Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 24348 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 24348 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a Catanzaro il 29/07/1988
avverso l’ordinanza dello 03/12/2024 del Tribunale di Catanzaro
Visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
lette le memorie difensive e di replica presentate dall’Avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Catanzaro – adito in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. – confermava l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale il 14 ottobre 2024 con cui era stata applicata la
misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato di partecipazione al sodalizio criminoso dedito al narcotraffico, capeggiato da NOME COGNOME, sub 2) e al reato – fine di coltivazione di piantagioni sub 41), mentre annullava l’ordinanza nella parte in cui ne aveva riconosciuto il ruolo di partecipe all’associazione ‘ndraghetis operante sul territorio di Filogaso e di Maiorato ( ‘ndrina COGNOME ).
Avverso il provvedimento NOME COGNOME ha proposto, per il tramite del difensore di fiducia, ricorso, deducendo:
-violazione di legge e vizi vari di motivazione in relazione alla gravità indiziaria sia riferimento al ruolo di partecipe nell’ambito del sodalizio Cracolici sia in relazione all’attiv coltivazione della piantagione di cannabis.
I Giudici del merito non avrebbero congruamente valutato che il ricorrente era stato assunto alle dipendenze del Cracolici, con un regolare contratto di lavoro, e che era stato retribuito per l’attività di preparazione del terreno per impiantare la serra. Per tale moti David nulla poteva sapere in ordine alla “illiceità” della coltivazione, anche perché la di presso cui era stato assunto era stata regolarmente autorizzata alla coltivazione delle piante d cannabis light e dunque – almeno apparentemente – svolgeva attività lecita. Il NOME infatt eseguiva solo attività materiali ed era all’oscuro delle sottostanti dinamiche organizzative gestionali;
-violazione di legge e vizio di motivazione per non avere il Tribunale reso compiuta motivazione in ordine alla sussistenza della contestata circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa;
-violazione di legge e vizio di motivazione per avere i Giudici di merito ritenuto, in modo d assertivo, sussistenti le esigenze cautelari del pericolo di reiterazione nel reato e del pericol inquinamento probatorio.
Il procedimento si è svolto in forma cartolare in assenza di istanza delle parti.
Il Pg e il difensore hanno inoltrato conclusioni scritte, richiamate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
E’ manifestamente infondato il primo motivo di ricorso.
0 .2,3’I Giudici della cautela – dopo aver adeguatamente ricostruito il contesto fattuale, la genesi e l’operatività dell’associazione dedita al narcotraffico , riferibile a NOME COGNOME non le relative vicende e la commissione di plurimi reati-fine ascrivibili al programma associativosoffermano ( cfr pagg. 18 e ss del provvedimento impugnato) sulla posizione di NOME COGNOME
ravvisando gravi indizi di colpevolezza quanto all’appartenenza al sodalizio e NOME svolto al suo interno fessenzialmente sulla scorta delle conversazioni oggetto di captazione telefonica.
Conversazioni che – secondo la congrua e non illogica valutazione dei Giudici del merito erano evocative dell’ organico inserimento del David nella struttura associativa, rispetto all cui esistenza ed operatività sul territorio la difesa non muove censure, e ciò in ragione de rapporto altamente fiduciario intercorrente tra NOME COGNOME e NOME COGNOME della piena consapevolezza in capo al David della illiceità dell’attività che veniva svolta all’interno d serra, del fatto che la coltivazione della piantagione si inserisse un più ampio contesto organizzativo e della manifestata disponibilità del David a fornire il proprio stabile contrib nell’attuazione programma criminoso.
Evocative di tale consapevole disponibilità erano, per i Giudici della cautela, l conversazioni richiamate e trascritte per la parte di interesse nel corpo del provvedimento impugnato, tra le quali venivano segnalate – per la chiarezza ed eloquenza del contenuto – due conversazioni: la prima, intercorsa tra COGNOME e NOME, nel corso della quale gli interlocuto discutevano del “THC” del prodotto e del possibile valore di mercato; la seconda in cui si dava atto della partecipazione del NOME, unitamente agli altri soldali, ad una serie di incont propedeutici alla cessione dello stupefacente perché si effettuava una specie di “provino”, per saggiare la qualità della sostanza da collocare sul mercato ( pagg. 19 e ss) .
