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Custodia cautelare: la Riforma Cartabia non la esclude

Un soggetto, accusato di uso indebito di carte di credito e falso documentale, ricorre in Cassazione contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Sostiene che la Riforma Cartabia, introducendo pene sostitutive, avrebbe dovuto portare a una misura meno afflittiva. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, specificando che la prognosi in fase cautelare è autonoma da quella sulla pena futura e che la serialità dei reati e l’incapacità di autocontrollo giustificano la misura carceraria.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare: la Cassazione ribadisce i criteri anche dopo la Riforma Cartabia

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2523 del 2024, ha affrontato un interessante caso relativo all’applicazione della custodia cautelare in carcere per reati seriali, offrendo chiarimenti cruciali sull’impatto della recente Riforma Cartabia sui presupposti delle misure cautelari. La decisione conferma che la valutazione del giudice deve basarsi sulla pericolosità concreta dell’indagato, indipendentemente dalle possibili alternative alla detenzione previste per la fase esecutiva della pena.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame che, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero, applicava la misura della custodia cautelare in carcere a un individuo indagato per una serie di reati. Le accuse principali riguardavano l’indebito utilizzo di carte di credito appartenenti a terzi per effettuare acquisti e la creazione di una falsa carta d’identità valida per l’espatrio, intestata a una persona deceduta. Inizialmente, il Giudice per le Indagini Preliminari aveva respinto la richiesta di misura cautelare, ma il Tribunale del Riesame ha ribaltato tale decisione, ritenendo sussistenti le esigenze cautelari che giustificavano la detenzione in carcere.

I Motivi del Ricorso e la scelta della Custodia Cautelare

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su quattro principali motivi:

1. Vizio di motivazione: L’ordinanza del Tribunale del Riesame sarebbe stata illogica e contraddittoria.
2. Violazione di legge post-Riforma Cartabia: Si sosteneva che il Tribunale non avesse considerato l’introduzione dell’art. 20 bis del codice penale, che prevede la detenzione domiciliare sostitutiva. Secondo la difesa, una prognosi sulla futura pena avrebbe dovuto tener conto di questa possibilità, orientando la scelta verso una misura cautelare meno grave del carcere.
3. Mancanza di un concreto pericolo di recidiva: La difesa lamentava che il Tribunale avesse valorizzato elementi legati ai reati contestati, senza considerare un presunto cambiamento nello stile di vita dell’indagato.
4. Inadeguatezza della misura carceraria: L’ordinanza non avrebbe motivato a sufficienza sull’impossibilità di applicare misure diverse, come gli arresti domiciliari con controllo elettronico, limitandosi ad affermare apoditticamente l’incapacità di autocontrollo dell’indagato.

La Decisione della Corte sulla Custodia Cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo tutti i motivi infondati o generici. La decisione ha confermato integralmente l’impianto motivazionale dell’ordinanza del Tribunale del Riesame, ribadendo la correttezza della scelta di applicare la misura più restrittiva.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive. In primo luogo, ha giudicato il primo motivo generico, poiché non specificava quali conseguenze pregiudizievoli sarebbero derivate dalla presunta illogicità della motivazione.

Sul punto cruciale, relativo all’impatto della Riforma Cartabia, la Corte ha chiarito un principio fondamentale: la prognosi che il giudice compie in fase cautelare ai sensi dell’art. 275 c.p.p. è del tutto autonoma e distinta da quella relativa alla futura esecuzione della pena. La Riforma non ha modificato i criteri per la valutazione delle esigenze cautelari. Il Tribunale, pertanto, ha correttamente operato una prognosi negativa sulla concessione della sospensione condizionale della pena, basandosi sull’agire “ininterrotto e seriale” del ricorrente, indice di una “continua propensione a commettere atti della stessa indole”.

Infine, anche il terzo e il quarto motivo sono stati giudicati manifestamente infondati. La Corte ha ritenuto che la motivazione dell’ordinanza fosse solida e non contraddittoria nel valorizzare elementi concreti come “il numero degli episodi contestati” e “la incapacità dell’indagato di rispettare le prescrizioni”, elementi che dimostravano una volontà di “non arrestarsi mai, aggiungendo delitti a delitti”. Questa valutazione ha sorretto in modo logico la scelta della misura carceraria come l’unica adeguata a fronteggiare l’elevata capacità criminale e l’intensità del dolo dimostrate.

Le Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza l’autonomia del giudizio cautelare rispetto alle novità normative in materia di pene sostitutive. La scelta della custodia cautelare deve fondarsi su una valutazione concreta e attuale della pericolosità sociale dell’indagato, desunta dalle modalità della condotta e dalla sua personalità. La serialità dei reati e l’incapacità di autodisciplina sono elementi che, secondo la Corte, possono legittimamente giustificare la misura detentiva più grave, anche nell’attuale quadro normativo post-Riforma Cartabia.

La Riforma Cartabia ha modificato i criteri per applicare la custodia cautelare in carcere?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che l’introduzione di pene sostitutive come la detenzione domiciliare (art. 20 bis c.p.) non incide sulla valutazione prognostica che il giudice deve compiere in fase cautelare, la quale resta autonoma e basata sui criteri dell’art. 275 c.p.p., come il pericolo di recidiva.

Come valuta il giudice il pericolo di recidiva per giustificare la custodia cautelare?
Il giudice valuta elementi concreti e attuali, come il numero di reati commessi, la loro serialità, l’intensità del dolo e la personalità dell’indagato. Nel caso specifico, l’agire ininterrotto e la propensione a commettere reati della stessa indole sono stati considerati indicatori di un elevato e attuale pericolo di recidiva.

Perché il ricorso dell’indagato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché i motivi erano manifestamente infondati o generici. La Corte ha ritenuto che la decisione del Tribunale del Riesame fosse correttamente e logicamente motivata, sia nella valutazione del pericolo di recidiva sia nella scelta della misura cautelare più grave come unica idonea a fronteggiare la pericolosità dell’indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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