire affatto che vi sia perfetta coincidenza tra le due situazioni, nel senso che gli elementi informativi non sono integrati solo dalle prove documentali, da intendersi, in quello specifico momento endoprocedimentale, quali documenti che, nel loro aspetto statico, forniscono informazioni circa il fatto oggetto del procedimento.
Informazioni rilevanti in sede cautelare sono tutte quelle che riguardano il sistema delle misure cautelari nel suo complesso, e quindi non solo il profilo della gravità indiziaria, ma anche quello – come nel caso di specie – delle esigenze di prevenzione.
Si tratta di informazioni che possono assumere peculiare rilevanza ai fini della decisione del giudice – quella stessa rilevanza che la produzione documentale nell’interesse della COGNOME ambiva a dispiegare, nel caso di specie, sull’esito dell’impugnazione, al fine di determinare la sostituzione della misura cautelare sicché rimane inalterata, anche in questa eventualità, la ratio sottostante alla previsione dell’art. 127, comma 2, cod. proc. pen., e cioè la possibilità per le altre parti di controdedurre e di richiedere un’integrazione dell’acquisizione, giacché il modello procedimentale richiamato dall’art. 309 cod. proc. pen. prevede la partecipazione solo eventuale delle parti all’udienza (con la conseguenza che produzioni fuori termine sarebbero, appunto, sottratte completamente al contraddittorio).
Di conseguenza, si deve ritenere che la decisione del Tribunale di Taranto su questo specifico punto abbia fatto corretta applicazione dei principi e abbia in modo incensurabile dichiarato inammissibile, in quanto intempestiva, la memoria difensiva depositata solo in data 28.4.2025.
2.3 In ogni caso, l’ordinanza impugnata, nel prosieguo, si sofferma anche nel merito sulla circostanza che la memoria intendeva sottoporre all’attenzione dei giudici.
Infatti, i giudici dell’impugnazione hanno comunque motivato circa il fatto che non possa considerarsi elemento di novità, modificativo delle esigenze cautelari, la disponibilità del domicilio del figlio in un comune diverso, in quanto la famiglia dell’imputato ha dimostrato nella vicenda in esame di avere usufruito anche dell’ausilio di terzi pregiudicati.
Peraltro, tale circostanza – che il tribunale richiama ad abundantiam in conclusione della sua disamina di tutti i dati disponibili – deve essere considerata unitamente agli altri elementi attinenti alle modalità del fatto e alla personalità della ricorrente, alla luce dei quali non si colgono effettivamente ragioni decisive
per le quali lo spostamento in un comune diverso da quello in cui è stato già consumato l’omicidio attenui il rischio di reiterazione del reato, che il tribunale non ha affatto collegato a specifiche situazioni geografiche o di persone residenti nel comune dell’abitazione principale.
La motivazione risulta, dunque, del tutto conforme a logica e questo consente vieppiù di ritenere infondata la doglianza relativa all’inammissibilità della memoria depositata il 28.4.2025.
Venendo alla parte in cui il ricorso censura più specificamente l’ordinanza impugnata quanto allo scrutinio delle ragioni di persistenza delle originarie esigenze cautelari, deve innanzitutto rilevarsi che la motivazione circa la insufficienza del decorso del tempo dall’applicazione della custodia in carcere è congrua e del tutto rispondente alla costante giurisprudenza di legittimità su questo peculiare aspetto, alla cui sintetica disamina deve essere, però, anteposto un elemento non preso esplicitamente in considerazione, per vero, dal ricorso.
La COGNOME è assoggettata a misura cautelare per il reato di omicidio, in relazione al quale vige, a mente del disposto dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., una presunzione, sia pure relativa, di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia carceraria in assenza di elementi sopravvenuti.
Questa doppia presunzione relativa trova applicazione anche ove sia richiesta la sostituzione della misura ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 46241 del 20/9/2022, V., Rv. 283835 – 01).
Ciò precisato, l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.: ne consegue che detta presunzione fa ritenere sussistenti i caratteri di attualità e concretezza del pericolo, salvo prova contraria, che non è desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo (Sez. 2, n. 6592 del 25/1/2022, COGNOME, Rv. 282766 – 02; Sez. 1, n. 21900 del 7/5/2021, COGNOME, Rv. 282004 – 01).
