Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33042 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33042 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Cerda il 04/03/1961 avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo del 19/03/2024
visti gli atti e l’ordinanza impugnata; esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Palermo con ordinanza del 19 marzo 2024 (motivazione depositata il successivo 26 aprile) ha respinto la richiesta di revoca della misura della custodia cautelare in carcere applicata dal Gip a Piraino NOME COGNOME in relazione alla contestazione provvisoria di partecipazione, aggravata e con ruolo direttivo, ad associazione di stampo mafioso, in particolare “Cosa Nostra” – famiglie riunite di Cerda e Sciara.
Avverso tale ordinanza l’indagato ha presentato, a mezzo del proprio difensore, ricorso nel quale deduce tre motivi.
2.1. Con primo motivo (rubricato come “Motivo preliminare”) si eccepisce la nullità dell’ordinanza impugnata per il mancato accoglimento di un’istanza di rinvio dell’udienza del riesame – fissata per il 19 marzo 2024 – richiesto al fine di potere compiutamente esaminare il materiale indiziario, e specificamente per ascoltare le registrazioni audio delle intercettazioni, nonché le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME, depositate il 14 marzo 2024.
2.2. Con secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione della legge penale e vizio di motivazione in riferimento a tre distinti profili: 1) in primo luogo, alla motivazione “per relationem” operata dal Gip rispetto alla richiesta cautelare formulata dal Pubblico ministero; 2) all’inutilizzabilità delle intercettazioni in quanto acquisite da un procedimento penale diverso rispetto a quello nel quale la misura è stata disposta; 3) in ordine alla insussistenza della necessaria gravità della piattaforma indiziaria posta a fondamento dell’addebito cautelare.
2.3. L’ultimo motivo è relativo alle esigenze cautelari delle quali si eccepisce l’insussistenza e comunque la possibilità di soddisfacimento tramite una misura meno afflittiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Il primo motivo non può essere accolto. Con motivazione adeguata l’ordinanza impugnata ha escluso che si sia verificata una lesione del diritto di
difesa, considerato il tempo intercorso tra la messa a disposizione di detto materiale e la successiva celebrazione dell’udienza. Sul punto, va confermato il principio secondo il quale la decisione con cui il Tribunale del riesame rigetta l’istanza di differimento della data dell’udienza, presentata ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen., non è impugnabile, fatta eccezione per le ipotesi in cui la stessa sia nulla per carenza assoluta di motivazione ovvero presenti una motivazione solo apparente. (da ultimo, Sez. 1, n. 6360 del 12/10/2022 dep. 15/02/2023, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 284355 – 01); situazione, questa, nella specie non ricorrente.
3. Infondato è anche il secondo motivo.
3.1. In ordine alla censura relativa alla motivazione “per relationem”, deve precisarsi che tale tecnica argomentativa non è inibita in modo assoluto, atteso che alla stessa può ricorrersi in ordine alle risultanze di fatto, anche per evitare appesantimenti motivazionali. E’ però necessario che l’ordinanza del tribunale della libertà che argomenti “per relationem”, esprima una valutazione complessiva destinata a superare implicitamente i motivi dedotti, le argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato, a condizione, tuttavia, che le deduzioni difensive non siano idonee a disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza genetica, non potendo in tal caso la motivazione “per relationem” fornire una risposta implicita alle censure formulate (così, Sez. 6, n. 566 del 29/10/2015 – dep. 08/01/2016, COGNOME, Rv. 265765 – 01).
