Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13177 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13177 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a PALERMO il 24/08/1970
avverso l’ordinanza del 29/11/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritet per l’udienza camerale non partecipata del PG in persona del Sost. Proc. gen. COGNOME che ha cheto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con istanza depositata il 31 ottobre 2024 NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, ha chiesto la sostituzione ella custodia cautelare in carcere con la misura gli arresti domiciliari, anche con l’uso del dispositivo di controllo elettronico a distanza, presso l’abitazione di NOME COGNOME, sita a Vizzini, in INDIRIZZO sottolineando la significativa importanza che doveva essere attribuita al tempo trascorso, alla condizione di incensuratezza ed alla possibilità di eseguire la misura meno afflittiva in luogo diverso da quello ove aveva operato la contestata associazione criminale.
Il Giudice per le Indagini Preliminari di Palermo il 4 novembre 2024 ha rigettato la richiesta, evidenziando la persistenza delle esigenze cautelari e l’assenza di elementi di novità idonei a superare la presunzione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., tale non potendo essere ritenuto il dato in sé neutro del decorso del tempo né si comprendeva a che titolo Tringale avrebbe ospitato l’indagato presso la propria abitazione.
Il difensore ha proposto appello ex art. 310 cod. proc. pen. sottolineando l’importanza dell’individuazione di un luogo distante da quello dei fatti ove eseguire, eventualmente, gli arresti domiciliari, da valutare insieme al ruolo marginale assunto dal proprio assistito ed al suo stato di incensurato. Ha ribadito, pertanto, la richiesta di sostituzione della misura.
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Palermo ha rigettato l’appello.
Ricorre il COGNOME a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. vizio motivazionale in relazione agli artt. 274 e 299 cod. proc. pen. e agli art. 73 e 74 d.P.R… 309190, contestati in rubrica.
L’impugnata ordinanza sarebbe affetta da manifesta illogicità laddove i giudici del gravame cautelare hanno ritenuto la genericità dei motivi di impugnazione e la loro insufficienza ed inidoneità a permettere un riesame positivo delle esigenze cautela ri.
Si ricorda in ricorso che nei riguardi del COGNOME è stata elevata la contestazione di reato di cui agli artt. 81 cod. pen., 73 e 74 del d.P.R. 309/1990 poiché, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori daiie ipotesi previste dall’art. 7 avrebbe illecitamente partecipato ad un’attività di spaccio su piazza di sostanza stupefacente di tipo leggero, assolvendo in particolare al compito di lavorazione e preparazione della suddetta materia prima. Tale condotta, che si sarebbe realiz-
zata all’interno del quartiere INDIRIZZO di Palermo, ha portato all’ordinanza di arresto del COGNOME, eseguita in data 22 maggio 2024, a seguito della quale è stata dunque disposta la misura cautelare della custodia cautelare inframuraria.
Quest’ultimo provvedimento ha condotto la difesa ad una prima istanza di revisione e sostituzione della suddetta misura cautelare con altra meno afflittiva, quale la misura cautelare degli arresti domiciliar’, da svolgersi chiaramente in luogo diverso da quello ove si erano consumati i fatti oggetto di contestazione, ovvero presso il comune di Villabate. Richiesta rigettata dal Tribunale del Riesame di Palermo in quanto il comune di Villabate, non essendo molto distante dalla città di Palermo, sarebbe risultato inidoneo per poter fruire della suddetta misura domiciliare.
E’ perciò seguita – ricorda ancora il ricorrente — una seconda istanza di riesame della misura cautelare adottata con la quale si rendeva disponibile, al fine di poter fruire degli arresti domiciliari, un’abitazione sita presso il comune di Vizzini, afferente alla provincia di Catania. Un luogo indubbiamente diverso da quello ove si sono consumati i fatti oggetto di reato, considerato soprattutto che si tratta di un’ipotesi di spaccio su strada, cioè di una forma di reato fortemente legata al territorio ove questa si esplica e alle relazioni di quartiere ivi presenti, come nel caso di specie ove il tutto avviene unicamente all’interno di una piazza del quartiere INDIRIZZO di Palermo. Un luogo, poi, non solo certamente distante dallo stesso quartiere e dall’intera città metropolitana, ma addirittura sul versante opposto della regione.
