Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 46560 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 46560 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Palmi il 24/03/1981
avverso l’ordinanza del 25/07/2024 del Tribunale di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25 luglio 2024 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del primo luglio 2024 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale gli era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione ai reati di cui agli artt. 74 d.P.R. 309/90 e 416-bisl cod. pen. (capo A della rubrica provvisoria) e di cui agli artt. 81 cpv., 110, 416-bisl cod. pen. e 73, commi 4 e 6, e 80, comma 2, d.P.R. 209/90 (capo B della rubrica provvisoria).
Avverso tale ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, con l’assistenza degli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che lo hanno affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 297, terzo comma, cod. proc. pen.
Ha esposto che l’iniziale informativa di reato era nella disponibilità del pubblico ministero di Reggio Calabria sin dal 2019 e che la presenza del ricorrente nella piantagione di sostanze stupefacenti era stata registrata per la prima volta il 10 marzo 2021 e successivamente il 31 marzo 2021, con la conseguenza che risulterebbe errata l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata e posta a fondamento della esclusione della retrodatazione dei termini massimi di durata della custodia cautelare, secondo cui il coinvolgimento del ricorrente sarebbe stato conosciuto solamente il 14 maggio 2021, successivamente alla esecuzione della misura, in quanto il pubblico ministero aveva già conoscenza del fatto e della partecipazione del ricorrente alla attività delittuosa attraverso le richieste di proroga delle intercettazioni formulate dalla polizia giudiziaria.
In particolare il pubblico ministero già nell’aprile del 2021 era a conoscenza dell’esistenza della piantagione illecita, della presenza del ricorrente su quel sito (in quanto videoripreso e identificato dalla polizia giudiziaria il 31 marzo 2021), del fatto che tale NOME COGNOME fosse intenzionato a trascorrere la latitanza all’interno della piantagione, della circostanza che costui era a conoscenza del fatto che stava per essere arrestato, cosicché la sua partecipazione alla attività delittuosa era nota al pubblico ministero che procedeva sin dal mese di aprile 2021, con la conseguente irrilevanza, nella prospettiva della individuazione del momento di conoscenza della partecipazione alla attività delittuosa, del definitivo accertamento di tale attività il 31 maggio 2021, in occasione dell’intervento della polizia giudiziaria presso tale piantagione.
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Ha aggiunto che anche gli indizi di responsabilità in ordine al reato associativo ex art. 74 d.P.R. 309/90 di cui al capo a) erano emersi antecedentemente alla esecuzione della prima misura cautelare, attraverso le operazioni di intercettazione.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), la violazione e l’errata applicazione degli artt. 125 e 192 cod. proc. pen. e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione della sussistenza di gravi indizi della partecipazione del ricorrente alla associazione finalizzata alla commissione di delitti in materia di stupefacenti di cui al capo a) nel ruolo di promotore e finanziatore del sodalizio.
Tale affermazione risulterebbe, ad avviso del ricorrente, congetturale, in quanto fondata esclusivamente su conversazioni intercettate tra terze persone, prive di riferimenti individualizzanti al ricorrente, e sulla presenza del ricorrente medesimo nella piantagione il 10 marzo 2021, da cui non poteva trarsi la posizione di vertice del ricorrente all’interno della associazione, non essendo emersi, soprattutto, indizi significativi in ordine alla capacità del ricorrente di regolare tutto o in parte l’attività collettiva in posizione di superiorità.
Ha censurato anche l’affermazione della stessa partecipazione del ricorrente alla suddetta associazione di cui al capo a), tratta in modo illogico da una conversazione tra COGNOME, COGNOME e Giovinazzo, custodi della piantagione, ai quali il primo rimproverava di essersi addormentati nello svolgimento dei loro compiti di vigilanza, minacciandoli dell’intervento di COGNOME e COGNOME ossia degli organizzatori e dirigenti del sodalizio, posto che il ricorrente era stato individuato solamente sulla base di un generico riferimento a tale “Zio Mico”, oltre che, altrettanto illogicamente, dalla presenza del ricorrente nella piantagione il 10 e il 31 marzo 2021.
