Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16000 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16000 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BRINDISI il 16/08/1992
avverso l’ordinanza del 11/10/2024 del TRIBUNALE di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso e dell’avv.to NOME COGNOME difensore di COGNOME, che ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata il 16/9/2024, il GIP del Tribunale di Lecce ha disposto nei confronti di COGNOME NOME l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per i delitti di cui agli artt. 416 bis, commi 1 e 6 cod pen. (capo a) e 81, commi 1, 110, 416 bis.1, 629 comma 2 in relazione all’art. 628 comma 3 n. 3, 513 bis cod. pen. (capo a10).
Con ordinanza depositata il 19/10/2024 il Tribunale del riesame di Lecce ha rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse dell’indagato.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione l’indagato, a mezzo del difensore di fiducia, che con il primo motivo ha denunciato l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 110, 416 bis comma 2, 629 comma 2 in relazione all’art. 628 comma 3 n. 3 e 513 bis cod. pen. nonché dell’art. 273 cod. proc. pen.
Il primo luogo si rappresenta che, al fine di dimostrare la partecipazione di COGNOME all’associazione di stampo mafioso, il Tribunale aveva ritenuto che l’indagato “curasse gli interessi del clan anche nel settore dei giochi e delle scommesse” benché il capo a12 della preliminare rubrica, che riguardava tale ramo di attività, non contemplasse COGNOME fra gli indagati e che l’interesse per il settore del gaming illegale fosse rimasto un mero progetto.
In relazione al ruolo svolto dall’indagato nell’ambito dell’organizzazione imprenditoriale della RAGIONE_SOCIALE poi, si contesta, in primo luogo, il significa dimostrativo attribuito dal Tribunale del riesame alla “telefonata n. 2411 del 18/11/2020, RI 1334/2020”, intercorsa tra COGNOME NOME, responsabile della società concorrente RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, titolare della RAGIONE_SOCIALE di Fasano, dalla quale era stato desunto: l’accordo collusivo stretto tra Barone ed esponenti della criminalità organizzata brindisina per espandere la propria attività nell’ambito di tale provincia; il ruolo di effettivo amministrat della società RAGIONE_SOCIALE ricoperto da COGNOME, risultando Barone solo una testa di legno in mano alla criminalità organizzata; l’appartenenza di COGNOME al sodalizio mafioso capeggiato da COGNOME. Ad avviso della difesa, infatti, nell’interpretazione della telefonata non si era tenuto conto: che i dialoganti erano diretti concorrenti della RAGIONE_SOCIALE mossi dal risentimento per l’espansione commerciale di quest’ultima nella zona in cui operavano; del tono canzonatorio utilizzato nel descrivere l’operato di COGNOME, incompatibile “con la carica intimidatoria” che all’indagato era stata attribuita.
Si contesta, poi, il rilievo dato dal Tribunale alla decisione di una molteplicità d ristoratori ed esercenti di attività commerciali di risolvere il contratto in essere p la raccolta dell’olio esausto per conferire il rifiuto della RAGIONE_SOCIALE, talvolta se che fosse intervenuto un accordo scritto.
In primo luogo, si fornisce un’interpretazione alternativa della conversazione intercorsa fra COGNOME e COGNOME nel corso della quale il primo aveva sottolineato l’importanza che i nuovi clienti restassero “soddisfatti”, assumendo che tale preoccupazione smentisse la ricostruzione accusatoria.
Vengono, inoltre, richiamate le dichiarazioni rese da COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME tutti imprenditori che avevano conferito l’incarico di raccogliere gli oli esausti prodotti dalle loro aziende a RAGIONE_SOCIALE, per rimarcare che avevano escluso di aver subito minacce.
