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Custodia cautelare: legami con la ‘ndrangheta

Un individuo, accusato di reati in materia di armi con l’aggravante di aver agevolato un’associazione mafiosa, ha presentato ricorso contro il ripristino della custodia cautelare in carcere. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che i profondi e ramificati legami del soggetto con la criminalità organizzata rendono inadeguata qualsiasi misura meno afflittiva, come gli arresti domiciliari, anche se disposti a grande distanza dal suo territorio di origine. La presunzione di adeguatezza del carcere, in questi casi, non è stata superata da elementi positivi.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare e Criminalità Organizzata: La Cassazione Conferma il Carcere

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47270/2024, si è pronunciata su un caso emblematico riguardante l’applicazione della custodia cautelare in carcere per reati aggravati dall’agevolazione mafiosa. La decisione ribadisce un principio fondamentale: di fronte a soggetti profondamente inseriti in contesti di criminalità organizzata, la detenzione preventiva in istituto penitenziario rappresenta spesso l’unica misura idonea a neutralizzare la loro pericolosità sociale, anche a fronte di alternative come gli arresti domiciliari a centinaia di chilometri di distanza.

I Fatti del Caso: dal Carcere ai Domiciliari e Ritorno

La vicenda processuale ha origine dalla decisione di un Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) di sostituire la custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari nei confronti di un individuo accusato di gravi reati. Le accuse includevano detenzione di armi e coltivazione illecita di stupefacenti, il tutto aggravato dalla finalità di agevolare una nota cosca della ‘ndrangheta.

La Procura della Repubblica, ritenendo tale misura inadeguata, ha appellato la decisione al Tribunale del Riesame. Quest’ultimo ha accolto l’appello, annullando gli arresti domiciliari e ripristinando la detenzione in carcere. Contro questa ordinanza, la difesa dell’indagato ha proposto ricorso in Cassazione.

Le Argomentazioni della Difesa

Il ricorrente lamentava principalmente una contraddittorietà nella motivazione del Tribunale del Riesame. Secondo la difesa, i giudici avevano prima sostenuto la necessità di “sradicare” l’indagato dal suo ambiente criminale di provenienza, ma poi avevano ritenuto inidonei persino gli arresti domiciliari disposti a oltre 700 chilometri di distanza. Si contestava, inoltre, la mancanza di un pericolo di recidiva concreto e attuale, dato che i precedenti penali erano datati e i fatti contestati risalivano a due anni prima dell’esecuzione della misura.

Le Motivazioni della Cassazione: Pericolosità e Inadeguatezza della Custodia Cautelare Domiciliare

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, giudicandolo infondato. La motivazione della Suprema Corte si fonda su punti chiari e logicamente concatenati. Innanzitutto, i reati contestati sono aggravati ai sensi dell’art. 416-bis.1 del codice penale, ovvero per aver agevolato un’associazione mafiosa. Questa circostanza fa scattare una presunzione legale relativa di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere.

Nel caso di specie, questa presunzione non solo non è stata superata da elementi positivi, ma è stata anzi rafforzata dalle risultanze investigative. Dagli atti emergeva una figura dotata di una “personalità altamente negativa”, pienamente inserita in dinamiche criminali complesse e trasversali. L’individuo non era solo contiguo alla cosca locale, ma intratteneva rapporti con altre famiglie mafiose per questioni legate a partite di cocaina e partecipava a incontri in cui si discuteva di armi.

La Corte ha sottolineato che questi legami, estesi ben oltre il territorio di origine, rendevano l’indagato un soggetto “assolutamente inaffidabile” e immeritevole di qualsiasi credito fiduciario, presupposto indispensabile per una misura meno afflittiva come gli arresti domiciliari. L’allontanamento fisico non era sufficiente a recidere una rete di contatti criminali così ampia e radicata, che gli consentiva di operare e mantenere la sua autorevolezza nel settore delle armi indipendentemente dalla sua ubicazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di misure cautelari per reati connessi alla criminalità organizzata. La decisione chiarisce che la valutazione della pericolosità sociale non può limitarsi a un’analisi geografica, ma deve tenere conto della natura e dell’estensione della rete criminale in cui il soggetto è inserito. Quando tale rete è vasta e operativa su più territori, la presunzione per la custodia cautelare in carcere diventa estremamente difficile da superare. La mancanza di segnali di resipiscenza e la capacità dimostrata di interagire con diversi ambienti criminali sono elementi decisivi che orientano il giudice verso la misura più restrittiva, considerata l’unica in grado di tutelare efficacemente le esigenze cautelari.

Quando è giustificata la custodia cautelare in carcere per reati aggravati dal metodo mafioso?
La custodia cautelare in carcere è giustificata sulla base di una presunzione legale di pericolosità. La sentenza conferma che, in assenza di elementi concreti di segno contrario (come un ravvedimento), e data la profonda integrazione dell’indagato in contesti di criminalità organizzata, questa misura è ritenuta l’unica adeguata a prevenire la reiterazione dei reati.

Gli arresti domiciliari, anche se eseguiti lontano dal luogo di origine, possono essere considerati una misura idonea in questi casi?
No, in questo caso la Corte ha stabilito che anche gli arresti domiciliari a grande distanza non erano sufficienti. La ragione risiede nel fatto che i collegamenti criminali dell’individuo non erano confinati al suo territorio, ma si estendevano a livello nazionale, rendendolo capace di continuare le sue attività illecite indipendentemente da dove fosse fisicamente collocato.

Il tempo trascorso dai fatti può ridurre il pericolo di recidiva?
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il tempo trascorso, definito “neppure notevole”, non fosse sufficiente a diminuire il pericolo concreto e attuale di recidiva. La gravità dei fatti contestati e la personalità criminale dell’indagato, rimasta immutata, sono stati considerati fattori prevalenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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