2.3. Con il terzo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 125 e 192 cod. proc. pen., con riferimento alla configurabilità a suo carico della circostanza aggravante della agevolazione mafiosa di cui all’art. 416-bisl cod. pen.
Ha sottolineato, in particolare, che gli elementi considerati per ritenere configurabile detta circostanza si riferivano, genericamente, alla cosca COGNOME e non al ricorrente e a suoi comportamenti specifici, ed erano, in sostanza, stati desunti, in modo illogico, esclusivamente dal presunto inserimento del ricorrente in detta cosca e dalla sua presenza in due occasioni nella piantagione.
2.4. Analoghe censure sono state sollevate con il quarto motivo, mediante il quale si lamenta, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 125 e 192 cod. proc. pen., con riferimento alla configurabilità a suo carico della circostanza aggravante della ingente quantità
della sostanza stupefacente oggetto delle condotte di coltivazione di cui al capo b), di cui all’art. 80, secondo comma, d.P.R. 309/90.
Ha lamentato, in particolare, l’affermazione della configurabilità di tale circostanza aggravante nonostante la riconosciuta impossibilità di eseguire le analisi quantitative sui campioni sequestrati il 31 maggio 2021, a causa della umidità negli stessi presente che ne avrebbe alterato il risultato, avendo il Tribunale desunto, in modo ipotetico, la configurabilità di detta circostanza dal rinvenimento sul tavolo da cucina presente all’interno del fabbricato adiacente alla piantagione, in un piatto di plastica, di 9,7 grammi e 38,7 grammi di marijuana con un principio attivo superiore a quello legale, in assenza di elementi univoci che consentano di ritenere superati i valori soglia stabiliti per la configurabilità di dett circostanza aggravante.
2.5. Infine, con il quinto motivo, ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 416-bis cod. pen., 125, 274, 275 e 292 cod. proc. pen., e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione della sussistenza del pericolo di recidiva, ribadita dal Tribunale di Reggio Calabria omettendo di considerare il cosiddetto tempo silente tra la commissione del fatto e l’applicazione della misura e il correlato obbligo di motivazione da parte del giudice, nonostante la risalenza nel tempo delle precedenti condanne del ricorrente, in quanto l’unico addebito per reato associativo risale all’anno 2014, nonché il carattere chiuso della contestazione associativa (in quanto il reato associativo di cui al capo A è stato contestato come commesso fino al mese di ottobre 2021) e l’arresto del ricorrente nel maggio 2021, in esecuzione di altro provvedimento cautelare, che aveva determinato l’interruzione dei rapporti con gli altri associati.
Ha contestato anche l’esistenza del pericolo di fuga, non desumibile, in assenza di elementi specifici e concreti, dalla sola gravità delle condotte.
3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando la manifesta infondatezza delle doglianze relative al diniego della retrodatazione della decorrenza della custodia in carcere, risultando condivisibile e immune da vizi l’affermazione della insufficienza degli elementi esistenti all’epoca della emissione della prima misura per poter ritenere sussistenti anche i gravi indizi degli altri reati contestati al ricorrente e in relazione ai quali era st emessa la misura cautelare oggetto della richiesta di riesame; nonché di quelle, oggetto del secondo, del terzo e del quarto motivo, relative al quadro indiziario, in quanto prive di considerazione del complesso della motivazione dell’ordinanza impugnata, e anche di quelle, oggetto del quinto motivo, relative alle esigenze cautelari, correttamente ritenute sussistenti, alla luce delle presunzioni di cui all’art. 275 cod. proc. pen. e della personalità del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Giova premettere, come osservato anche nell’esaminare il ricorso n. 33031 del 2024, relativo al rigetto dell’appello cautelare dello stesso COGNOME avverso il diniego della dichiarazione di perdita di inefficacia della misura cautelare per le medesime ragioni, che in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, per l’anteriore “desumibilità” dagli atti del fatto oggetto della seconda ordinanza, emessa in un diverso procedimento e per fatti diversi e non legati da un rapporto di connessione qualificata con i primi, è necessario che il quadro legittimante l’adozione della misura cautelare sussista sin dal momento di emissione del primo provvedimento, non essendo sufficiente a tal fine la mera esistenza della notizia del fatto-reato, né che la successiva ordinanza si fondi su elementi probatori già presenti nella prima, potendo gli stessi non manifestare sin dall’inizio il loro significato in modo immediato ed evidente (Sez. 3, n. 20002 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279291 – 01, che, in applicazione di tale, principio ha ritenuto immune da censure l’ordinanza del riesame che aveva ritenuto irrilevante, ai fini della pregressa conoscibilità degli elementi, l’iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. e l’autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni telefoniche; v. anche Sez. 2, n. 18879 del 30/04/2021, COGNOME, Rv. 281230 – 01, e Sez. 1, n. 12700 del 27/09/2019, dep. 2020, Trapani, Rv. 278910 – 01; nonché Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, COGNOME, Rv. 253549 – 01 e Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235909 – 01).