In relazione, poi, all’incontro del 4/9/2023 avvenuto all’interno del ristorante INDIRIZZO, si osserva che poteva al più rivelare che COGNOME e COGNOME fossero
partecipi agli utili prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE ma non anche che tali pr fossero transitati nella cassa comune della consorteria, così risultando irril ai fini della dimostrazione dell’inserimento di COGNOME, che ricopriva il ruo procacciatore di clienti per la RAGIONE_SOCIALE, nell’associazione di stampo mafio ruolo di procacciatore, inoltre, spiega, ad avviso della difesa, l’intercettaz 3787 del 22/9/2020 R.I. 708/2020 dalla quale il Tribunale aveva erroneamente desunto che il ricorrente fosse l’effettivo gestore della RAGIONE_SOCIALE
Si contesta ancora il concorso fra i reati di cui agli artt. 629 e 513 bis cod sostenendo che non essendo stata esercitata alcuna intimidazione sug imprenditori per indurli a conferire gli oli esausti alla RAGIONE_SOCIALE configurabile il reato di estorsione aggravata ma, al più, quello di cui all’a bis cod. pen.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge sostanziale e il def di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari. Si deduce il Tribunale aveva utilizzato “quale dato sintomatico dell’impossibilità di sup il disposto dell’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. un carico pendente per l’ar comma 1 d.P.R. 309/90, nonostante in questo procedimento non vi sia alcun indizio in ordine al coinvolgimento dell’indagato in traffici di stupefacenti, considerare che COGNOME è incensurato e che sussiste un apprezzabile las temporale fra le condotte contestate e l’applicazione della custodia in carcer
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolattin motivi a tratti non cons in sede di legittimità e per il resto manifestamente infondati.
L’ordito motivazionale che sorregge il provvedimento impugnato si muove seguendo linee ricostruttive logiche che illustrano la posizione di COGNOME all’interno dell’organizzazione aziendale nella RAGIONE_SOCIALE, il coinvolgimento gestione della predetta RAGIONE_SOCIALE non soltanto di Soleti ma anche di altri element consorteria da questi comandata e la capacità intimidatoria che la cointeresse negli affari della società del clan prèiettava all’esterno attribuendo a COGNOME una capacità di persuasione nei confronti dei potenziali clienti che prescindev logiche commerciali trovando fondamento nella paura di ritorsioni in caso di rifiu
Vengono, quindi, riportate numerose intercettazioni telefoniche ch disvelano l’importanza che il coinvolgimento del clan COGNOME ebbe nell’espansi della RAGIONE_SOCIALE nel territorio della Provincia di Brindisi. L’intercettaz colloquio telefonico fra COGNOME e COGNOME, ad esempio, rivela che i loquenti, titolari di ditte concorrenti della RAGIONE_SOCIALE, avevano ben presen
nella struttura aziendale della predetta società vi erano inserito; soggetti pericolosi, “tutti pregiudicati”, e che il progetto di sviluppo faceva perno sul timore che il clan COGNOME suscitava fra gli imprenditori locali (inter. n. 2411 del 18/11/2020, RI 1334/20).
La capacità intimidatoria del clan nel cui interesse operava COGNOME, d’altronde, è ben rappresentata dalla conversazione del 18/9/2020 n. 3454, RI 708/2020, nel corso della quale il medesimo, facendo riferimento a COGNOME NOME NOME, un pregiudicato assoldato dalla RAGIONE_SOCIALE che, per cercare di contrastare l’espansione della RAGIONE_SOCIALE, il 17/9/2020 aveva fermato NOME intimandogli di non “andare dai loro clienti”, rassicura quest’ultimo dicendogli che COGNOME gli avrebbe chiesto scusa per le minacce che gli aveva formulato.
