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Custodia Cautelare: la valutazione autonoma del giudice

Un uomo, accusato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, ha impugnato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la misura. La sentenza chiarisce i requisiti per la valutazione autonoma del giudice, che non deve limitarsi a recepire la richiesta del PM, e ribadisce come la gravità indiziaria e le esigenze cautelari possano basarsi su dichiarazioni concordanti e sulla stabilità del vincolo criminale, anche a distanza di tempo dai fatti contestati.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare: Quando la Motivazione del Giudice è Valida?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 611/2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale della procedura penale: i presupposti per l’applicazione della custodia cautelare e, in particolare, il dovere del giudice di compiere una valutazione autonoma e non meramente recettiva della richiesta della pubblica accusa. Questa decisione offre importanti chiarimenti sulla solidità del quadro indiziario e sulla persistenza delle esigenze cautelari nel tempo.

I Fatti del Caso

Un individuo veniva sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere perché gravemente indiziato di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, nonché per un singolo episodio di acquisto di droga. L’indagato, tramite i suoi legali, proponeva ricorso al Tribunale del riesame, che però confermava il provvedimento restrittivo. Contro tale decisione, l’uomo ricorreva alla Corte di Cassazione, sollevando diverse questioni di legittimità.

I Motivi del Ricorso

La difesa dell’indagato ha articolato il ricorso in quattro punti principali:
1. Mancanza di autonoma valutazione: Si sosteneva che il giudice per le indagini preliminari si fosse limitato a recepire acriticamente la richiesta del Pubblico Ministero, violando l’art. 292 del codice di procedura penale.
2. Insussistenza della gravità indiziaria: Secondo la difesa, gli indizi per il reato associativo erano deboli, basandosi su dichiarazioni generiche di collaboratori di giustizia e su un unico episodio di acquisto di stupefacenti, non sufficienti a dimostrare un inserimento stabile nel sodalizio criminale.
3. Errata applicazione dell’aggravante mafiosa: Si contestava la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p., ritenendo non provato il collegamento tra l’associazione di narcotrafficanti e un sodalizio di stampo mafioso.
4. Carenza delle esigenze cautelari: La difesa evidenziava il tempo trascorso dagli ultimi fatti contestati (risalenti al 2019), sostenendo che il rischio di reiterazione del reato non fosse più attuale.

Le Motivazioni della Corte sulla custodia cautelare

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato in ogni suo punto. Gli Ermellini hanno fornito una motivazione dettagliata per ciascuna delle censure sollevate.

In primo luogo, riguardo alla presunta mancanza di valutazione autonoma, la Corte ha ribadito un principio consolidato: la motivazione per relationem (cioè con rinvio ad altri atti) è legittima quando il giudice dimostra di aver compiuto un esame critico del materiale a sua disposizione. Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente rilevato che il G.I.P. non si era limitato a un recepimento acritico, ma aveva espresso un giudizio calibrato sulla posizione del singolo indagato, sufficiente a dar conto del suo percorso logico-decisionale.

Sul secondo punto, relativo alla gravità indiziaria, la Cassazione ha chiarito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la logicità della motivazione del giudice di merito. Il Tribunale del riesame aveva logicamente valorizzato la concordanza delle dichiarazioni dei collaboratori, che indicavano l’indagato come spacciatore abituale alle dipendenze di un uomo di fiducia del vertice dell’associazione. Questo, unito ad altri elementi, è stato ritenuto sufficiente a configurare un quadro indiziario solido, non scalfito dalla contestazione di un solo reato-fine.

Per quanto concerne l’aggravante mafiosa, la Corte ha specificato che la sua sussistenza può essere accertata anche in fase cautelare. Il Tribunale aveva adeguatamente motivato il collegamento strumentale tra l’associazione dedita al narcotraffico e un’organizzazione criminale di tipo ‘ndranghetista, beneficiaria delle condotte di spaccio.

Infine, la Cassazione ha respinto la censura sulle esigenze cautelari. Sebbene i fatti fossero risalenti, la Corte ha sottolineato che il tempo trascorso non è di per sé sufficiente a far venir meno il pericolo di reiterazione del reato, specialmente di fronte a un inserimento radicato e stabile nel settore del narcotraffico, sintomo di professionalità criminale.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza principi fondamentali in materia di misure cautelari. In primo luogo, conferma che l’obbligo di autonoma valutazione del giudice non impone una riscrittura originale di tutti gli elementi, ma richiede una rielaborazione critica e personalizzata che dimostri il pieno controllo del materiale investigativo. In secondo luogo, ribadisce che per la custodia cautelare in contesti associativi, la gravità indiziaria può essere desunta da un complesso di elementi concordanti, senza che sia necessario provare una moltitudine di reati-fine per ogni partecipe. Infine, la decisione sottolinea come l’attualità del pericolo di reiterazione del reato debba essere valutata in concreto, considerando la natura del reato e la personalità dell’indagato, e non può essere esclusa solo sulla base del mero decorso del tempo.

Un’ordinanza di custodia cautelare è nulla se il giudice riprende parti della richiesta del Pubblico Ministero?
No, non è automaticamente nulla. La giurisprudenza ammette la motivazione “per relationem” o “per incorporazione”, a condizione che il giudice dimostri di aver compiuto una valutazione autonoma e critica degli elementi, e non un recepimento passivo. Il provvedimento deve contenere un giudizio calibrato sulla posizione del singolo indagato che dia conto dell’iter logico seguito dal giudice.

Per applicare la custodia cautelare per associazione a delinquere è necessario provare il coinvolgimento in numerosi reati specifici?
No, non è strettamente necessario. La gravità indiziaria per il reato associativo può essere desunta da un quadro complessivo di elementi, come dichiarazioni concordanti di collaboratori di giustizia, intercettazioni e rapporti stabili con altri membri del sodalizio. Anche la contestazione di un unico reato-fine, se inserita in questo contesto, non esclude la sussistenza di gravi indizi di partecipazione all’associazione.

Il tempo trascorso dai fatti contestati fa automaticamente venir meno le esigenze cautelari?
No. Il decorso del tempo è un elemento da considerare, ma non è sufficiente da solo a escludere l’attualità del pericolo di reiterazione del reato. La valutazione deve tenere conto del contesto criminale, della natura del reato e della personalità dell’indagato. Un inserimento radicato e stabile in un’associazione criminale, sintomo di “professionalità”, può giustificare il mantenimento della custodia cautelare anche a distanza di tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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