Ora, nel caso in esame, il Tribunale di Reggio Calabria, nel disattendere la richiesta del ricorrente, ha chiaramente illustrato come al momento della emissione della precedente ordinanza di custodia in cautelare, in data 11 maggio 2021, in relazione a una contestazione del reato di cui all’art. 629 cod. pen. aggravato ai sensi dell’art. 416-bis1 cod. pen., commesso nel 2017, privo di connessione qualificata con gli altri reati contestati al ricorrente (commessi, quello associativo, tra febbraio e ottobre 2021, e, quello di coltivazione di stupefacenti, tra febbraio e maggio 2021), non fossero noti gli elementi indiziari relativi agli altri reati in relazione ai quali è stata emessa la misura oggetto delle richieste del ricorrente, in quanto la prima comunicazione di notizia di reato a essi relativa è del 12 maggio 2021 ed è stata depositata presso la Procura della Repubblica in Reggio Calabria il 14 maggio 2021; solamente il 30 novembre 2021, sulla base dell’esito complessivo delle videoriprese e delle altre indagini svolte, erano emersi gli elementi indizianti a carico del ricorrente, che nella fase iniziale delle indagini non era neppure stato sottoposto a intercettazioni, concludendo per l’insufficienza
di elementi indiziari gravi a carico del ricorrente al momento della emissione della prima ordinanza di custodia cautelare (nel procedimento denominato “Eyphemos”), sottolineando anche come la contestazione del reato di cui al capo b) indica come data di consumazione il 31 maggio 2021 e quella del reato associativo di cui al capo a) quella del 30 ottobre 2021, persistendo il vincolo associativo anche successivamente all’arresto del ricorrente, avvenuto il 14 maggio 2021.
Si tratta di argomenti ampiamente idonei a giustificare il rigetto della richiesta di retrodatazione dei termini di durata della custodia cautelare, essendo stato spiegato analiticamente e con chiarezza come all’atto della emissione della prima misura cautelare non fosse nota la gravità e la concludenza degli elementi indiziari a carico del ricorrente, essendo questi solamente stato ripreso in occasione del suo accesso presso la piantagione di cannabis il 31 marzo 2021, in quanto tali elementi sono emersi nella loro gravità solo successivamente dallo sviluppo e dall’approfondimento delle indagini.
Tali argomenti non sono stati affatto considerati dal ricorrente, tantomeno in modo critico, in quanto questi si è limitato a sostenere, genericamente, la conoscenza da parte del pubblico ministero degli elementi a carico anteriormente alla emissione della prima ordinanza di custodia cautelare, senza esaminare né considerare quanto analiticamente esposto nell’ordinanza impugnata per disattendere tale richiesta, con la conseguente inammissibilità delle sue doglianze, prive della necessaria specificità, sia intrinseca sia estrinseca, e, comunque, manifestamente infondate, alla luce della piena esaustività e correttezza di quanto esposto nell’ordinanza impugnata, circa l’insufficienza degli elementi disponibili al momento della emissione della prima cautelare a carico del ricorrente per poterlo ritenere indiziato anche in ordine ai reati di cui ai capi a) e b) in relazione ai quali gli è stata applicata la misura cautelare oggetto delle sue censure.
