Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1848 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1848 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il 22/06/1977
avverso l’ordinanza del 09/07/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso uditi i difensori, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso, depositando motivi nuoArinsistendo nel ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Catanzaro confermava l’ordinanza del GIP del Tribunale di Catanzaro del 4 giugno 2024, che ha applicato nei confronti di COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, Locale dell’Ariola, ‘COGNOME, operante nel territorio di Acquaro, Arena, Dasà e nelle zone limitrofe, di turbativa d’asta aggravata dal
metodo mafioso e di rapina pluriaggravata in concorso, rispettivamente ascritti ai capi 1), H), L) ed L2).
Contro l’anzidetta ordinanza, l’indagato propone ricorso a mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME affidato a cinque motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. pro pen.
2.1 n primo motivo di ricorso lamenta difetto, manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt.273 e 238 bis cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen., deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato contestato al capo 1) afferente la partecipazione alla associazione a delinquere di stampo mafioso denominata ‘Ndrangheta e della prova della ultrattività della condotta associativa, deducendo che il Tribunale avrebbe ritenuto la gravità indiziarla sulla base dei seguenti elementi:
il ruolo assunto dal ricorrente nella affiliazione di COGNOME NOME c1.83, nel carcere di Torino, desunto dalle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME che lo individua quale autore (un parente di un collaboratore, NOME COGNOME“) della missiva contenente la richiesta di affiliazione, inviata dal carcere di Parma, ma al riguardo non vi sarebbe certezza dell’identificazione dell’autore della presunta missiva, della detenzione, in quel periodo, di altro parente del collaboratore COGNOME, del periodo in cui COGNOME e NOME COGNOME sono stati detenuti presso il carcere di Torino, della collocazione nel tempo dell’episodio e della inverosimiglianza dell’invio di una richiesta di affiliazione mediante missiva inoltrata da un carcere all’altro da un soggetto sconosciuto, mancando la necessaria valutazione dell’attendibilità intrinseca della dichiarazione, mentre sarebbero irrilevanti le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME sugli eventi caratterizzanti la falda della fine anni 80 – inizi anni 90 e sul corrispondenza epistolare con il ricorrente che riferiva particolari sulla “strage dell’Ariola” in quanto considerata la data della intrapresa collaborazione (anno 2009) quanto riferito si riferisce ad un precedente già valutato nel procedimento c.d. luce nei boschi”;
quanto alle risultanze più recenti, il generico riferimento al ruolo formale di affiliato come delineato dai collaboratori di giustizia, che unitamente a NOME COGNOME c1.83 rappresenterebbero la “proiezione torinese” della ndrina di Acquaro e, dopo l’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare in carcere nell’ambito del procedimento c.d. “Luce nei boschi”, una proiezione della criminalità organizzata di Acquaro, trasferita in provincia di Torino, ove stabilmente insediati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e
t
NOME COGNOME c1.83, ed ai rapporti di frequentazione con i sodali e le cointeressenze di carattere lavorativo attraverso una serie di società create ad hoc, imprese di costruzioni di alto profilo societario, in un’ottica di mutualità reciproca collaborazione;
le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME fratello del ricorrente, ritenute irrilevanti in relazione alle ragioni del trasferimento dei fratelli e d loro famiglie a Torino (per stare tranquilli);
la conoscenza da parte del ricorrente delle regole formali della ‘ndrangheta per essere il ricorrente già stato condannato per il reato di cui all’art.416 bis cod. pen.;
il ruolo svolto dal ricorrente nella mutua assistenza agli associati per conto del vertice del clan, NOME COGNOME c1.79, che lo incaricava di recarsi a Roma, insieme a NOME COGNOME c1.83, per corrispondere l’onorario al legale per i suoi cugini;
la intercettazione intercorsa tra il ricorrente e NOME COGNOME avente ad oggetto l’acquisto e rivendita di stupefacente, proposito non realizzato;
la condotta tenuta in relazione al capo H), finalizzata ad impedire in maniera minacciosa la partecipazione di eventuali acquirenti all’asta giudiziaria per la vendita dell’abitazione del cugino NOME COGNOME soggetto estraneo alla contestazione del reato associativo, deducendo trattarsi di una vicenda privata e avulsa da ogni contesto o programmazione riferibile alle attività illecite del gruppo di riferimento;
la rapina contestata al capo L) finalizzata a rimpinguare le casse del sodalizio mafioso che sarebbe fondata sulla circostanza errata e frutto di travisamento della comune appartenenza degli indagati alla associazione mafiosa di cui al capo A), mentre 4 su 7 soggetti destinatari della contestazione sono estranei alla contestazione di cui al capo A).