Nella materia cautelare, infatti, il decorso del tempo, in quanto tale, possiede una valenza neutra ove non accompagnato da altri elementi circostanziali idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità.
3.1 Strettamente collegato al profilo appena considerato, è quello relativo alla circostanza che il periodo complessivo di custodia cautelare sinora sofferto dalla ricorrente sia pari a circa due terzi della pena irrogatale con sentenza non ancora irrevocabile.
Anche in questo caso il Tribunale ha congruamente richiamato pregressa autorevole giurisprudenza, secondo cui è illegittimo il provvedimento di revoca
della custodia cautelare motivato esclusivamente in riferimento alla sopravvenuta carenza di proporzionalità della misura in ragione della corrispondenza della durata della stessa ad una percentuale, rigidamente predeterminata ricorrendo ad un criterio aritmetico, della pena irroganda nel giudizio di merito e prescindendo da ogni valutazione della persistenza e della consistenza delle esigenze cautelari che ne avevano originariamente giustificato l’applicazione (Sez. U, n. 16085 del 31/3/2011, P.m. in proc. COGNOME, Rv. 249323 – 01).
Per stare proprio alla situazione specificamente oggetto del ricorso, questa Corte ha già più volte affermato che la revoca della custodia cautelare non può essere disposta sulla base del solo criterio aritmetico della corrispondenza della durata dell’applicazione della misura ai due terzi della condanna inflitta all’imputato con la sentenza impugnata, in quanto il riferimento al decorso del tempo deve essere coordinato con la valutazione relativa alla persistenza delle esigenze cautelari (Sez. 1, n. 44364 del 18/11/2008, P.g. in proc. COGNOME, Rv. 242038 – 01), nel contesto di un apprezzamento globale e complessivo della vicenda cautelare (Sez. 6, n. 38868 dell’8/10/2008, P.g. in proc. COGNOME, Rv. 241549 – 01).
4. Quanto alle censure relative alla mancata considerazione del ruolo marginale che la COGNOME avrebbe assunto nella commissione dell’omicidio, si tratta di aspetto che involge sostanzialmente la ricostruzione del fatto e che riguarda pertanto l’apprezzamento del giudice di merito circa la rilevanza dei dati probatori.
Ma, come riportato in premessa, al giudice di legittimità è consentito, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non anche il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito.
Né coglie nel segno la doglianza formulata con riferimento al fatto che per la ricostruzione della vicenda e della condotta tenuta dalla COGNOME l’ordinanza impugnata abbia fatto riferimento al contenuto della sentenza di primo grado, che è stata riformata in bonam partem quanto al trattamento sanzionatorio dell’imputata (peraltro, a seguito di concordato, per quanto esposto nello stesso ricorso).
Il Tribunale ha appropriatamente ricordato, infatti, che la sentenza in questione non è stata riformata sul punto dell’accertamento del fatto, in relazione al quale ha acquistato autorità di cosa giudicata, così da potere essere
legittimamente utilizzata in sede cautelare per ricavarne elementi di valutazione della personalità della ricorrente.
Anche l’osservanza da parte della COGNOME delle prescrizioni imposte con la misura carceraria e la presunta revisione critica in ordine al fatto commesso messe in rilievo negli atti di impugnazione come situazioni nuove suscettibili di incidere sul quadro cautelare – sono state adeguatamente vagliate nell’ordinanza impugnata, che ha dato conto in modo conveniente delle ragioni per cui tali elementi sono insussistenti o quantomeno neutri.
Del resto, costituisce affermazione costante di questa Corte quella secondo cui, in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (Sez. 3, n. 43113 del 15/9/2015, K. e altro, Rv. 265652 – 01; Sez. 2, n. 1858 del 9/10/2013, Scalamana, Rv. 258191 – 01; Sez. 6, n. 47819 del 24/11/2003, COGNOME, Rv. 227430 – 01).
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Giacché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà della ricorrente, si deve disporre ex art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen., che copia del provvedimento sia trasmessa, a cura della Cancelleria, al Direttore dell’Istituto penitenziario ove è attualmente ristretta NOME COGNOME.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14.8.2025