Ciò nonostante, con ordinanza del 29 novembre 2024, anche la seconda istanza di sostituzione della misura è stata rigettata dal Tribunale del Riesame di Palermo, il quale ha ribadito le argomentazioni precedentemente esposte con la prima ordinanza di rigetto, basate sulla duplice presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari ed esclusiva adeguatezza della custodia cautelare in carcere ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen.; oltre che sul supposto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, desunta dall’unico precedente specifico dell’imputato e dalla gravità della condotta da questi perpetrata.
Il ricorrente ricorda, però, che tale precedente è, non solo l’unico (anche in senso specifico, dato che in motivazione si legge che lo stesso avrebbe addirittura una pluralità di precedenti specifici, dato erroneo in punto di fatto), ma perfino di natura ben più lieve, trattandosi di una condanna per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990; così come la gravità della condotta addotta, legata al ruolo ipoteticamente assunto dal COGNOME nel preparare unicamente la sostanza stupefacente ai fini di spaccio.
Tali aspetti, non menzionati o sovradimensionati all’interno della decisione presa dal Tribunale, renderebbero l’evidenza di quanto il pericolo di reiterazione
non sia affatto concreto così come descritto al punto da non superare la duplice presunzione di colpevolezza ed adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
Tale rischio di reiterazione, inoltre, sarebbe sostenuto dal fatto che il NOME COGNOME avrebbe interagito con un altro soggetto, NOME COGNOME all’epoca dei fatti agli arresti domiciliari: l’imputato, dunque, sarebbe stato punito perché altro soggetto destinatario degli obblighi previsti in materia di misura cautelare domiciliare non avrebbe rispettato le disposizioni a lui imposte.
Si legge, infatti, che tale episodio renderebbe l’imputato non adatto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, con una motivazione assolutamente illogica in quanto asseritamente responsabile per una condotta altrui.
Si tratterebbe, all’evidenza, di una argomentazione del tutto illogica e come tale viziata, ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen.
Il Tribunale del Riesame di Palermo, quindi, ci si duole, ha rigettato l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia cautelare in carcere con altra, ugualmente idonea e forte, quale gli arresti domiciliari sulla base di un unico precedente differente, comune e debole quale quello ex art. 73, comma 5; sulla base della presunta condotta di mero “preparatore” della sostanza (non anche di spaccio in senso stretto) tenuta dal COGNOME in tale vicenda oggetto di procedimento, ormai risalente nel tempo a quasi cinque anni fa; e sulla base di un comportamento illecito perpetrato da altro soggetto, nei cui soli confronti sussistevano degli obblighi derivanti dall’applicazione della misura cautelare nei suoi confronti, relativi al divieto di comunicare con l’esterno atteso lo stato di custodia cautelare domiciliare.
Il Tribunale, stabilendo ciò, ha poi sottolineato come tale decisione, basata per l’appunto sulle summenzionate motivazioni che si reputano essere illogiche ed irrazionali, non verrà revocata o modificata fino a quando non saranno adottati fatti o elementi nuovi o sopravvenuti, non valutati in precedenza: richiesta che si ritiene essere soddisfatta dalla disponibilità di un’abitazione presente in una provincia completamente diversa e assolutamente distante (ossia il comune di Vizzini nella provincia di Catania) da quella ove si sono consumati i fatti oggetto di reato (il quartiere INDIRIZZO della città di Palermo) e in considerazione della natura degli stessi, quale reato necessariamente legato al territorio in sé e alle sue relazioni, essendo appunto un procedimento per reato per spaccio su strada.
Si ritiene, inoltre, che questi elementi vengano poi positivamente rafforzati dalla installazione del braccialetto elettronico di controllo a distanza che segnalerebbe, istantaneamente, l’eventuale allontanamento dell’indagato in esame dal proprio domicilio coatto, scongiurando, di fatto, il pericolo di fuga dello stesso; oltre l’ulteriore applicazione del divieto di comunicare, anche a mezzo telematico, con le persone diverse da quelle che con lui coabitano. Ritenendosi, dunque, che
in tal modo verrebbe certamente evitato ogni pericolo di reiterazione della condotta, ma soprattutto verrebbero salvaguardare le garanzie cautelari richieste dall’ordinamento, si vuole inoltre evidenziare come – allo stato attuale – il COGNOME abbia già così presofferto ben 8 mesi di carcerazione preventiva, per dei fatti anche risalenti nel tempo.