Sul punto, l’ordinanza impugnata ha, per un verso, dato atto che il provvedimento genetico era connotato da motivazione adeguata e, in ogni caso, ha preso in esame le doglianze dell’indagato sul punto, motivando in modo congruo in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in merito all’addebito associativo. In tal modo è stato rispettato il principio secondo cui «anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 agli artt. 292 e 309, cod. proc. pen., sussiste il potere-dovere del tribunale del riesame di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impositivo della misura qualora questo sia assistito da una motivazione che enunci le ragioni della cautela, anche in forma stringata ed espressa “per relationem” in adesione alla richiesta cautelare, a meno che non si sia in presenza di una motivazione del tutto priva di vaglio critico dell’organo
giudicante mancando, in tal caso, un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti» (Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017 -dep. 08/03/2018, Pm in proc. COGNOME, Rv. 272596 – 01)
3.2. Infondata è anche la doglianza relativa all’inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto “importate” da un procedimento diverso rispetto a quello nel quale la misura è stata applicata, anche se questa Corte deve provvedere, ai sensi dell’art. 619, comma 1, cod. proc. pen., a rettificare la motivazione dell’ordinanza impugnata sul punto.
Invero, il Tribunale del riesame ha ritenuto che le intercettazioni erano state acquisite nello stesso procedimento, che recava un diverso numero di R.G. iniziale poiché, da quel procedimento “madre”, era stato in seguito stralciato quello in esame; quindi, stante l’identità del procedimento, le intercettazioni ha concluso il Tribunale cautelare – sono pienamente utilizzabili. Trattasi di motivazione non condivisibile, atteso che in caso di separazione dei procedimenti, le intercettazioni effettuate nel procedimento “madre” sono relative a un diverso procedimento e dunque il loro utilizzo è disciplinato dall’art. 270 cod. proc. pen. In ogni caso, nella specie sussistono i presupposti per la “importazione” di dette intercettazioni, dal momento che il titolo del reato addebitato provvisoriamente a Piraino (partecipazione aggravata, con ruolo direttivo, ad associazione di stampo mafioso) impone l’arresto obbligatorio in flagranza ex art. 380 cod. proc. pen. e, dunque, per esso opera la previsione di cui al primo comma dell’art. 270 cod. proc. pen., risultando, dalla motivazione dell’ordinanza impugnata, anche la decisività di dette intercettazioni per l’accertamento della sussistenza – seppur a livello cautelare – dell’ipotesi delittuosa.
3.3. Ugualmente non fondata è la censura mossa dal ricorrente in ordine all’affermazione della gravità indiziaria a carico. L’ordinanza impugnata – con motivazione non illogica e dunque insindacabile in sede di legittimità – ha provveduto a indicare i plurimi elementi indiziari emersi nei confronti del COGNOME. Essi sono rappresentati, oltre che dalle dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia tra loro congruenti, da plurime intercettazioni di conversazioni, elementi dai quali emerge in modo evidente il ruolo di rilievo assunto dall’indagato nell’ambito della consorteria mafiosa.
In particolare, il collaboratore COGNOME COGNOME nell’interrogatorio del marzo del 2019, ha indicato COGNOME come “personaggio sempre addentro alle
dinamiche mafiose di Cerda, molto vicino a COGNOME COGNOME, interessato a scalzare COGNOME NOME dalla reggenza della famiglia di Cerda”; quanto al periodo temporale al quale il COGNOME ha riferito tali fatti, il Tribunale del riesame spiega in modo congruo – con ciò superando le obiezioni difensive che l’indicazione degli “anni 2012-2014” è frutto di mera imprecisione nel ricorso, atteso che lo stesso COGNOME in quegli anni era detenuto, venendo scarcerato nel 2015, mentre sia il collaboratore che COGNOME vennero arrestati nel 2016.
