Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1484 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1484 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Siderno il 26/06/1982
avverso l’ordinanza del 11/07/2023 del Tribunale di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostitut Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Milano, decidendo in sede di appello cautelare ex art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 5 maggio 2023 con cui il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Milano aveva rigettato la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, in relazione all’ordinanza genetica emessa in data 6 dicembre 2021 nei confronti del ricorrente per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., quale partec della ‘ndrangheta operante a Milano e provincia per il quale il ricorrente ha riportato in data 19 dicembre 2022 condanna in primo grado alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione.
Deve tenersi conto che con ordinanza emessa in data 27 luglio 2022 il G.i.p. aveva disposto la sostituzione della custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari, ma a seguito dell’appello del Pubblico Ministero ex art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale, con ordinanza del 26 settembre 2022, aveva ripristinato la custodia in carcere in applicazione della doppia presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, cod.proc.pen. in relazione al reato di associazione mafiosa.
La decisione impugnata ha ribadito la sussistenza delle esigenze cautelari, per l’irrilevanza del tempo decorso dall’applicazione della misura, in assenza di elementi nuovi di valutazione, ritenendo irrilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod.proc.pen., avendo ravvisato in concreto l’inadeguatezza di ogni altra misura diversa dalla custodia in carcere indipendentemente dalla presunzione di legge.
In particolare, non sono stati ravvisati elementi concreti sopravvenuti rispetto al giudicato cautelare formatosi per effetto del rigetto dei ricorsi pe cassazione proposti sia contro l’ordinanza adotta in sede di riesame ex art. 309 cod.proc.pen., che contro l’ordinanza che ha ripristinato la custodia in carcere in sede di appello cautelare proposto dal Pubblico Ministero.
È stata rilevata la carenza di elementi concreti che consentano di ritenere che la partecipazione all’associazione sia cessata nel 2018 come affermato dal ricorrente i in assenza di prova del suo recesso o esclusione dall’associazione.
Irrilevanti sono stati valutati i riferimenti alla buona condotta tenuta nel corso dei sei mesi in cui è stata applicata la misura degli arresti domiciliari, trattandos di comportamento imposto dagli obblighi la cui violazione integra reato, come anche le diverse valutazioni più benevol” ,e, rispetto ad altri coimputati per l’autonomia dei giudizi cautelari.
Con atto a firma del difensore di fiducia, NOME COGNOME ha proposto ricorso, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, dis att. cod. proc. pen.
2.1. Vizio di motivazione e violazione di legge per la omessa valutazione di tutte le circostanze del caso concreto addotte dalla difesa, in particolare la intervenuta rescissione dei legami con l’associazione avvenuta nel 2019 ( dimostrata dal deterioramento dei rapporti con il capo-promotore NOME COGNOME per i contrasti insorti nel 2020, il decorso del tempo dalla commissione dei fatti, la lunga durata della custodia in carcere, la dimostrata adeguatezza della misura detentiva domiciliare che è stata applicata prima del ripristino della custodia in carcere.
Si censurano ampiamente, poi, gli stessi elementi indiziari della partecipazione all’associazione mafiosa, relativi alle intestazioni fittizie di socie
per eludere le misure interdittive antimafia ed all’affermata esistenza di un cartello tra imprese mafiose.
2.2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al c.d. tempo silente ed all’attualità delle esigenze cautelari. In particolare, si rappresenta che il considerevole lasso di tempo intercorso tra l’emissione della misura ed i fatti contestati avrebbe imposto un maggiore onere motivazionale anche per reati per i quali opera la doppia presunzione delle esigenze cautelari e dell’inadeguatezza di misure diverse dalla custodia in carcere. Si richiamano i precedenti di legittimità in materia e si evidenzia che / anche a voler seguire l’orientamento più rigoroso che impone che al decorso del tempo si aggiungano elementi di prova dello scioglimento del vincolo associativo, g~ nel caso di specie tale vincolo è cessato nel 2020 con la rottura dei rapporti con il capo dell’associazione.
2.3. Con il terzo motivo si chiede che venga sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod.proc.pen. in relazione agli artt. 3,13 e 27 Cost., con particolare riguardo alla presunzione di assoluta inadeguatezza di misure diverse da quella della custodia in carcere anche nei casi in cui le esigenze cautelari si siano attenuate, come nel caso in esame fi tenuto conto del tempo decorso dai fatti e dall’applicazione della misura.
Si deve dare atto che il ricorso è stato trattato, ai sensi dell’art. 23, commi 8 e 9, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, senza l’intervento delle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Innanzitutto, va osservato che la questione, qui riproposta, della necessità della custodia cautelare in carcere è stata già decisa, in sede di appello promosso dal Pubblico Ministero avverso la decisione del G.i.p. che aveva ritenuto di disporre la misura degli arresti domiciliari, con una ordinanza che non è stata impugnata in Cassazione, con conseguente giudicato cautelare sul punto, in difetto di elementi nuovi rispetto a quelli già valutati.
Si deve rammentare che le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame.