L’ordinanza ricostruisce anche, attraverso le intercettazioni e le sommarie informazioni rese dai soggetti coinvolti, le modalità attraverso cui la RAGIONE_SOCIALE era riuscita ad assicurarsi gli oli esausti prodotti dalla “RAGIONE_SOCIALE“, dalle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e dalle ditte di Argentieri, COGNOME e COGNOME illustrando gli elementi che rendevano palese che si era in presenza di rapporti che gli imprenditori avevano allacciato non per ragioni di convenienza ed economicità ma solo per il timore di ritorsioni da parte della consorteria delinquenziale che tutti sapevano coinvolta nella gestione della RAGIONE_SOCIALE
L’ordinanza spiega anche compitamente, senza incorrere in alcun vizio logico, le ragioni per le quali lo sfruttamento della capacità di intimidazione discendente dall’associazione di stampo mafioso per il reperimento di nuovi clienti integri non soltanto il reato di cui all’art. 513 bis ma anche quello di estorsione aggravata.
Tale ordito motivazionale è sostanzialmente ignorato dal ricorso che prende in esame solo alcune delle circostanze valorizzate dal Tribunale del riesame proponendone letture alternative, molte volte in palese contrasto con il contenuto delle intercettazioni, al fine di sviluppare, tramite esse, un ragionamento probatorio alternativo che non si confronta con la motivazione contestata.
Le censure difensive, chiaramente, travalicano l’ambito del sindacato riservato a questa Corte sul provvedimento impugnato, risultando finalizzate ad ottenere una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice del merito, senza individuare profili di manifesta illogicità della motivazione in relazione al significato dimostrativo in essa assegnato agli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento
delle risultanze probatorie ( Sez. U., n. 11 del 22/3/2000, Audino, R.v. 215828; Sez. 5, n. 17185 del 21/3/2024, Palermo).
Non è superfluo ricordare che, allorquando sia denunciato con il ricorso per Cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbi dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 19751 del 17/4/2024, Monticelli, 286527; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME e altri, Rv. 237475).
Sono, quindi, inammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, propongono una differente lettura delle vicende indagate o dello spessore degli indizi allo scopo di ottenere una riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate ( Sez. 4, n. 19751/24; Sez. 1, n. 7445 del 20/11/2020, Lolli).
In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposizione del ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti, cioè, prima facie dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 4, n. 19751/4).
Con la doverosa precisazione che, quanto alla nozione di «gravi indizi di colpevolezza», la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, COGNOME, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, COGNOME, Rv. 257576). Al fine dell’adozione della misura, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitati. I det indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l’art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l’art. 192 cod. proc. pen., commi
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3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi).
Manifestamente infondato risulta il motivo volto a contestare la sussistenza della concretezza e attualità delle esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere.
Il Tribunale ha giustificato la misura carceraria richiamando la doppia presunzione relativa di cui all’art 275 cod. proc. pen. rilevando che non era stato “acquisito alcun elemento istruttori° in grado di far ragionevolmente ritenere che COGNOME avesse rescisso il suo legame con l’organizzazione criminosa” e che, anzi, le dichiarazioni mendaci rese nel corso dell’interrogatorio di garanzia militavano in senso contrario, e valutando non significativi tanto il tempo trascorso fra i fatti emersi dalle indagini e la data del provvedimento custodiale, sia per la prossimità temporale di quei fatti che per la stabilità e solidità dell’affectio tr componenti del clan, che “aveva pervicacemente consolidato con il passare degli anni la propria egemonia” nel contesto territoriale nel quale operava, quanto lo stato d’incensuratezza di COGNOME, la cui valenza significativa era peraltro intaccata da un carico pendente per droga. L’ordinanza, ancora, si sofferma sulla negativa personalità dell’indagato, connotata da una allarmante volontà di locupletazione attraverso il delitto che l’aveva indotto ad aderire a un patto associativo con gli elementi di spicco della consorteria di stampo mafioso che controllava il territorio, divenendo l’uomo di fiducia del capo in settori strategic per l’associazione, quale la raccolta degli oli esausti e nel settore dei giochi e delle scommesse on line, incurante del rischio di delazioni o delle ritorsioni che eventuali errori avrebbero potuto scatenare.
