Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 611 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 611 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME Luca NOME COGNOME nato a Chicago (USA) il 2/9/1971
avverso l’ordinanza del 20/6/2024 emessa dal Tribunale di Catanzaro visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto sia dichiarato inammissibile; uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale era stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere, in quanto gravemente indiziato di partecipazione all’associazione dedita al narcotraffico, capeggiata da NOME COGNOME (capo 1), nonché di un episodio
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specifico di acquisto di sostanza stupefacente (capo 62).
Avverso tale ordinanza, il ricorrente ha formulato quattro motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione dell’art. 292 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’autonoma valutazione dei fatti da parte del giudice della cautela. Il ricorrente rappresenta, anche mediante il richiamo di plurimi brani dell’ordinanza cautelare ed al loro raffronto con la richiesta di misura, come tra i due atti non vi fosse alcuna sostanziale diversità. Si assume che il giudice per le indagini preliminari non si sia meramente avvalso del richiamo, mediante incorporazione, di estesi brani della richiesta’ cautelare, ma si sia in concreto sottratto a quel vaglio autonomo che è imposto, a pena di nullità, dall’art. 292 cod. proc. pen. Il Tribunale avrebbe reso una motivazione contraddittoria sul punto, posto che da un lato riconosceva espressamente che il primo giudice avesse compiuto ampi richiami alla richiesta del pubblico ministero, per poi affermare che ciò non fosse incompatibile con l’autonoma valutazione, avendo il g.i.p. dato atto delle ragioni sottese alla decisione assunta.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza della gravità indiziarla in relazione al reato associativo. La motivazione, invero, si sarebbe limitata a dare atto delle generiche dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia che, pur indicando l’indagato quale uno degli associati, non avevano riferito in ordine a specifiche condotte; la genericità delle dichiarazioni impediva, pertanto, di ritenere le stesse reciprocamente riscontrate, né era stata altrimenti compiuta la valutazione in ordine all’attendibilità estrinseca.
A ciò si aggiunge il fatto che COGNOME non risulta gravato da precedenti in materia di stupefacenti, non aveva intrattenuto alcun rapporto diretto con COGNOME e, soprattutto, risultava coinvolto in un isolato acquisto di stupefacente, peraltro per un quantitativo non elevato, tale da non consentire di desumerne elementi di conferma del quadro indiziario per il reato associativo.
Per superare tali evidenti insufficienze indiziarie, il Tribunale avrebbe valorizzato il legame esistente tra COGNOME e COGNOME, sottolineando il ruolo di quest’ultimo quale uomo di fiducia del COGNOME, cui sarebbe stata affidata la gestione del narcotraffico nella zona di Rende.
Tuttavia, risulterebbe indinnostrato l’assioma secondo cui COGNOME, in quanto in stretti rapporti con COGNOME, avrebbe anche uno stabile collegamento con COGNOME.
Anche le intercettazioni evidenziate dal Tribunale, oltre che essere in numero
estremamente ridotto, non fornirebbero elementi univoci a sostegno dell’appartenenza al sodalizio. Per quanto attiene, in particolare, le conversazioni che avevano preceduto l’acquisto della sostanza di cui al capo 62), sottolinea la difesa che l’uso del pronome personale “noi” doveva intendersi riferito dal COGNOME al coinvolgimento nell’acquisto anche di COGNOME, essendo stato illogicamente interpretato dal Tribunale come riferibile all’intero gruppo associativo facente capo a COGNOME.
Infine, anche la conversazione intercorsa il 2.4.2020 tra COGNOME e COGNOME escluderebbe l’appartenenza al sodalizio del ricorrente, non emergendo un rapporto di subordinazione di COGNOME rispetto a COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sul presupposto che non risulterebbe dimostrata l’esistenza del sodalizio mafioso a vantaggio del quale il reato associativo di cui all’art. 74, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 sarebbe stato commesso.
2.4. Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione ini ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari. Sottolinea il ricorrente come l’attualità del rischio di reiterazione, nonché la scelta di applicare la custodia cautelare, non poteva fondarsi sulla duplice presunzione contenuta nell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., dovendosi tenere conto del tempo trascorso dalle ultime condotte accertate nei confronti di COGNOME, risalenti al 2019. È pur vero che l’imputazione provvisoria contesta la perdurante sussistenza dell’associazione, ma tale dato doveva essere necessariamente letto con specifico riferimento alle singole e diverse posizione degli indagati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo di ricorso, concernente la dedotta carenza di autonoma valutazione nell’ordinanza genetica, non si confronta con le argomentazioni rese sul punto dal Tribunale del riesame.
Richiamando la consolidata giurisprudenza secondo cui il novellato art. 292, comma 2, cod. proc. pen. non è incompatibile con la motivazione per relationem, né con forme di motivazione “per incorporazione” del contento della richiesta cautelare, il Tribunale ha accertato che l’ordinanza impugnata non si era limitata all’acritico recepinnento dell’impostazione accusatoria, contenendo un giudizio calibrato sulle posizioni dei singoli indagati e idoneo a dar conto dell’iter
argomentativo sviluppato dal giudicante.