Del tutto inammissibili sono le censure sui gravi indizi, non solo per precluse dal giudicato cautelare e superate dalla intervenuta condanna in pri grado, ma in primo luogo perché la richiesta di sostituzione della misura cautel prescinde per definizione dalla gravità indiziaria, investendo unicamente il pro dell’adeguatezza della misura rispetto al grado ed alla specificità delle esi cautelari.
Peraltro, sulla base di quanto già ampiamente motivato nei precedenti provvedimenti richiamati dall’ordinanza impugnata, non solo non risulta che ci s stata una rescissione del legame associativo, atteso che anche i riferimen contrasti insorti con il capo cosca sono stati già considerati come non signific ma si deve ribadire l’inammissibilità della doglianza per l’efficacia preclusiv c.d. giudicato cautelare, non trattandosi neppure di elementi di fatto sopravve rispetto alla decisione adottata in sede di appello cautelare.
Si tratta, in definitiva, di un ricorso che affastella in modo gener caotico censure addirittura sui gravi indizi, oltre che sulle esigenze cautelari neppure specificare quali sarebbero gli elementi sopravvenuti rispetto a quelli valutati in sede di precedenti decisioni cautelari sempre sullo stesso tema.
Il Tribunale ha, comunque, rivalutato per l’ennesima volta tutte circostanze indicate dal ricorrente, reputandole non sufficienti ad rimeditazione della scelta della misura custodiale in carcere, tenuto conto durata nel tempo della partecipazione all’associazione e della stabilit collegamenti radicati nel tempo, che rendono inadeguata la misura degli arre domiciliari, anche e non solo per effetto della presunzione di inadeguatezza di all’art. 275, comma 3 cod. proc. pen. r non superata dalle allegazioni difensive.
In ragione della sentenza di condanna alla pena di anni sei e mesi otto reclusione, il tempo decorso dall’applicazione della misura (eseguita in dat novembre 2021, dopo il fermo convalidato dal G.i.p. del Tribunale di Como trasmesso per competenza al G.i.p. del Tribunale di Milano), in modo logico coerente, non è stato ritenuto di particolare rilievo in rapporto oltre che all della pena irrogata, .W.~ 4 ,71, igil alla gravità dei fatti ed alla pericolosità d ricorrente.
Quindi, si tratta di valutazioni sorrette da una motivazione esaustiva, p prescindere dalla questione dell’irrilevanza del c.d. tempo silente che pre l’applicazione della misura in sede di valutazione delle esigenze cautelari dopo il predetto intervallo temporale è già stato apprezzato come insignificante ris a quanto deciso con il provvedimento coperto dal giudicato cautelare (vedi, Sez. n. 12807 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 278999).
5. La questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata oltre che irrilevante.
Il ricorrente è stato condannato in primo grado alla pena di anni sei e mesi otto di reclusione per il reato di cui all’art. 416-bis cod.pen., di guisa che, all fattispecie contestata, trova applicazione la regola normativa di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., come novellato dalla legge 16 aprile 2015, n.47, ai sensi del quale, come è noto, sussiste una presunzione relativa di pericolosità sociale ed una assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, con la conseguenza che, in assenza della prova del superamento della presunzione relativa anzidetta, è da ritenere illegittimo il provvedimento di sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, come deciso già in sede di appello cautelare.
L’inadeguatezza di una misura cautelare diversa dalla custodia in carcere è stata motivata, però, anche sulla base della valutazione in concreto del grado e della specie delle esigenze cautelari, sicchè il sindacato di legittimità costituzionale della presunzione assoluta collegata al reato per cui si procede non avrebbe conseguenze sulla decisione assunta nei confronti dell’imputato, e ciò rende quindi carente il presupposto della rilevanza nel caso de quo della questione sollevata.
In ogni caso, deve rammentarsi che la Corte Cost. /con la sentenza n. 136 dell’8 marzo 2017 / ha già affrontato la questione reputandola manifestamente infondata.
È stato, al riguardo, affermato che «l’elemento in grado di legittimare costituzionalmente la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere per gli indiziati del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. è la ragionevol convinzione, basata su una congrua “base statistica”, che l’appartenenza a un’associazione di tipo mafioso implica, nella generalità dei casi e secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa, un’esigenza cautelare che può essere soddisfatta solo con la custodia in carcere, non essendo le misure “minori” sufficienti a troncare i rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale appartenenza in modo da neutralizzarne la pericolosità » (vedi i precedenti ivi citati: sentenza n. 265 del 2010; sentenze n. 48 del 2015, n. 57 del 2013 e n. 231 del 2011, che hanno tenuto ferma la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia carceraria per il delitto ex art. 416-bis cod. pen., trasformandola in relativa per fattispecie criminose contigue, ma non caratterizzate da un’uguale esigenza cautelare, ossia il concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso, i delitti aggravati dall’uso del metodo mafioso o dalla finalità di agevolazione mafiosa, il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostan stupefacenti).
All’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 7 dicembre 2023
Il Co re estensore
Il Presidente