Un soggetto che non può dirsi solito in queste condotte di reato, avendo un solo precedente all’interno del proprio casellario e, oltretutto, di lieve natura, non assimilabile ai fatti per cui oggi si procede: un quasi incensurato per così dire, considerata anche la sua età.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.
Il PG ha reso le conclusioni scritte indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Come ricorda il provvedimento impugnato, il COGNOME è stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n 309/1990 con ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo del 14 maggio 2024, confermata in sede di riesame – con esclusione della sola circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis cod. pen. contestata al capo i con ordinanza n. 83612024 R. Libertà del Tribunale di Palermo, divenuta definitiva il 10 settembre 2024.
I giudici della cautela, concordemente, hanno rimarcata l’operatività della duplice presunzione – di sussistenza delle esigenze cautelari ed esclusiva adeguatezza della custodia cautelare in carcere – di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. e la concreta individuazione del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, desunta dal precedente specifico, dalla gravità della condotta caratterizzata dall’assunzione di un ruolo delicato, quale quello di “lavorare” lo stupefacente e preparano per lo spaccio e l’incessante prosecuzione della condotta delittuosa nonostante i numerosi interventi, sequestri ed arresti da parte della Polizia Giudiziaria. Occorreva, dunque, isolare l’indagato da contatti esterni e consentirne il pieno controllo da parte delle Autorità a ciò preposte.
I giudici della cautela hanno anche ritenuto che, anche ove eseguita con l’uso del dispositivo di controllo elettronico a distanza la misura degli arresti domiciliari – peraltro richiesta in un luogo non lontano da Palermo come Villabate,
comunque non rassicurante, data l’intensità dei traffici illeciti monitorati – non avrebbe in alcun modo neutralizzato il rischio di reiterazione dei reati, tenuto conto del fatto che il presidio non impediva eventuali violazioni, specialmente rispetto ad un individuo come NOME COGNOME che non aveva esitato ad interagire con NOME COGNOME, ristretto agli arresti domiciliari.
Orbene, come si ricorda nel provvedimento impugnatola decisione assunta in sede cautelare non può essere revocata o modificata fino a che non vengano addotti fatti o elementi nuovi o sopravvenuti, non valutati in precedenza, idonei ad incidere seriamente sulla precedente valutazione indiziaria e cautelare’. Dati che nel caso in esame si è dato conto che non sono stati prospettati.
Il Tribunale di Palermo ha rigettato l’appello cautelare proposto contro il diniego della richiesta di sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari, presentata valorizzandosi da parte della difesa il ruolo marginale assunto dall’indagato nella commissione dei reati, il decorso del tempo e la disponibilità a trasferirsi nel Comune di Vizzini (in provincia di Catania), lontano dal luogo dove si sono consumati i fatti (Palermo).
Con l’odierno ricorso si deduce vizio di motivazione, poiché, essendo contestata all’indagato una ipotesi di spaccio su strada, gli arresti domiciliari in un luogo diverso da quello ove si sono consumati i fatti oggetto di reato sarebbero misura adeguata in relazione alle esigenze cautelari. Anche l’unico precedente non è di per sé impeditivo, trattandosi di condanna per fatto qualificato ai sensi del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/1990, per cui il pericolo di reiterazione risulterebbe molto meno concreto. Infine, si censura il riferimento all’interazione con NOME COGNOME a sua volta sottoposto alla misura cautelare domiciliare, perché in tal modo l’indagato finirebbe col rispondere per una condotta altrui. Infine si insiste sulla possibilità di installazione del braccialetto elettronico, idoneo ad evitare ogni pericolo di reiterazione della condotta ed a salvaguardare le esigenze cautelari.
Si tratta, tuttavia, di doglianze tutte manifestamente infondate.
Il difensore ricorrente parla di spaccio di strada e sembra ignorare che al proprio assistito è contestata anche l’ipotesi associativa di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90.
