Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1199 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1199 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Catania il 24/12/1967 avverso l’ordinanza del 20/6/2023 emessa dal Tribunale di Catania visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali chiedono l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catania, pronunciando in sede di appello cautelare, rigettava l’impugnazione proposta avverso l’ordinanza con la quale non era stata accolta la richiesta di dichiarare l’intervenuta cessazione della misura cautelare in atto nei confronti di NOME COGNOME
La richiesta era stata formulata sul presupposto che il termine iniziale per il computo del periodo di durata della custodia cautelare dovesse essere retrodatato, non dovendosi computare dal 4 luglio 2017 (data di esecuzione della misura), bensì dall’aprile 2013 (data di esecuzione di altra misura, disposta in diverso procedimento, in relazione a reato successivamente posto in continuazione con quello giudicato nel procedimento in cui era stata emessa la misura in atto).
Il Tribunale rilevava la genericità della richiesta, non essendo adeguatamente indicati i periodi di liberazione anticipata che, a dire della difesa, avrebbero comportato l’avvenuto superamento della durata complessiva della custodia cautelare rispetto alla pena inflitta.
In ogni caso, si evidenziava l’infondatezza in diritto della tesi secondo cui il termine iniziale di decorrenza della misura doveva essere retrodatato.
Avverso l’ordinanza in epigrafe indicata, il ricorrente ha proposto un unico motivo di ricorso, per violazione dell’art. 300, comma 4, cod.proc.pen. e vizio di motivazione.
Il ricorrente premette di essere stato sottoposto ad una duplice misura cautelare, la prima disposta nel 2013 (nel c.d. procedimento “Fiore”) e la seconda, ancora in atto, nel 2017 (nel procedimento “Docks”). In questo secondo giudizio, era stata riconosciuta la continuazione tra i reati da ultimo giudicati e uno dei reati oggetto della precedente misura cautelare, per il quale veniva disposto un aumento pari a mesi tre di reclusione.
Assume la difesa che, per effetto del riconoscimento della continuazione, il termine iniziale di esecuzione della misura doveva essere retrodatato al 2013 e, tenendo conto dei periodi di liberazione anticipata, ne deriverebbe che il ricorrente avrebbe scontato una misura cautelare detentiva superiore alla pena complessivamente infitta per i reati oggetto di cautela (11 anni, mesi 4 e giorni 20).
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
Occorre in primo luogo ribadire, come già fatto in sede di appello cautelare, l’assoluta genericità della prospettazione difensiva.
Ove pure si volesse seguire la tesi in diritto e, quindi, procedere alla
retrodatazione della data di inizio della seconda misura cautelare, è stato ampiamente sottolineato come, tenuto conto della pena inflitta, la misura non verrebbe a scadenza prima del 30 agosto 2024.
Il ricorrente, senza prendere in alcun modo posizione rispetto a tale elemento dirimente, ha riproposto le medesime argomentazioni già esaminate dal Tribunale dell’appello cautelare, limitandosi a sostenere che la durata della misura dovrebbe essere decurtata dei periodi di “liberazione anticipata”.
Si tratta di una deduzione del tutto generica sia in fatto che in diritto, posto che non si indica in alcun modo quale sarebbe il presupposto per l’applicazione, in sede cautelare, dell’istituto della liberazione anticipata e, in ogni caso, il ricorren non indica a quanto ammonterebbero tali periodi.
2.1. Pur a fronte del profilo assorbente sopra indicato, è opportuno rimarcare l’assoluta infondatezza della tesi in diritto proposta dal ricorrente, il quale vorrebbe estendere l’istituto della retrodatazione – previsto a tutt’altri fini e concernente profilo delle cosiddette contestazioni a catena al diverso ambito del calcolo della durata della misura cautelare, ai sensi dell’art. 300, comma 4, cod.proc.pen.
Sostiene il ricorrente che, una volta riconosciuta la continuazione tra reati giudicati separatamente e in relazione a ciascuno dei quali era stata applicata la custodia cautelare, nel calcolare il superamento della durata della misura rispetto alla pena inflitta, dovrebbero sommarsi i due periodi di custodia subiti.
A sostegno di tale impostazione, si richiama il principio secondo cui ai fini previsti dall’art. 300, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui la custodia cautelare perde efficacia quando la sua durata risulta non inferiore alla pena irrogata con la sentenza di condanna – ancorchè non definitiva – deve computarsi anche il periodo in cui il soggetto è stato contestualmente detenuto in esecuzione pena per un altro titolo, poichè questa, in quanto compatibile, ai sensi dell’art. 297, comma quinto, cod. proc. pen., con lo stato di detenzione derivante dalla misura cautelare, non sospende gli effetti di quest’ultima (Sez.6, n. 17750 del 16/3/2017, COGNOME, Rv. 269878).
Il precedente richiamato non è conferente rispetto al caso di specie, nel quale non si verte nell’ipotesi di contestuale restrizione dell’interessato in espiazione pena e per l’esecuzione di misura cautelare.
Parimenti diversa è la fattispecie esaminata da Sez.5, n. 33230 del 16/5/2019, COGNOME, Rv. 277001, concernente un’ipotesi in cui si è ritenuto che qualora la sentenza di condanna riconosca il vincolo della continuazione tra più violazioni dell’art. 416-bis cod. pen., individuando la più grave in quella per la quale è in corso di esecuzione la misura cautelare e il reato satellite in una violazione per la quale l’imputato è stato condannato con sentenza irrevocabile ad
una pena già espiata, il “credito di pena” determinato dall’applicazione del cumulo giuridico ex art. 81 cpv. cod. pen., in luogo del cumulo materiale, non può essere imputato alla durata della custodia cautelare in atto per la violazione più grave, in assenza dei presupposti di cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen.
I principi sopra espressi sono inidonei a risolvere la questione in esame concernente due distinte misure cautelari, disposte in procedimenti autonomi, nel secondo dei quali è stata riconosciuta la continuazione con un reato precedentemente giudicato.
In conclusione, quindi, deve ritenersi che – così come proposta – l’istanza di dichiarazione di cessazione della misura cautelare è manifestamente infondata, sia perché basata su un presupposto in diritto non condivisibile, sia perché il ricorrente ha omesso di confrontarsi con le plurime variabili che incidono sul calcolo finale di durata della misura e che, allo stato dell’accertamento compiuto dai giudici di merito, esclude in ogni caso l’avvenuta decorrenza del termine.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp.att. cod. proc. pen.
Così deciso il 4 dicembre 2023
Il Consigliere estensore