Si è poi adeguatamente precisato – in perfetta aderenza al dato intercettativo – come l’azienda fosse solo formalmente in regola, dal momento che le autorizzazioni per la coltivazione di cannabis light e la stipula di contratti di lavoro erano una copertura dei traffici illeciti gestiti dall’associazione, come peraltro riscontrato anche dai sequestri delle piantagi di marijuana e dello stupefacente.
2.2. Al cospetto di tale percorso argomentativo, la censura in cui si sostanzia il ricors possiede un’impronta di segno marcatamente rivalutativo.
Il ricorrente, per un verso, sollecita una (ri)lettura del compendio indiziario e, per a verso, parcellizza un quadro indiziario chiarissimo, focalizzando l’attenzione sul dato meramente formale e pertanto neutro dell’avvenuta stipula di un regolare contratto di lavoro alle dipendenze di un’azienda autorizzata alla coltivazione di cannabis light , ma omettendo, tuttavia, di confrontarsi con il contenuto del provvedimento impugnato – che nella dettagliata disamina del dato captativo (offre uno spaccato chiaro delle modalità operative del sodalizio e del ruolo che al suo interno consapevolmente rivestiva anche l’attuale ricorrente.
E’, pertanto, ineccepibile la valutazione in ordine alla gravità indiziaria ex art. 273 cod. proc. pen.
E’, invece, inammissibile per carenza di interesse la doglianza relativa alla ricorrenz della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis.l. cod. pen.: il titolo del reato e la sanzione prevista per il reato associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309 cit. avrebbero comunque consentito la
misura custodiale di massimo rigore e reso operativa la doppia presunzione di cui all’art. 275 cod. proc. pen.
Il terzo motivo relativo alle esigenze cautelari, con le precisazioni che verranno svolte è infondato e va rigettato
Il Tribunale del riesame ha ravvisato i pericula libertatis nel pericolo di reiterazione del reato e nel pericolo di inquinamento probatorio.
4.1. In relazione al pericolo di recidivanza, è il caso di precisare come la giurisprudenza d questa Corte abbia ripetutamente affermato che «in tema di misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condott reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto de modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socioambientale e che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma che non deve altresì contemplare la previsione di specifiche occasioni di recidivanza» ( così Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991; cfr anche Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767; Sez. 3, n. 3913 del 04/11/2024, Garofoli).
4.2. In tale prospettiva ermeneutica, cui il Collegio intende dare continuità, il riferime del Tribunale alla gravità dei fatti – essendosi al cospetto di un sodalizio criminoso radicato s territorio e in grado di contare su stabili canali di approvvigionamento della droga tanto d essere riuscito a gestire gli affari illeciti nonostante i massivi interventi delle Forze dell’o nonché al rapporto altamente fiduciario che il NOME aveva intessuto con personalità di spiccata caratura criminale, tra cui NOME COGNOME nei cui confronti aveva manifestato ampia disponibilità ad operare – appare tutt’altro che improprio e illogico.
Va poi anche sottolineato come il difensore non abbia allegato significativi e convincenti elementi di segno contrario tali da vincere la doppia presunzione relativa di legge ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., che assiste l’addebito associativo.
4.3. Diversamente è fondata la doglianza relativa al pericolo di inquinamento probatorio.
Assertiva e per tale motivo non condivisibile è la motivazione dei Giudici della cautela che hanno inferito un tale pericolo da “prassi” degli indagati di intervenire nei processi per alter le prove e/o per “schermare all’esterno la illiceità del proprio operato” , nonché, più nello specifico, da una vicenda di falsa testimonianza nella quale pare fosse stata coinvolta la coniuge del NOME, ristretta per tale ragione agli arresti domiciliari (cfr pag. 21 provvedimento impugnato)
4.4. Nondimeno, la fallacia del percorso motivazionale in relazione a tale specifico punto non riverbera alcun effetto sulla tenuta della misura per la concorrente sussistenza del pericolo di recidivanza. Tanto in ragione dell’affermato principio, secondo cui – in relazione alle misur
coercitive- «le esigenze cautelari relative al pericolo di
inquinamento delle prove, di fuga e di reiterazione del reato previste dall’art. 274 cod. proc. pen. non devono necessariamente
concorrere, bastando anche l’esistenza di una sola di esse per giustificare o confermare, in sede di riesame, l’adozione del provvedimento» (così Sez. 3, n. 15980 del 16/04/2020,
COGNOME, Rv. 278944).
5. Al rigetto del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna pagamento del ricorrente delle spese del procedimento.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1- ter,
disp. att. cod. proc.
pen.
Così deciso il 14/05/2025.