Si è quindi in presenza di un’argomentazione articolata che sviluppa una valutazione prognostica, fondata sulle modalità realizzative della condotta, connotata dal coinvolgimento dell’indagato in contesti criminosi di notevole livello, sulla personalità del medesimo, permanentemente dedito alla tutela degli interessi del sodalizio, e sul contesto socio ambientale, da cui l’indagato non aveva preso le distanze, volta a dimostrare l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere, che affianca e corrobora le presunzioni di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen.
Va ricordato che sulla valenza delle presunzioni di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. esistono orientamenti giurisprudenziali non omogenei. Secondo un primo orientamento, affermato più volte in relazione alle c.d. mafie storiche, “la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con la prova del recesso dell’indagato
dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibi allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale volti a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari. (Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, COGNOME, Rv. 286267; in senso conforme, Sez, 5, n. 36389 del 15/07/2019, COGNOME, Rv. 276905;s, Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021, Giardino, Rv. 282131; Sez. 5, n. 36389 del 15/07/2019, Rv. 276905; Sez. 5, n. 52303 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 268726 01)” (Sez. 6, n. 4920 del 15/10/2024, COGNOME).
Altro orientamento ritiene che il tempo trascorso dai fatti contestati, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, anche nel caso in cui non risulti una dissociazione espressa, potendo lo stesso assurgere a fattore sintomatico della inattualità del vincolo associativo o della sua definitiva dissoluzione e, quindi, dell’insussistenza delle esigenze cautelari (Sez. 6, n. 11735 del 25/1/2024, COGNOME, Rv. 286202; Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, COGNOME, Rv. 281273 – 02; Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, COGNOME, Rv. 285272 – 01).
Nell’ambito di questo secondo orientamento, tuttavia, è stato in maniera condividibile precisato che l’incidenza sulla valutazione giudiziale della dimensione temporale non è fissa e sempre omogena ma è strettamente collegata con la storia e la personalità dell’indagato (Sez. 6, n. 4920 del 15/10/2024 (dep. 2025),COGNOME) e con le caratteristiche del sodalizio mafioso in cui risultava inserito con la conseguenza che “l’astratta e generica deduzione del tempo trascorso non costituisce un’argomentata censura avverso la riconosciuta valenza della presunzione…in assenza di qualsivoglia riferimento al tipo di sodalizio e alla qualità e alla durata della partecipazione… al fine di superare la presunzione si impone il confronto con quelle caratteristiche e quella partecipazione, onde poter prospettare la valenza di una protratta mancanza di ulteriori manifestazioni , quale dato sintomatico di un sostanziale allontanamento (unico dato di per sé decisivo: sul punto si rinvia a Sez. 6, n. 15753 del 28/3/2018, COGNOME, Rv. 272887)” (Sez. 6, n. 37352 del 18/7/2024, Pravatà).
11. In assenza della prova della rescissione dal sodalizio e, anzi, di condotte tenute nel procedimento che manifestano una persistente adesione ai valori del contesto criminale pregresso, e di una motivazione che sorregge la presunzione richiamata mediante la valorizzazione di elementi di fatto dimostrativi dell’attualità
e concretezza delle esigenze cautelari ritenute di pregnanza significativa preponderante rispetto al tempo trascorso dai fatti e allo stato d’incensuratezza,
l’enfatizzazione del tempo silente, privo di agganci a elementi ulteriori atti a dimostrare l’allontanamento dall’ambiente del crimine organizzato, e dello stato
d’incensuratezza, in relazione al quale vengono obliterate le ragioni che ne avevano determinato il carattere recessivo rispetto agli esiti dell’analisi
personologica e socio-ambientale, non può che ritenersi totalmente aspecifico e, comunque, inidoneo a vulnerare la motivazione contestata in punto di esigenze
cautela ri.
12. All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati
i profili di inammissibilità, appare equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 7/2/2025