Il narrato di COGNOME risulta confermato: dalle dichiarazioni di altro collaboratore (NOME) che ha riferito come COGNOME, liberato dal carcere, “intendesse prendere il posto di COGNOME” (cosa che gli era stata confermato dallo stesso COGNOME che lo aveva indicato come “quello che comandava a Trabia” e che con lui si lamentava dell’atteggiamento irrispettoso che “NOME” aveva nei suoi confronti); da quanto riferito da COGNOME NOME COGNOMEcollaboratrice di giustizia, moglie di NOME COGNOME, nipote del capo cosca COGNOME COGNOME) che ha indicato COGNOME canne “uomo di fiducia di NOME“, come dimostrato dalla circostanza che ella aveva fatto pervenire proprio a COGNOME “pizzini” provenienti da COGNOME, quando questi era detenuto; da COGNOME NOME, che ha riferito di summit svolti nel carcere ove erano detenuti con la partecipazione di COGNOME e COGNOME; da COGNOME NOME che ha riferito che nel 2009 COGNOME – da lui indicato come “uomo d’onore di Cerda” era stato “combinato” da COGNOME COGNOME e COGNOME NOME, “uomo d’onore” di Villabate. Tali plurime e convergenti dichiarazioni – rileva l’ordinanza impugnata – non sono infirmate dalle imprecisioni riscontrabili nelle dichiarazioni di altro collaboratore (COGNOME NOME COGNOME) che ha riferito di avere incontrato in carcere Piraino nel 2006, nonostante risulti dimostrato documentalmente che i due sono stati detenuti nel medesimo istituto penitenziario solo negli anni 2008 e 2009. Al riguardo – e le considerazioni risultano congrue – da un lato COGNOME ha avuto difficoltà a riconoscere in fotografia COGNOME; dall’altro lato, “l’intervenuta investitura del COGNOME quale reggente del mandamento da parte di NOME COGNOME è pacificamente corroborata da molteplici ulteriori elementi” (quali l’assidua frequentazione dell’indagato con COGNOME COGNOME COGNOME che lo affiancava nelle dinamiche illecite del sodalizio e al quale egli “impartiva indicazioni e direttive” e le numerose conversazioni intercettate tra sodali che si riferivano a Piraino, al quale riconoscevano il ruolo di “reggente” e la Corte di Cassazione – copia non ufficiale
particolare propensione a porre in essere una sistematica attività estorsiva sul territorio).
Propensione che viene indicata come connotata da “eccessi”, anche per ottenere poche centinaia di euro; atteggiamento, questo, stigmatizzato da altri sodali perché ritenuto “pericoloso” per la consorteria mafiosa (ordinanza impugnata, pag. 17, ove si riferisce della preoccupazione espressa al riguardo da NOME COGNOME).
3.4. L’ordinanza motiva anche in merito alla configurabilità dell’aggravante dell’associazione armata. Da un lato, viene richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, formatosi in tema di consorterie “storiche” secondo il quale «In tema di associazioni di tipo mafioso storiche (nella specie, “Cosa nostra”), per la configurabilità dell’aggravante della disponibilità di armi, non è richiesta l’esatta individuazione delle stesse, ma è sufficiente l’accertamento, in fatto, della disponibilità di un armamento, desumibile anche dalle risultanze emerse nella pluriennale esperienza storica e giudiziaria, essendo questi elementi da considerare come utili strumenti di interpretazione dei risultati probatori» (da ultimo, v. Sez. 2, n. 22899 del 14/12/2022 – dep. 25/05/2023, COGNOME, Rv. 284761 – 01). Dall’altro lato, viene fatto riferimento ad uno specifico elemento indiziario in tal senso emergente dall’ordinanza genetica (ove, a pag. 914, è riportata una sequenza fotografica relativa alla consegna di munizioni dall’indagato ad altro sodale).
Infondato risulta infine il terzo motivo, relativo alle esigenze cautelari. A prescindere dall’esistenza della doppia presunzione di adeguatezza, correlata al titolo cautelare, l’ordinanza motiva in modo non illogico in ordine alle esigenze, contemplate anche in riferimento all’epoca non eccessivamente risalente delle condotte dell’indagato – peraltro rimesso in libertà nel febbraio del 2015 dopo avere scontato dieci anni di reclusione per il reato di associazione mafiosa – e dell’insufficienza, attesa la pericolosità del predetto, della misura degli arresti domiciliari.
Al rigetto del ricorso segue, come per legge, la condanna dell’indagato al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria è incaricata degli adempimenti ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 12 luglio 2024
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Il Presidente