Le conclusioni cui è giunto il Tribunale non possono essere inficiate dal mero raffronto compiuto dalla difesa del ricorrente tra le parti contenute nella richiesta cautelare e quelle riprodotte nell’ordinanza, posto che tale tecnica redazionale -tanto più se resa necessaria dalla mole del materiale indiziario e dalla complessità del procedimento – non determina di per sé la nullità dell’ordinanza.
Il giudizio di merito reso dal Tribunale in ordine alla possibilità di individuare nei commenti e nelle considerazioni svolte dal g.i.p. un’autonoma valutazione, non è suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità. Né può ritenersi che l’esistenza di un’autonoma valutazione possa farsi discendere dal mero fatto che il g.i.p. abbia svolto considerazioni collimanti con quelle contenute nell’ordinanza cautelare, trattandosi di uno degli esiti possibili.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Deve premettersi che r per consolidata giurisprudenza, quando è denunciato, con ricorso per cassazione il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie ( Sez.U, n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv. 215828; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012). Restano fuori dal vaglio del giudice di legittimità, dunque, le censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 25217801; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME Rv. 269884; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628).
3.1. Il ricorrente censura la valenza indiziaria delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, tentando di valorizzare l’assenza del riferimento a condotte specifiche e la mancanza di elementi di riscontro.
Invero, la valutazione compiuta dai giudici di merito appare immune da censure di manifesta illogicità o contraddittorietà, essendosi sottolineato come le dichiarazioni dei collaboratori erano concordi e, quindi, offrivano un reciproco riscontro, rispetto al ruolo svolto dall’indagato all’interno del sodalizio, essendo indicato quale soggetto dedito abitualmente allo spaccio, attività svolta alle dirette
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dipendenze di NOME COGNOME a sua volta indicato quale uomo di fiducia di COGNOME che costituiva il vertice dell’associazione.
Proprio tale diretto rapporto tra l’indagato e COGNOME giustifica anche il fatto che non siano emersa una stabilità di rapporti con COGNOME che, secondo la tesi difensiva, dimostrerebbe l’estraneità dell’indagato al sodalizio.
3.2. L’ulteriore profilo di dubbio, fondato sull’avvenuta contestazione di un unico reato fine (capo 62), è stato ritenuto un elemento inidoneo a superare la gravità del complessivo quadro indiziario.
Si tratta di una valutazione prettamente di merito e gli argomenti addotti dalla difesa per confutarne la correttezza, coinvolgendo un giudizio sul fatto, non assumono rilevanza in sede di legittimità.
3.3. In conclusione, il ricorrente ha prospettato una pluralità di elementi valutativi potenzialmente a lui favorevoli (ivi comprese il contenuto delle intercettazioni e l’assenza di rapporti con COGNOME) che, tuttavia, non sono in grado di rendere la motivazione manifestamente illogica o contraddittoria.
Il terzo motivo è manifestamente infondato. Il ricorrente sostiene che l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. potrebbe ritenersi sussistente solo a fronte di un accertamento definitivo circa l’esistenza dell’associazione mafiosa, a beneficio della quale sarebbero stati commessi i reati in esame.
Si tratta di una prospettazione non condivisibile, posto che l’aggravante deve essere valutata secondo il parametro proprio del giudizio cautelare, nelNtito del quale ben può accertarsi la sussistenza – come avvenuto nel caso di specie – del rapporto strumentale tra l’associazione ex art. 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e quella di tipo mafioso beneficiata dalle condotte di spaccio.
Sul punto, il Tribunale ha ampiamente chiarito come l’attività di spaccio si inseriva nel più ampio contesto criminale gestito dall’associazione di ‘ndragheta facente capo alle famiglie COGNOME/COGNOME/COGNOME, sottolineando come tale associazione, in fase cautelare, era stata già ritenuta sussistente nell’autonomo procedimento in corso di celebrazione per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Peraltro, si trattava di un’associazione di ‘ndrgheta che, per i soggetti coinvolti e l’ambito territoriale di operatività, si poneva in continuità con il sodalizio oggetto di precedenti giudizi penali.
L’ultimo motivo, concernente la sussistenza delle esigenze cautelari, è infondato. È pur vero che le specifiche condotte ascritte al ricorrente non vanno oltre il novembre 2019, ma a fronte di tale dato non vi sono elementi concreti dai quali poter desumere che vi sia stata una rescissione del rapporto associativo.
Né il tempo trascorso tra i fatti accertati e l’emissione dell’ordinanza cautelare,, considerato il contesto criminale nel quale le condotte si inseriscono, è tale da poter far dubitare dell’attualità delle esigenze cautelari, stante il radicato inserimento dell’indagato nel settore del narcotraffico, evidentemente sintomo di professionalità e stabilità delle condotte realizzate.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all ì ‘art. 94, comma 1-ter, disp.att. cod. proc. pen.
Così deciso il 28 novembre 2024
Il Consigliere estensore