3. Per quanto riguarda gli altri motivi di ricorso giova premettere, trattandosi di osservazione comune al secondo, al terzo e al quarto motivo, con riferimento alle censure relative alla attribuzione al ricorrente della veste di promotore e finanziatore della organizzazione di cui al capo a) e della configurabilità delle circostanze aggravanti di cui all’art. 416-bis1 cod. pen. e all’art. 80, secondo comma, d.P.R. 309/90, contestate in relazione a entrambi i capi dell’incolpazione provvisoria, che in tema di procedimento cautelare sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta a ottenere l’esclusione di una circostanza aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto nel solo caso in cui ciò incida sull’an o sul quomodo della misura (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284489 – 01, relativa ad associazione per delinquere di
tipo mafioso, in cui è stata ritenuta corretta la decisione dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, in quanto, come nel caso in esame, finalizzato alla sola esclusione del ruolo apicale dell’indagato all’interno del sodalizio, elemento privo di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata; v. anche Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275028 – 01, con la quale è stato ritenuto inammissibile per carenza d’interesse il ricorso con cui, analogamente al caso in esame, era stata contestata la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa senza che fossero impugnate le valutazioni in punto di pericolo di reiterazione non fondate su tale presunzione; nel medesimo senso Sez. 3, n. 20891 del 18/06/2020, COGNOME, Rv. 279508 – 01, e Sez. 3, n. 36731 del 17/04/2014, COGNOME, Rv. 260256 – 01).
Ora, nel caso in esame, il ricorrente, nel contestare, oltre alla stessa partecipazione alla associazione di cui al capo a), la configurabilità della veste di promotore e organizzatore di tale associazione (secondo motivo), nonché delle circostanze aggravanti della agevolazione mafiosa di cui all’art. 416-6/si cod. pen. (terzo motivo) e della ingente quantità di sostanze stupefacenti di cui all’art. 80, secondo comma, d.P.R. 309/90 (quarto motivo), non ha in alcun modo illustrato come l’esclusione di tali qualificazioni e circostanze inciderebbe sul quadro indiziario a suo carico, o sulla valutazione di gravità della condotta, non essendo, tra l’altro, stati sollevati specifici rilievi sulla adeguatezza della misura (anche all luce della presunzione relativa di cui all’art. 275, terzo comma, cod. proc. pen.), ma solo sulla attualità e sulla concretezza delle esigenze, ma per ragioni diverse rispetto alla configurabilità di tali circostanze o alla valutazione di gravità delle condotte, cosicché le doglianze circa la configurabilità di dette circostanze aggravanti risultano prive del necessario interesse a dedurle, posto che dal loro eventuale accoglimento non potrebbe discendere alcun effetto favorevole per il ricorrente, atteso che i reati contestati consentirebbero egualmente l’applicazione della misura e che non sono stati addotti elementi specifici e concreti idonei a consentire di superare la presunzione di adeguatezza di cui all’art. 275, terzo comma, cod. proc. pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. Tanto premesso, in termini comuni a parte del secondo motivo e al terzo e al quarto, il secondo motivo, sia nella parte in cui si censura l’affermazione della partecipazione del ricorrente al sodalizio ex art. 74 d.P.R. 309/90 di cui al capo a), sia con riferimento alle critiche rivolte alla affermazione della configurabilità in capo al ricorrente della veste di promotore, organizzatore, finanziatore e dirigente di tale sodalizio, è inammissibile, essendo volto a censurare sul piano del loro apprezzamento la valutazione degli elementi indiziari, in particolare degli esiti delle conversazioni intercettate, proponendone una non consentita rivisitazione e lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che è concorde
e non manifestamente illogica, come tale insuscettibile di rivalutazione sul piano delle valutazioni di merito e dell’apprezzamento delle prove nel giudizio di legittimità, nel quale, come da consolidata giurisprudenza, è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Il Tribunale di Reggio Calabria, nel disattendere le analoghe censure sollevate con la richiesta di riesame, ha riepilogato dettagliatamente gli esiti delle indagini e ha dato atto degli elementi dimostrativi dell’esistenza della associazione di cui al capo a), volta, tra l’altro attraverso una precisa suddivisione di ruoli e mansioni, a realizzare un numero indeterminato di piantagioni illegali di cannabis, peraltro non contestata dal ricorrente.