Deduce il ricorrente che i denunciati vizi motivazionali non sarebbero superabili neppure con il generico rinvio per relationem alle argomentazioni contenute nella richiesta di misura cautelare in quanto il Tribunale non si confronterebbe con le censure sviluppate nei motivi di riesame e nella memoria, e che mancherebbe la indicazione di condotta specifica o conversazioni concrete e collocabili in un contesto di coinvolgimento del ricorrente nella gestione o adesione o partecipazione ad una specifica attività o interesse riconducibile alla vita e all’evoluzione del sodalizio mafioso.
2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta difetto, manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt.273 cod. proc. pen. e 353 cod. pen., deducendo assenza di
congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato contestato al capo H) dell’imputazione e dell’aggravante del metodo mafioso, deducendo che il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle censure della sussistenza della contestazione e dell’aggravante ad effetto speciale di cui all’art.416 bis 1, cod. pen., confermando la gravità indiziaria mediante la frammentazione delle fonti ed il travisamento di altre, della irrilevanza della conversazione intercettata (pag.8) in quanto non considera che la stessa era avvenuta tra COGNOME e il ricorrente e non anche verso terzi interessati alla gara, che avrebbe travisato il contenuto della successiva conversazione (pag.9) in cui non sarebbero state profferite minacce, implicite ed esplicite, volte a turbare l’asta, con conseguente inconsistenza delle parole attribuite al COGNOME perché rese verso un soggetto disinteressato all’asta, per manifesta ammissione, che l’affermazione che l’interlocutore sarebbe stato intimorito sarebbe una congettura del Tribunale.
2.3 n terzo motivo di ricorso lamenta difetto, manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt.273 cod. proc. pen. e 629 cod. pen. e 2, 4 e 7 L.895/1967, deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati contestati ai capi L) e L2) dell’imputazione, ed in particolare sulla prova della partecipazione del ricorrente alle attività preparatorie e della successiva presenza nei luoghi della rapina del 24.11.2018, che la ricostruzione dei fatti sarebbe frutto di motivazione apodittica, mancando la prova che il COGNOME fosse salito su una delle due auto (quella intestata alla moglie o quella rubata), deducendo la prova della contraddittoria ricostruzione operata dalla P.G. che attribuisce la disponibilità al ricorrente della vettura intestata alla moglie precisando che l’indagato non aveva mai conseguito la patente di guida, e che il Tribunale non avrebbe utilizzato tutte le fonti messe a disposizione dell’Accusa, e la irrilevanza delle intercettazioni in assenza di una vera frase confessoria del ricorrente.
2.4 II quarto motivo di ricorso lamenta difetto, manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt.273 cod. proc. pen. e 416 bis 1 cod. pen., deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza delle aggravanti del metodo mafioso per il capo H) e dell’agevolazione per i reati di cui ai capi L) ed L2) dell’imputazione.
2.5 Il quinto motivo di ricorso lamenta difetto, manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’att.275 cod. proc. pen, deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza di esigenze cautelari sulla valutazione del c.d. tempo silente, la contraddittorietà delle acquisizioni istruttorie sulla gravità indiziaria nonché contestando la sussistenza del pericolo di recidivanza per come ritenuto sussistente prima dal GIP, poi, dal Tribunale del Riesame, tenuto conto dell’arco temporale intercorso (sei anni) rispetto ai fatti oggetto delle contestazioni.
I difensori del ricorrente hanno depositato motivi aggiunti e documentazione cui si riportano.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e va rigettato.
I primi tre motivi di ricorso lamentano la assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati ai capi 1), H) e per l’aggravante del metodo mafioso, L) ed L2), sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
2.1 Va in primo luogo, premesso che in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o assenza delle esigenze cautelari consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ossia della adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritt che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il ricorso è invece inammissibile quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti o che tendano a proporne una ricostruzione alternativa, ovvero che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze ed esigenze già esaminate dal giudice di merito o di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del Tribunale del riesame, essendo il giudizio, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Il giudizio è, dunque, circoscritto alla sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito” (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019 COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 2, Sentenza n. 9212 del 02/02/2017 Rv. 269438 – 01; Sez. un., n.110 del 22.03.2000, COGNOME, Rv.215828-01). Sarà, dunque, in questi termini che opererà la valutazione di questa Corte.
In particolare, va rimarcata l’inidoneità degli argomenti esposti per contrastare la valenza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e della precedente sentenza di condanna pronunciata a carico del ricorrente per la partecipazione in posizione di rilievo al clan dell’Ariola. Il Tribunale ha inver correttamente attribuito a tali elementi la capacità di delineare il quadro alla stregua del quale interpretare le risultanze più specificamente poste a fondamento della gravità indiziaria con riguardo al periodo oggetto di verifica. Deve del resto ribadirsi che «in tema di associazione mafiosa, la valutazione della prova della continuità dell’adesione al sodalizio di un soggetto già condannato per lo stesso reato può essere tratta da elementi di fatto che, autonomamente considerati, potrebbero anche non essere sufficienti a fondare un’accusa originaria di partecipazione» (Cass. Sez. 2, n. 43094 del 26/6/2013, COGNOME, rv. 257427; Sez. 6, Sentenza n. 3508 del 24/10/2019, dep. 2020, Rv. 278221-01): ben si comprende dunque che sia stata valorizzata l’attribuzione al ricorrente, in base al precedente giudicato, di un determinato ruolo, idoneo a consentire una più lineare interpretazione dell’ulteriore compendio indiziario. Ed in tale prospettiva, dunque, risultano valutati tutti gli elementi che hanno consentito di associare al ricorrente il perdurante svolgimento di un ruolo analogo nell’ambito della stessa articolazione criminale.
Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame di Catanzaro, con argomentazioni puntuali e prive di vizi di manifesta illogicità e/o contraddittorietà, in relazione ai reati contestati richiama integralmente la richiesta e l’ordinanza applicativa della misura cautelare quanto alla ricostruzione storica dei fatti e alle emergenze investigative, ritenendo comprovato il giudizio sui gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, costituiti dagli esiti de attività intercettiva e dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia.
Quanto alla contestazione di cui al capo A), il Tribunale richiama l’ordinanza genetica in punto di disamina degli elementi di prova in ordine alla esistenza della consorteria e della sua piena operatività nell’attualità anche grazie al contributo fornito da NOME COGNOME, già condannato in via definitiva con sentenza n.351/2015 per la partecipazione al medesimo reato associativo di stampo mafioso, accertato dall’anno 1994, Locale dell’Ariola, consorteria finalizzata alla commissione di svariati reati tra cui omicidi, estorsioni, usura, traffico di armi e di sostanze stupefacenti, sentenza che sancisce l’esistenza, operatività e pericolosità della confederazione di ‘ndrine operanti in quella specifica porzione di territorio, riconducibile all’accordo criminale stipulato nel corso degli anni ’80 tra le famiglie COGNOME e COGNOME, e più di recente, la famiglia dei COGNOME veniva individuata come detentrice del potere mafioso sui territori di Acquaro, Arena, Dasà e zone limitrofe, organizzata sulla base delle regole formali e dei livelli gerarchici funzionali propri del c.d. “CRIMINE dei Polsi”, determinava il rafforzamento dell’originario assetto della struttura criminale di Acquaro e delle relative attività criminali a seguito della scarcerazione di NOME COGNOME, avvenuta nel 2018, anche grazie allo sfruttamento di importanti relazioni intessute durante il periodo detentivo con soggetti originari di Acquaro, trasferitisi in Svizzera che concorrono nella gestione di attività riferibili ai fratelli COGNOME, nonché mediante soggetti, come il COGNOME, da tempo in provincia di Torino.
L’ordinanza impugnata, premettendo, che dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere relativa al precedente procedimento, c.d. Luce nei boschi, definito con la sentenza di condanna definitiva di cui sopra, una proiezione della criminalità organizzata di Acquaro, tra cui il ricorrente, NOME COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME c1.83, si trasferiva a Brandizzo, in provincia di Torino, costituendo imprese di costruzioni di alto profilo societario, mantenendo contatti con il sodalizio di appartenenza (‘ndrina di Acquaro) per la gestione dei suoi affari, garantendo un importante afflusso di denaro da utilizzarsi per le spese del sodalizio, individua gli indizi di colpevolezza a carico del ricorrente, richiamando integralmente per relationem l’ordinanza genetica di custodia cautelare:
– nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, NOME COGNOME che riferisce del ruolo del ricorrente (“un parente di un collaboratore, NOME COGNOME“) nell’invio, dal carcere di Parma, di una missiva contenente la richiesta di affiliazione, in carcere, di NOME COGNOME c1.83, da lui battezzato dandogli la dote del camorrista, durante una comune detenzione nel carcere di Torino, riscontrate dal dato formale della detenzione del ricorrente presso il carcere di Parma dal 16.02.2007 al 13.12.2014, ritenendo sul punto manifestamente generiche le doglianze difensive sulla assenza di riscontri che devono concernere
il thema probandum e ritenendo tale indizio idoneo a corroborare l’assunto secondo cui il periodo di detenzione non ha di per sé reciso il vincolo associativo del Taverniti;
nel ruolo formale di affiliato, come delineato dai collaboratori di giustizia, che, unitamente a NOME COGNOME c1.83, rappresenterebbero la proiezione torinese della ‘ndrina di Acquaro, e, dopo l’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare in carcere nell’ambito del procedimento c.d. “Luce nei boschi”, una proiezione della criminalità organizzata di Acquaro, trasferita in provincia di Torino, ove stabilmente insediati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME c1.83, operando unitamente ai cugini NOME, NOME e NOME COGNOME nel settore immobiliare mediante una serie di società create ad hoc, imprese di costruzioni di alto profilo societario con funzione anche di schermare contatti d’affari con soggetti condannati per il reato di cui all’art.416 bis cod. pen., intessendo rapporti di frequentazione con i sodali e le cointeressenze di carattere lavorativo in un’ottica di mutualità e reciproca collaborazione e nella conoscenza delle dinamiche associative e degli obiettivi, anche di carattere economico, che interessano l’associazione ed i sodali con riferimento alla condotta di cui al capo H);
nel ruolo proattivo svolto per conto dei vertici del clan, essendo investito del compito di interloquire con l’avvocato per provvedere al pagamento delle spese legali per gli associati e per attivarsi per il sostentamento delle famiglie dei detenuti (moglie del detenuto COGNOME NOME) e la mutua assistenza tra i sodali, desumibile da intercettazioni di conversazioni del giugno 2018, intercorse tra COGNOME NOME e il proprio difensore e tra COGNOME NOME c1.79 e COGNOME NOME, che insieme a COGNOME NOME c1.83 riceveva precise disposizioni dal capo del clan sull’importo in contanti (euro 35.000,00) da versare all’avvocato per il pagamento delle spese legali per tutti gli associati, elemento, non oggetto di smentita o contestazione da parte del ricorrente, di elevata gravità indiziaria del ruolo di uomo di fiducia del vertice del clan e della ultrattività del partecipazione al sodalizio di stampo mafioso;
nella intercettazione dell’8.03.2018, intercorsa tra il ricorrente e NOME COGNOME emissario diretto di NOME COGNOME, avente ad oggetto l’acquisto e rivendita di stupefacente del tipo cocaina da piazzare presso dei bar nel territorio torinese, ritenendo il Tribunale irrilevante la circostanza, dedotta ma non comprovata dal ricorrente, che la programmata attività illecita non sia andata a buon fine, in quanto l’interessamento all’approvvigionamento del narcotico si inserisce tra i reati-fine, indice della attualità della partecipazione al sodaliz mafioso;
nel colloquio in carcere intrattenuto dal ricorrente con il cognato, che sconta la pena dell’ergastolo, dove si recava a bordo dell’autovettura di NOME COGNOME c1.83, per poi raggiungere NOME COGNOME c1.79, circostanza, non smentita né contestata dal ricorrente, ulteriore indice della attualità della partecipazione al sodalizio mafioso.
nelle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME fratello del ricorrente, ritenute irrilevanti in relazione alle indicate ragioni del trasferimento dei fratell delle loro famiglie a Torino “per stare tranquilli”, riportate solo parzialmente, trascurando il dato rilevante del mantenimento dei rapporti di “rispetto” con i COGNOME “vicino nel senso che li rispettava, NOME“, espressione dal significato preciso e inequivocabile all’interno delle dinamiche dei sodalizi mafiosi;
nella condotta tenuta in relazione ai reati-fine di turbativa d’asta, di cui al capo H), finalizzata ad impedire in maniera minacciosa la partecipazione di eventuali acquirenti all’asta giudiziaria della vendita dell’abitazione del cugino, NOME COGNOME e di cui ai capi L) ed L2) di rapina aggravata in concorso e porto in luogo pubblico di armi, che attualizzano la partecipazione al sodalizio mafioso oggetto della contestazione.
Il Tribunale ha correttamente ritenuto che i reati fine ascritti al COGNOME l’interessamento all’approvvigionamento del narcotico, i contatti e le cointeressenze con i sodali, oltre al ruolo formale di affiliato come delineato dai collaboratori di giustizia costituissero elementi che conducono a ritenere attuale la partecipazione del ricorrente al sodalizio senza sostanziale soluzione di continuità rispetto alla condotta partecipativa accertata nella sentenza irrevocabile.
Quanto alla contestazione di cui al capo H), il Tribunale con motivazione immune da vizi di illogicità o di carenza di motivazione, individua la gravità indiziaria nelle intercettazioni e nei servizi di o.p.c. all’uopo predispost innestandosi le condotte criminose sulla vicenda relativa all’asta giudiziaria della vendita dell’abitazione del cugino, NOME COGNOME che aveva subito un giudizio di esecuzione immobiliare, emergendo dalle conversazioni intercorse tra il ricorrente, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel corso di un incontro presso il ristorante INDIRIZZO, l’intenzione dei correi di presenziare all’asta giudiziaria e di intimidire i potenziali acquirenti per indurli a recedere da eventuali intenti partecipativi e di aggiudicazione dell’immobile.
Parimenti, quanto alle contestazioni di cui ai capi L) ed L2), il Tribunale con motivazione immune da vizi, rilevava la genericità delle censure difensive che non fornivano neppure una versione alternativa del costrutto indiziario, fondato sulla trasversale attività investigativa (esiti dei tabulati telefonici, GP telecamere di sorveglianza, intercettazioni, sommarie informazioni, perquisizioni
e sequestri di armi e munizioni), rinviando alla ordinanza applicativa della misura circa la dinamica dei fatti, individuando la gravità indiziaria nelle convergenti risultanze del monitoraggio delle due autovetture in uso agli indagati monitorate nelle medesime circostanze spazio-temporali individuate nel luogo della rapina in orario compatibile, nelle dichiarazioni autoaccusatorie rese dagli indagati, nelle conversazioni intercettate, i cui telefoni agganciavano le medesime celle, consentendo la individuazione a bordo delle autovetture controllate, nella pianificazione della rapina, nei dialoghi intercettati in carcere in cui cercano di concordare una versione per sviare le indagini.
La difesa sul punto ripropone censure già svolte davanti al Tribunale del Riesame e da questo respinte con motivazione precisa, puntuale, corretta ed immune da censure e vizi di logicità, sollecitando la Corte a sostituirsi ai giudici della cautela in ragione di una lettura alternativa del quadro probatorio, operazione che, come già detto, è del tutto preclusa in sede di legittimità.
Quanto agli allegati ai motivi aggiunti, relativi al decreto di archiviazione per i reati di rapina pluriaggravata e in concorso e di detenzione e porto in luogo pubblico di armi, la produzione sopravvenuta rispetto al momento della chiusura della discussione dinanzi al Tribunale del riesame è inammissibile per richiedere una valutazione sulla identità del fatto, non assumono alcun rilievo nel successivo giudizio di legittimità, potendo essere fatti valere soltanto con una nuova richiesta di revoca o di modifica della misura cautelare al giudice competente (Fattispecie in cui la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti depositati dalla difesa e fondati su documenti formati in un momento successivo alla presentazione del ricorso per cassazione) (Sez. 3, Sentenza n. 23151 del 24/01/2019 Rv. 275982 – 01).
2.4 II quarto motivo di ricorso che attiene alla manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione in relazione alle aggravanti di cui all’art.416 bis-1 cod. pen., deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso per il capo H) e dell’agevolazione per i reati di cui ai capi L) ed L2), sotto il profilo soggettivo, inammissibile.
In primo luogo, va detto che il Collegio intende ribadire l’orientamento giurisprudenziale, affermato già in più occasioni dalla Corte in casi del tutto analoghi (così, Sez.2, n.19245 del 30/03/2017, COGNOME, Rv.269938-01; conf. Sez.2, n.34786 del 31/05/2023, Gabriele, Rv.284950-01), secondo cui: “Ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 (conv. in I. 12 luglio 1991, n. 203), è sufficiente – in un territorio in cui è radicata un’organizzazione mafiosa
storica – che il soggetto agente faccia riferimento, in maniera anche contratta od implicita, al potere criminale dell’associazione, in quanto esso è di per sé noto alla collettività.
Ricorre la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416 – bis. 1 cod. pen., quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad una associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile l’aggravante nella minaccia rivolta all’avente titolo a rinunciare all’assegnazione di un’abitazione popolare, attuata prospettando che essa serviva alla figlia di un esponente apicale di un sodalizio mafioso) (Sez. 2, Sentenza n. 39424 del 09/09/2019 Rv. 277222 – 01).
Il Tribunale ha evidenziato che, dagli atti di indagine (intercettazioni e servizi di o.c.p.), emerge con chiarezza che l’ipotesi della turbativa d’asta mediante frasi di carattere intimidatorio profferite dal ricorrente nel corso della conversazione intercorsa con NOME COGNOME e NOME COGNOME, era stata portata avanti con i tradizionali metodi intimidatori mafiosi, in un contesto territoriale in cui la presenza della ‘ndrangheta per il controllo delle attivi economiche è noto alla collettività. In particolare, la gravità indiziaria viene fondata anche nella condotta del ricorrente e dei correi.
Anche in questo caso le motivazioni non appaiono censurabili sotto alcun profilo, sia con riferimento alla valutazione del contenuto della conversazione intercettata in relazione alla chiara ed inequivoca volontà manifesta dal ricorrente di approntare delle rappresaglie nei confronti di coloro che si fossero mostrati interessati alla casa del sodale, manifestando loro che la eventuale ritorsione sarebbe stata perpetrata dal gruppo mafioso sia con riferimento alla valutazione della condotta in concreto posta in essere dal gruppo il giorno dell’asta nei confronti di terzi, consistita prima nell’appostamento di fronte all’ingresso per attendere i partecipanti interessati all’asta con chiaro intento intimidatorio, poi nell’accerchiamento da parte di tutto il gruppo nei confronti del probabile acquirente e, quindi di terzi interessati laddove il COGNOME, rivolgendosi all’acquirente, lo intimoriva con la minaccia esplicita che chi avesse acquistato l’immobile avrebbe fatto un pessimo affare perché loro l’avrebbero distrutto, come concordato nella riunione del giorno precedente.
Sul punto la difesa reitera censure già disattese dal Tribunale, prospettando una diversa valutazione degli elementi di fatto già esaminati con motivazione immune da vizi dal Tribunale.
Quanto, invece, all’altro aspetto dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1, cod. pen., ossia la finalità agevolatrice dell’associazione mafiosa, ritenuto in relazione ai reati di cui ai capi L) ed L2), va richiamato il principio affermato in massima dalle Sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01) secondo cui: “La circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe”. Sul punto il Collegio del Riesame ha offerto una motivazione congrua e comunque non viziata per contraddittorietà o manifesta illogicità, rilevando specificatamente, in risposta all’eccezione già proposta dalla difesa, ha richiamando le strette cointeressenze tra gli associati, la comune appartenenza all’associazione di stampo mafioso di cui al capo A), ha ritenuto che la condotta del COGNOME fosse finalizzata a rimpinguare le casse del sodalizio (la bacinella comune) emergendo chiaramente che il ricorrente fosse mosso dalla prospettiva teleologica che la propria azione avesse fornito un’utilità alla compagine mafiosa in termini di rafforzamento economico della stessa
È quindi possibile affermare che il ricorrente fosse consapevole di realizzare non un interesse personale, ma di soddisfare un interesse riconducibile alla cosca. Non è, del resto, in dubbio che il ricorrente debba essere considerato molto addentro alle dinamiche mafiose, tenuto conto anche dello stretto rapporto di NOME COGNOME alla cosca, pur essendo stata esclusa la sua qualità di partecipe dell’associazione ex art. 416 bis cod. pen. In forza di queste considerazioni il motivo si presenta come inammissibile.
2.5 Il quinto motivo di ricorso che lamenta difetto, manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’att.275 cod. proc. pen, deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza di esigenze cautelari, è infondato.
In primo luogo, va ribadita, in tema di applicazione di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere per determinate fattispecie incriminatrici, prevista dagli artt. 275, comma 3, e 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.
Quanto alla rilevanza del cosiddetto “tempo silente”, ossia il decorso di un apprezzabile lasso temporale tra l’emissione della misura ed i fatti contestati risalenti al maggio 2018, il Collegio osserva che la giurisprudenza maggioritaria esclude che tale elemento possa da solo rappresentare prova della rescissione dei legami con il sodalizio criminoso, soprattutto nei casi di associazioni mafiose tradizionali come la ‘ndrangheta in cui, in base alle massime di esperienza di cui
si dispone, risulta oltremodo difficile recidere volontariamente e definitivamente il vincolo associativo senza “contraccolpi”. La Corte, perciò, in più occasioni ha affermato che: “In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari” (così Sez.2, GLYPH n.7837 GLYPH del GLYPH 12/02/2021, GLYPH Rv.280889-01; GLYPH conf. GLYPH Sez.V, n.16434 GLYPH del 21/02/2024, GLYPH Rv. 286267-01; GLYPH Sez.2, n.6592 del 25/01/2022, Rv.282766-02; Sez.2, GLYPH n.38848 del GLYPH 14/07/2021, Rv. GLYPH 282131-01; GLYPH Sez.5, n.35848 GLYPH del 11/06/2018, Rv. 273631-01).
Infatti, il diverso orientamento che assume che, in caso di tempo c.d. silente, il giudice avrebbe un onere di motivazione sulla perdurante attualità delle esigenze cautelari anche ove non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, Rv. 281273; Sez. 6, n. 6 16867 del 20/03/2018, Rv. 272919), poiché il fattore tempo, se è rilevante l’arco temporale, assurge a elemento distonico rispetto alla presunzione di perdurante pericolosità dell’indagato, destinato ad essere potenzialmente idoneo a vincere la suddetta presunzione (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Rv. 285272; Sez. 6, n. 2112 del 2024) o altra situazione idonea a denotare un recesso dello stesso dall’associazione, si fonda su inestricabili contraddizioni. Sotto un primo profilo, l’assunto, che talvolta si rinviene nei richiamati precedenti, per il quale quella affermata costituirebbe un’interpretazione costituzionalmente orientata del dato normativo (v., da ultimo, Sez. 6 n. 2112 del 2024), è distonico rispetto ai principi costantemente affermati dalla Corte Costituzionale nel senso di ritenere che le peculiari caratteristiche del vincolo associativo mafioso impediscano di assumere che misure meno afflittive della custodia cautelare in carcere siano idonee a neutralizzare il periculum libertatis. Di qui, a fronte del chiaro tenore letterale della disposizione, l’individuazione di una sorta di “eccezione” alla presunzione nell’ipotesi di cd. tempo silente finisce con il creare una sorta di norma nuova, non ricompresa nell’ambito dei possibili significanti sul piano letterale della disposizione oggetto di interpretazione (cfr., pur con riferimento all’interpretazione autentica, ex multis, Corte Cost. sent. n. 4 del 2024, n. 61 del
2022, n. 133 del 2020). A tale risultato, in un sistema nel quale è accentrato nella Corte Costituzionale il sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi e gli atti aventi forza di legge, non si può pervenire, laddove la Consulta abbia più volte avallato un’interpretazione rigorosa di una disposizione normativa mediante un’esegesi che assume di essere costituzionalmente orientata ma solo, in ipotesi, chiedendo alla stessa Corte Costituzionale una pronuncia additiva sull’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., con riferimento alla ricomprensione sotto l’egida della norma di situazioni nelle quali sia trascorso un lungo lasso temporale c.d. silente.
In altre parole, si tratta di motivare adeguatamente sull’esistenza delle esigenze cautelari laddove siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti delle ragioni per escluderle. Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata ha fornito sul punto una motivazione congrua e specifica, evidenziando che dagli atti investigativi era emerso che il ricorrente avesse rapporti molto stretti non solo con i vertici del sodalizio mafioso, NOME COGNOME c1.83, NOME COGNOME c1.79, ma anche con NOME NOME, considerato il capo dell’omonima cosca.
Il Tribunale ha, altresì, fondato il giudizio prognostico sul contesto criminale di consumazione dei fatti, sulla gravità intrinseca degli stessi e sulle allarmanti modalità esecutive e finalità, tipicamente mafiose per cui, a fronte di tali evidenze processuali, il rilievo della distanza temporale tra i fatti contestati e l’applicazione della misura custodiale non può essere considerato elemento dirimente per vincere la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., giacché è certa o comunque altamente probabile, considerata la caratura criminale estrinsecata da COGNOME e la sua annosa intraneità al contesto criminogeno di riferimento, la riproposizione di situazioni od occasioni analoghe a quelle che hanno dato causa al delitto per cui si procede in costanza delle quali è molto prevedibile che l’indagato, non sottoposto a vincolo coercitivo, finisca per reiterarne il compimento.
Appare infine corretta la motivazione del Tribunale in punto di ritenuta persistenza delle esigenze cautelari tenuto conto che si versa in un’ipotesi di mafia storica, radicata da molti anni sul territorio, che ha innestato chiare e consolidate modalità mafiose nel perseguimento dei fini sottesi al programma criminoso, in assenza di altre circostanze che possano indurre a ritenere che NOME COGNOME abbia effettivamente reciso i forti e consolidati legami, di natura familiare, con il contesto mafioso, emergendo invece una partecipazione attiva ad alcune dinamiche del sodalizio per la conservazione della consorteria, al cui interno svolge un ruolo di primo piano.
Parimenti, sotto il profilo dell’adeguatezza del regime cautelare disposto, l’ordinanza è immune da censure adottando una motivazione non suscettibile di censura in questa sede evidenziando la intensità del rischio di recidivanza specifica.
3.AI rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 10/10/2024.