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Custodia cautelare: no alla retrodatazione dei termini

Un uomo in custodia cautelare per traffico di droga e agevolazione mafiosa chiede la retrodatazione dei termini. La Cassazione respinge il ricorso, stabilendo che la semplice conoscenza pregressa di alcuni fatti non è sufficiente se il quadro indiziario completo non era ancora definito al momento della prima misura cautelare. Dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia cautelare: quando la conoscenza pregressa dei fatti non basta per la retrodatazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46560/2024, ha fornito importanti chiarimenti sui presupposti per la retrodatazione dei termini della custodia cautelare. Il caso analizzato offre lo spunto per comprendere perché la mera conoscenza di alcuni elementi da parte degli inquirenti non sia sufficiente a far scattare l’anticipazione della decorrenza della misura restrittiva.

I Fatti del Caso

Un soggetto, già detenuto per un altro reato, veniva raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere per gravi reati, tra cui l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e la coltivazione di una vasta piantagione di cannabis, con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
L’indagato, tramite i suoi legali, proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato la misura. I motivi del ricorso erano molteplici e toccavano aspetti cruciali della procedura cautelare.

I Motivi del Ricorso: dalla retrodatazione alla valutazione degli indizi

La difesa dell’indagato ha articolato il ricorso in cinque punti principali:
1. Violazione sulla decorrenza della custodia cautelare: Si sosteneva che i termini della misura dovessero essere retrodatati, poiché l’autorità giudiziaria era a conoscenza dei fatti e del coinvolgimento dell’indagato già da mesi prima dell’emissione della nuova ordinanza.
2. Carenza di gravi indizi: Il ricorrente contestava la sussistenza di gravi indizi circa il suo ruolo di promotore e finanziatore dell’associazione, ritenendo le prove (principalmente intercettazioni tra terzi) di natura congetturale.
3. Insussistenza dell’aggravante mafiosa: Si negava la configurabilità dell’agevolazione mafiosa, poiché gli elementi a sostegno erano generici e non legati a comportamenti specifici del ricorrente.
4. Insussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità: Veniva contestata l’aggravante legata alla quantità della droga, data l’impossibilità di eseguire analisi quantitative sui campioni sequestrati.
5. Carenza delle esigenze cautelari: Infine, si contestava la sussistenza del pericolo di recidiva, data la risalenza nel tempo dei precedenti penali e l’interruzione dei rapporti con gli altri associati a seguito del suo arresto.

La Decisione della Cassazione: ricorso inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte, confermando integralmente la decisione del Tribunale del Riesame. La sentenza ha ribadito principi consolidati in materia di custodia cautelare e ha delineato con precisione i limiti del sindacato di legittimità.

Le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le doglianze del ricorrente.
Sul tema centrale della retrodatazione, i giudici hanno chiarito che, per poter anticipare la decorrenza dei termini, non è sufficiente la mera “desumibilità” dei fatti o l’esistenza di una notizia di reato. È necessario che, al momento dell’emissione del primo provvedimento cautelare, esistesse già un quadro indiziario grave, preciso e concordante, tale da giustificare l’adozione della misura anche per i nuovi reati. Nel caso di specie, sebbene alcune attività (come le videoriprese nella piantagione) fossero antecedenti, la loro piena valenza indiziaria e la loro gravità sono emerse solo a seguito di approfondimenti investigativi successivi. Pertanto, la richiesta di retrodatazione è stata respinta.

Riguardo alla contestazione dei gravi indizi e delle aggravanti, la Corte ha rilevato una carenza di interesse da parte del ricorrente. L’eventuale esclusione del ruolo di promotore o delle aggravanti non avrebbe comunque inciso sulla scelta della misura della custodia cautelare in carcere, data la gravità dei reati contestati. Inoltre, le censure sono state ritenute un tentativo non consentito di ottenere una nuova valutazione del merito delle prove, attività preclusa nel giudizio di legittimità quando la motivazione del giudice precedente è, come in questo caso, logica e coerente.

Infine, anche le censure sulle esigenze cautelari sono state giudicate infondate. Il Tribunale aveva adeguatamente motivato la sussistenza del pericolo di recidiva basandosi sulla spiccata personalità criminale del ricorrente, sul suo ruolo nell’organizzazione e sulle precauzioni adottate per eludere le indagini.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la retrodatazione dei termini della custodia cautelare è un’eccezione che richiede un quadro indiziario già solido e definito per i nuovi reati al momento della prima misura, non una semplice conoscenza embrionale dei fatti. La decisione conferma inoltre la natura del giudizio di Cassazione, che non può trasformarsi in un terzo grado di merito, ma deve limitarsi a verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione dei provvedimenti impugnati. Per gli indagati, ciò significa che le contestazioni sul quadro probatorio devono essere fondate su vizi logici manifesti e non su una mera rilettura alternativa degli elementi raccolti.

Quando si applica la retrodatazione dei termini della custodia cautelare?
La retrodatazione si applica solo quando, al momento dell’emissione di un primo provvedimento cautelare per un determinato reato, esisteva già un quadro indiziario grave, preciso e completo anche per i fatti oggetto della seconda ordinanza. La semplice esistenza della notizia di reato o la mera “desumibilità” di alcuni elementi non è sufficiente.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza?
No, in sede di ricorso per cassazione non è possibile chiedere una nuova valutazione delle prove o degli indizi. Il controllo della Corte è limitato alla verifica della coerenza logica e della correttezza giuridica della motivazione del provvedimento impugnato. Non si può proporre una lettura alternativa degli elementi di prova.

In un procedimento cautelare, è sempre utile contestare le circostanze aggravanti?
Non sempre. La Corte ha stabilito che manca l’interesse a contestare un’aggravante se la sua esclusione non comporterebbe alcuna modifica sulla misura cautelare applicata (ad esempio, il passaggio dal carcere a una misura meno afflittiva) o sulla sua durata. Il ricorso, in tal caso, può essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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