Quanto alla partecipazione di quest’ultimo, nel ruolo di promotore, organizzatore, finanziatore e dirigente, questa è stata tratta, in modo non illogico, dalle conversazioni intercettate, nelle quali si fa riferimento al ricorrente come soggetto in grado di sanzionare gli incaricati della vigilanza di una piantagione per la loro negligenza (Caprogreco e Giovinazzo, per essersi addormentati all’interno della piantagione anziché svolgere i compiti di sorveglianza loro affidati); dotato, assieme a NOME COGNOME, dei contatti con la cosca COGNOME necessari per la commercializzazione della sostanza stupefacente successivamente alla sua produzione; programmatore, gestore e direttore dell’attività illecita (come desunto dal sopralluogo del 10 marzo 2021 nell’area nella quale sarebbe stata realizzata la prima piantagione e da quello successivo del 30 marzo 2021 e dalle direttive impartite il 7 marzo 2021 agli altri partecipi).
Tali elementi indiziari sono stati ritenuti dimostrativi della partecipazione del ricorrente, nel ruolo indicato, al sodalizio e tale valutazione, che non è affatto illogica, stante l’univoca valenza dimostrativa degli elementi indiziari valorizzati dai giudici di merito, è stata censurata dal ricorrente esclusivamente sul piano della lettura di detti elementi, di cui è stata proposta una riconsiderazione e una diversa valutazione del loro significato, che non è consentita nel giudizio di legittimità, che è circoscritto alla verifica della coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando invece preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, COGNOME, n. 12110, Rv. 243247), come indebitamente proposto dal ricorrente.
5. Il terzo motivo, mediante il quale è stata censurata l’affermazione della sussistenza di gravi indizi della configurabilità della circostanza aggravante della agevolazione mafiosa, è inammissibile, sia per carenza di interesse per quanto esposto al par. 3, sia per ragioni analoghe a quelle esposte al par. 4, in quanto anche mediante tali censure si critica, sul piano valutativo e dell’apprezzamento degli elementi indiziari, la valutazione che di questi hanno compiuto i giudici di merito.
Il Tribunale di Reggio Calabria, nel disattendere le analoghe censure sollevate con la richiesta di riesame, ha sottolineato che in diverse conversazioni intercettate si fa riferimento alla cosca COGNOME, alla sua capacità di controllo del territorio e ai suoi canali di rifornimento, strumentali allo smercio dello stupefacente prodotto e anche per agevolare l’attività della cosca, che aveva fornito un contributo economico alla realizzazione delle piantagioni anche nella prospettiva di ritrarne dei ricavi; nell’ambito di tale rapporto è stato evidenziato lo stretto rapporto tra NOME COGNOME e il ricorrente NOME COGNOME anche dopo l’arresto di quest’ultimo, e la piena consapevolezza del ricorrente di agevolare, attraverso le condotte di coltivazione del sodalizio e il successivo smercio dello stupefacente prodotto dalle piantagioni, l’attività della cosca, sottolineando che il comportamento reverenziale degli altri associati, di stima mista a timore per la figura di NOME COGNOME, non è riconducibile solo alla sua personalità e alle sue caratteristiche soggettive, ma soprattutto alla sua connessione con la cosca omonima.
Si tratta, anche a questo proposito, di considerazioni idonee a giustificare la dimostrazione della sussistenza della contestata finalità agevolatrice, quantomeno a livello di gravità indiziaria, essendo stati puntualmente indicati i rapporti con esponenti di spicco della cosca COGNOME e l’esistenza della volontà di favorirne l’attività, che il ricorrente ha censurato, nuovamente, sul piano della valutazione degli elementi indiziari, di cui ha proposto una diversa, non consentita, lettura, con la conseguente manifesta infondatezza della censura formulata con il terzo motivo di ricorso.
6. Il quarto motivo, mediante il quale è stata censurata l’affermazione della sussistenza di gravi indizi della configurabilità della circostanza aggravante della ingente quantità della sostanza stupefacente, è inammissibile, sia per carenza di interesse, per quanto esposto al par. 3, sia per ragioni analoghe a quelle esposte ai parr. 4 e 5, in quanto anche mediante tale censura si critica, sul piano valutativo
e dell’apprezzamento degli elementi indiziari, la valutazione che di questi hanno compiuto i giudici di merito.
Il Tribunale ha, infatti, ribadito la configurabilità, quantomeno a livello indiziario, di detta circostanza aggravante, pur dando atto della impossibilità, a causa della umidità, di procedere all’analisi quantitativa sui campioni prelevati nelle 14 serre realizzate dagli indagati, sottolineando, in modo logico, la sussistenza di gravi indizi del superamento dei limiti tabellari, desumibili: dal quantitativo di principio attivo presente nei campioni rinvenuti nel casolare adiacente alla coltivazione; dal numero di piante (2915) e di serre (14); dall’esperienza degli indagati nello specifico settore; dai profitti che gli stessi auspicavano di ritrarre dal raccolto di detta piantagione, posto che gli indagati stimavano di raccogliere svariati quintali di marijuana.
Si tratta di considerazioni logiche e idonee a giustificare, quantomeno a livello di gravità indiziaria, l’affermazione della configurabilità di detta circostanza, che il ricorrente non ha considerato, sottolineando solamente la modestia del quantitativo rinvenuto nel casolare e l’impossibilità di eseguire analisi quantitative, senza confrontarsi con le altre argomentazioni a sostegno della configurabilità della circostanza, con la conseguente genericità e manifesta infondatezza anche di tale censura.
7. Il quinto motivo, relativo alle esigenze cautelari, in particolare alla attualità del pericolo di recidivanza, è anch’esso inammissibile, sia perché, secondo la non contestata narrativa dell’ordinanza impugnata, non risulta che tale aspetto abbia costituito oggetto della richiesta di riesame, cosicché risulta ora preclusa la deduzione di un vizio di motivazione sul punto, alla stregua del principio secondo cui non può essere dedotto con ricorso per cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice dell’impugnazione se la censura non gli era stata rappresentata; sia alla luce della idoneità della motivazione anche su tale punto.
Il Tribunale, infatti, oltre a dare atto della pericolosità del ricorrente, desunta dal suo ruolo, dalle modalità organizzate della condotta, dai suoi precedenti e dalla sua proclività a delinquere, ha ravvisato la attualità delle esigenze cautelari (da presumere sussistenti e adeguate ai sensi della presunzione relativa di cui all’art. 275, terzo comma, cod. proc. pen.) alla luce della personalità e della pericolosità del ricorrente, sottolineandone la spiccata personalità criminale, l’attenzione e il ricorso a precauzioni per non essere identificato (come l’utilizzo di un cappellino in occasione dei sopralluoghi nella piantagione, per il timore di essere visto o ripreso), l’attenzione a non esporsi neppure nel corso delle conversazioni telefoniche, le notevoli disponibilità finanziarie (che gli avevano consentito di fornire un ingente contributo economico alla realizzazione della piantagione di cannabis di cui al capo B), l’intenzione di nascondersi all’interno della piantagione,
evidenziando anche l’assenza di elementi nuovi che consentano di ritenere non più attuali le esigenze, in particolare il pericolo di reiterazione di condotte dello stesso genere.
Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea, essendo ampiamente state sottolineate la accentuata pericolosità del ricorrente e la sua proclività a delinquere, dalle quali, in assenza di elementi sopravvenuti, è stata tratta, in modo logico, la attualità delle esigenze, motivazione che il ricorrente non ha considerato nella sua interezza e ha censurato, nuovamente, esclusivamente sul piano delle valutazioni di merito, sottolineando in modo generico solamente il tempo trascorso tra la realizzazione delle condotte e l’applicazione della misura, con la conseguente manifesta infondatezza anche di tale censura.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 5/12/2024