Peraltro, diversamente da quanto opina il ricorrente, il giudice del gravame cautelare, con motivazione non manifestamente illogica, né contraddittoria, ha ribadito l’operatività della duplice presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari ed esclusiva adeguatezza della custodia cautelare in carcere facendo riferimento non solo al precedente specifico, ma soprattutto al ruolo di “lavorare” lo stupefacente e prepararlo per lo spaccio, che rende manifesta la debolezza dell’argomento dello spaccio su strada. L’attività del COGNOME, in altri termini, non si
svolgeva su strada ed anzi continuava nonostante i numerosi interventi, sequestri ed arresti da parte della polizia giudiziaria, a riprova della elevata pericolosità dell’indagato. Quanto all’interazione con NOME COGNOME a sua volta sottoposto alla misura cautelare domiciliare, la rilevanza dell’argomento è stata assolutamente ben motivata, poiché comunque l’indagato ha dimostrato noncuranza rispetto alla misura cautelare in atto, pure a carico di altra persona.
Con motivazione immune da censure di legittimità nel provvedimento impugnato si ritiene, infine, che nessuna decisiva importanza possa essere attribuita, anche al cospetto della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, al semplice decorso del tempo, trattandosi di un dato di per sé neutro, inidoneo, in assenza di ulteriori e decisivi elementi, ad incidere in modo significativo sui rischi dì cui all’art. 274 cod. proc. pen.
Sul punto l’ordinanza impugnata opera un buon governo della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui il decorso del tempo non può assumere di per sé alcuna valenza sintomatica dell’attenuazione delle esigenze cautelari se non valutato unitamente ad ulteriori elementi che consentano di desumere un concreto ridimensionamento del pericolo di condotte recidivanti secondo il principio, più volte ribadito, che, in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione dena misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (cfr. ex multis Sez. 4 n. 11477 del 23/02/2021 Haxholli, non mass.; Sez. 3, n. 43113 del 15/09/2015 – dep. 2015, K., Rv.265652-01; Sez. 2, n. 1858 del 09/10/2013, dep. 2014, Scalamana, Rv. 258191 – 01;Sez. 5, ord. n. 16425 del 02/02/2010, Iurato, Rv. 246868 – 01)
D’altro canto, l’individuazione del pericolo di reiterazione di reati è stata effettuata, in sede di riesame, con motivazione del tutto logica e congrua, anche in relazione alla specifica funzione assunta dal COGNOME nel contesto associativo e rispetto a tale valutazione il riferimento difensivo al ruolo subordinato del proprio assistito è rimasto del tutto generico, specialmente in considerazione dell’individuazione di compiti particolarmente delicati, trattandosi di individuo addetto a lavorazione dello stupefacente ed alla sua preparazione per lo spaccio, e del cente precedente specifico.
Le valutazioni già effettuate all’esito del procedimento di riesame in ordin alla inidoneità degli arresti domiciliari, con specifico riferimento al comportamen assunto da NOME COGNOME che non aveva esitato ad interagire con una persona sottoposta in quel momento agli arresti domiciliari come NOME COGNOME ed all’intens
dei traffici illeciti monitorati, non consentono, infine, anche in considerazione dei precedenti specifici, di attribuire rilievo decisivo – ai fini del superamento della presunzione di esclusiva adeguatezza della custodia cautelare in carcere – alla disponibilità di un domicilio in provincia diversa da quella ove si sono svolti i fatti.
Correttamente, allora, è stata ritenuta operante la presunzione di cui all’articolo 275, comma 3, cod. proc. pen., che in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, prescrive l’applicazione della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cauteiari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Si parla a tal proposito di presunzione solo relativa (e dunque salvo prova contraria o salvo che il giudice, anche d’ufficio, rilevi ex actis l’esistenza di specifici fatti ch consentano di escluderle) di esistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura più afflittiva.
Nel caso concreto, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari art. 275, comma 3, cod. proc. pen.) non appare vinta da alcuna allegazione difensiva, poiché vengono riproposte le argomentazioni (inefficaci) volte ad escludere la gravità indiziaria o le esigenze cautelari, per cui la doglianza è generica.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
Vanno dati gli avvisi di cui all’art. 94 c. 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 26/03/2025