LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Custodia cautelare ‘ndrangheta: il ruolo apicale

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare ‘ndrangheta. La Corte ha confermato la validità degli indizi di colpevolezza basati su conversazioni intercettate che dimostravano il ruolo apicale dell’indagato all’interno dell’associazione criminale, evidenziando il suo coinvolgimento in affari economici, strategie politiche e nella gestione interna del clan. La genericità del ricorso ha portato alla sua inammissibilità.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare ‘Ndrangheta: Quando le Conversazioni Provano il Ruolo di Vertice

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema della custodia cautelare ‘ndrangheta, chiarendo come le conversazioni intercettate possano costituire gravi indizi di colpevolezza sufficienti a giustificare la detenzione in carcere, specialmente quando delineano un ruolo di vertice dell’indagato. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto accusato di essere promotore, dirigente e organizzatore di un’associazione di tipo ‘ndranghetista, confermando la solidità del quadro indiziario basato su plurime intercettazioni.

Il Caso: L’Ordinanza di Custodia Cautelare e il Ricorso in Cassazione

Il caso ha origine da un’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria che confermava la misura della custodia cautelare in carcere per un uomo accusato di essere al vertice di una cosca operante nel territorio calabrese. La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti:

1. Insufficienza dei gravi indizi di colpevolezza: Secondo il ricorrente, la sua partecipazione all’associazione era stata desunta in modo errato da conversazioni intercettate tra familiari, senza che venissero indicate condotte materiali specifiche a lui riconducibili.
2. Mancanza di esigenze cautelari: La difesa sosteneva l’assenza di necessità concrete e attuali per il mantenimento della misura detentiva, data la presunta debolezza degli elementi a carico.

Il Ruolo delle Intercettazioni nella custodia cautelare ‘ndrangheta

Il Tribunale della Libertà aveva basato la sua decisione su un’analisi approfondita di diverse conversazioni, dalle quali erano emerse tre vicende specifiche che collocavano l’indagato in una posizione apicale. La Cassazione ha ritenuto questa analisi logica e coerente. Le vicende chiave erano:

* La gestione di affari economici: L’interessamento per l’acquisizione di un villaggio turistico confiscato, in accordo con altre potenti ‘ndrine del territorio. In tale contesto, emergeva la necessità per i potenziali acquirenti di ‘riconoscere diritti’ ai fratelli indagati, uno dei quali era proprio il ricorrente, a dimostrazione del loro potere di controllo economico sul territorio.
* L’influenza politica: Il sostegno attivo a un candidato sindaco per creare un pacchetto di voti più ampio, superando la dimensione di una cosiddetta “‘ndrangheta agricola”. La certezza mostrata dall’indagato nel poter far convergere i voti sul candidato prescelto è stata interpretata come un chiaro indicatore del suo status di leader.
* L’organizzazione interna del clan: Una conversazione con il fratello in cui l’indagato affermava la necessità di “vedere le cariche nuove” all’interno della cosca, manifestando un coinvolgimento diretto nella gestione e riorganizzazione della struttura criminale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato” e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno sottolineato che il ricorso si era limitato a contestare genericamente le conclusioni del Tribunale, senza confrontarsi con le specifiche argomentazioni e gli elementi di prova valorizzati nell’ordinanza impugnata. La Cassazione ha ribadito di non poter effettuare una nuova valutazione dei fatti, ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione, che in questo caso erano ineccepibili.

Anche riguardo alle esigenze cautelari, la Corte ha confermato la correttezza della decisione del Tribunale, che aveva applicato la doppia presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. per i reati di associazione mafiosa. Tale presunzione, unita al ruolo apicale emerso dalle indagini, rendeva la custodia in carcere l’unica misura adeguata.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità sulla base della genericità e manifesta infondatezza dei motivi di ricorso. L’appello non ha scalfito la struttura logica dell’ordinanza impugnata, la quale aveva meticolosamente collegato i contenuti di diverse conversazioni per delineare un quadro coerente del ruolo apicale del ricorrente. Il Tribunale, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, aveva evidenziato come l’indagato fosse partecipe diretto in alcune conversazioni cruciali e come il suo potere venisse riconosciuto anche in sua assenza. La Corte ha chiarito che il suo ruolo non è quello di riesaminare il merito delle prove, ma di controllare la legittimità e la coerenza del ragionamento del giudice precedente. In questo caso, il Tribunale aveva correttamente desunto la partecipazione qualificata all’associazione da elementi concreti, come la gestione di affari complessi, l’esercizio di influenza politica e la discussione sulla struttura interna della cosca, che sono tutte prerogative tipiche di una figura di vertice. La presunzione di pericolosità sociale per i reati di mafia, rafforzata dal ruolo di leader, giustificava pienamente il mantenimento della più grave misura cautelare.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di custodia cautelare ‘ndrangheta: un ruolo di vertice in un’associazione criminale può essere provato, a livello di gravi indizi, anche attraverso l’analisi incrociata di conversazioni intercettate. Non è necessaria la prova di una partecipazione materiale a ogni singolo atto delittuoso, ma è sufficiente che emerga un quadro indiziario solido da cui si possa desumere la funzione direttiva e organizzativa dell’indagato. Per contestare efficacemente un’ordinanza cautelare, non basta una generica negazione, ma occorre smontare punto per punto la logicità degli argomenti del giudice, dimostrando specifiche illogicità o violazioni di legge, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Le conversazioni intercettate, anche se non direttamente partecipate, possono giustificare una custodia cautelare per associazione mafiosa?
Sì. La Corte ha ritenuto che il contenuto di plurime conversazioni, analizzate nel loro complesso, possa costituire un grave indizio di colpevolezza, anche se l’indagato non è partecipe di ogni dialogo, qualora da esse emerga in modo coerente il suo ruolo di potere e la sua influenza sulle decisioni del gruppo criminale.

Cosa si intende per ‘ruolo apicale’ e come viene provato in fase cautelare?
Per ‘ruolo apicale’ si intende una posizione di comando, direzione o organizzazione all’interno dell’associazione. In questo caso, è stato provato attraverso indizi concreti emersi dalle intercettazioni, come la gestione di trattative economiche per conto della cosca, l’esercizio di influenza politica per ottenere voti e la partecipazione a decisioni sulla struttura interna del clan.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile anziché rigettato?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto ‘manifestamente infondato’. Ciò significa che i motivi presentati dalla difesa erano talmente generici e privi di fondamento da non superare neppure un vaglio preliminare. L’inammissibilità si ha quando il ricorso non contesta specificamente le argomentazioni della decisione impugnata o chiede alla Cassazione una nuova valutazione dei fatti, compito che non le spetta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati