Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27817 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27817 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 15/01/1973
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 20/08/1966
NOMECOGNOME nato a Napoli il 02/02/2004
NOME nato a Mugnano di Napoli il 05/05/2002
avverso l’ordinanza del 26/02/2025 del Tribunale del riesame di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per il tramite dei rispettivi difensori, impugnano l’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli che, per quel che in questa sede rileva, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero avverso l’ordinanza con cui era stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari, ha disposto la custodia cautelare in carcere in
ordine al delitto di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico aggravata dalla finalità di favorire gli interessi del “clan COGNOME“.
1.1. I fatti per cui procede l’Autorità giudiziaria di Napoli – che si assume siano stati commessi tra il settembre 2021 e marzo 2023 a Napoli, Mugnano di Napoli, Melito di Napoli e Gricignano di Aversa – afferiscono ad una articolata indagine che avrebbe visto NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME inseriti all’interno di “piazze di spaccio” del territorio di Napoli e provincia, NOME COGNOME svolgere il ruolo di intermediario nei rapporti con i custodi della sostanza stupefacente e gli spacciatori, soggetti comunque intranei al sodalizio con a capo NOME COGNOME dedito all’importazione dalla Spagna, stoccaggio e diffusione sul territorio napoletano e viciniore di rilevanti quantitativi di sostan stupefacente del tipo cocaina.
1.2. Il Tribunale – come sopra evidenziato – ha parzialmente accolto l’appello proposto dal Pubblico Ministero, ritenendo non adeguata la gradata misura degli arresti domiciliari in merito alla contestazione provvisoria enunciata, non avendo condiviso la distinzione operata dal Giudice delle indagini preliminari laddove aveva ritenuto di applicare la misura cautelare degli arresti domiciliari agli indagati cui era stata contestata la sola ipotesi associativa senza implicazioni nei reati fine.
NOME COGNOME deduce vizi di motivazione e violazione di legge in relazione all’art. 275, comma 3 / cod. proc. pen. là dove il Tribunale ha ritenuto, in ragione dell’arresto avvenuto il 7 luglio 2023, che il COGNOME avesse proseguito nell’attività di spaccio, senza invero apprezzare il dato positivo costituito dal provvedimento del Magistrato di sorveglianza che il 13 novembre 2024, valutando positivamente il periodo intercorrente tra il 15 settembre 2023 e il 14 novembre 2024, ha rilevato l’occasionalità della violazione e la cessazione della pericolosità sociale del Pone, così da revocare la misura di sicurezza della casa lavoro.
La decisione impugnata, inoltre, si pone in contrasto col provvedimento che ha riguardato altro indagato che versava in una situazione simile a quella del ricorrente.
NOME COGNOME deduce vizi di motivazione in ordine alle ritenute esigenze cautelari e violazione di legge in relazione all’art. 275, comma 3-bis o cod. proc. pen.
3.1. Il ricorrente dissente dal percorso argomentativo seguito dal Tribunale in ordine alle esigenze cautelari attuali e concrete.
3.2. il Tribunale – si assume – non ha adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per cui non è stata giudicata adeguata una misura meno afflittiva i se del
caso anche attraverso la misura domiciliare assistita da particolari modalità di controllo.
NOME COGNOME deduce vizi di motivazione in ordine alla sussistenza “delle esigenze cautelari ex art. 275” cod. proc. pen.
Si deduce l’omessa analisi di elementi che avrebbero condotto a ritenere più adeguata la differente misura cautelare degli arresti domiciliari, censurando la valorizzazione del dato che aveva visto il ricorrente destinatario della misura cautelare in carcere per la partecipazione all’associazione di tipo mafioso.
Senz’altro più corretta si era invece rivelata la decisione del Giudice delle indagini preliminari che aveva optato per la più adeguata misura cautelare degli arresti domiciliari in ragione del ruolo di partecipazione all’attività di spaccio sostanze stupefacenti; si osserva come, per la giovane età, per la mancata contestazione di reati fine, per l’assenza di minacce e di contatti con altri sodali ad eccezione del padre, il rischio di reiterazione potesse essere contenuto con la sola misura cautelare degli arresti domiciliari.
NOME COGNOME deduce ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. vizi di motivazione e violazione dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
La difesa osserva come il COGNOME rivestisse un ruolo marginale nel contesto associativo in quanto, tra il 26 maggio ed il 28 novembre 2022, avrebbe effettuato il “pusher” insieme a NOME COGNOME nel territorio di Mugnano di Napoli. Contrariamente alla quasi totalità degli altri indagati del presente procedimento, non risulta essere stato destinatario di misura cautelare in carcere per aver fatto parte dell’associazione mafiosa.
Si deduce, altresì, l’illogicità dell’ordinanza che ha ritenuto adeguata la misura cautelare in carcere che il Tribunale non ha invece applicato nei confronti di NOME COGNOME nonostante costui, al contrario del COGNOME, avesse subito un sequestro di sostanza stupefacente.
Grava sul Russo, inoltre, un solo precedente penale con pena sospesa e un carico pendente ex artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990 per fatti commessi nel 2020.
Anche il COGNOME come gli altri indagati per i quali il Tribunale non ha sostituito – aggravandola – la misura cautelare, non risulta aver commesso condotte di reato successivamente ai fatti per cui si procede.
L’arresto avvenuto nel luglio del 2023, prossimo ai fatti contestati, non poteva ritenersi precedente, tenuto conto che il Russo aveva assunto un comportamento rispettoso delle prescrizioni che gli erano state imposte.
Non è stato apprezzato il tempo trascorso dalla commissione del reato e la modalità di realizzazione della condotta tale da escludere la attualità e la concretezza delle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili in quanto generici e manifestamente infondati.
Si premette che l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede, in ipotesi di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n 309 del 1990, una presunzione relativa sia in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, sia in ordine all’adeguatezza della misura cautelare in carcere; analoga presunzione viene prevista relativamente alle ipotesi di reato aggravate dall’art. 416-bis.1 cod. pen.
Dette presunzioni possono essere superate solo tramite idonee e precise allegazioni da cui possa inferirsi l’assenza del rischio di recidiva, ovvero l’adeguatezza di differente misura.
Questa Corte ha avuto modo di precisare che, specie in ordine alle ipotesi di reato associativo ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., talché, risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo delitto, circa la tendenziale stabilità del sodalizio in difetto elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo (Sez. 6, n. 3096 del 28/12/2017, 2018, COGNOME, Rv. 272153).
Ciò premesso in termini generali /deve rilevarsi l’inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME là dove, seppure genericamente, deducono vizi di motivazione e violazione di legge in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, aspetto non devoluto dal Pubblico Ministero attraverso gli appelli ex art. 310 cod. proc. pen. tesi a rivolgere censure alla sola scelta della misura cautelare degli arresti donniciliari da parte del Giudice delle indagini preliminari (Sez. 5 / n. 23042 del 04/04/2023, Rv. 284544).
Manifestamente infondati e privi di confronto con la puntuale motivazione del Tribunale risultano tutti i motivi di ricorso.
Il Tribunale ha provveduto a dare ampia motivazione sulle ragioni per cui non ha ritenuto di condividere la conclusione in ordine alla sola scelta della misura cautelare domiciliare effettuata da parte del Giudice delle indagini preliminari, rilevando come non fosse stata presa in esame, oltre alla presunzione relativa operante in ordine all’ipotesi associativa circa l’adeguatezza della sola misura cautelare in carcere, la presunzione di analogo tenore derivante dalla contestuale contestazione provvisoria dell’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen., tenuto conto che i fatti contestati erano recenti (appena diciotto mesi dalla esecuzione della misura) e non fossero stati allegati elementi specifici positivi che facessero ritenere inadeguata la custodia in carcere, onde inferire il venir meno della pericolosità che, per legge, è necessario contenere con la sola misura inframuraria.
Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME lacune e rispettos. dei principi di diritto sopra enunciati, risultano le argomentazioni del Tribunale in ordine all’adeguatezza della misura cautelare in carcere / che ha assegnato rilevanza, non solo ai trascorsi penali del ricorrente per reati in materia di sostanze stupefacenti, invasione di edifici, rapina, violazione di legge doganale, costituzione e direzione di associazione dedita al narcotraffico dal 1993 al 2009, ma ha altresì evidenziato come fosse stato arrestato in data 7 luglio 2023 (epoca successiva alla contestata partecipazione al sodalizio) e condannato alla pena di anni quattro di reclusione perché ritenuto responsabile di aver commesso reati in materia di stupefacenti.
La sottoposizione del Pone alla misura cautelare quale gestore della “piazza di spaccio” di Napoli “Secondigliano-Scampia” sotto la direzione di NOME COGNOME ed il coinvolgimento in un reato che si pone in continuità con tale illecita attivit hanno fatto ritenere non rilevante il giudizio espresso dal Magistrato di sorveglianza circa il venir meno della pericolosità sociale in ragione della ritenuta occasionalità della violazione accertata, invero apprezzata senza che vi fosse contezza delle emergenze indiziarie circa la partecipazione del ricorrente al sodalizio dedito al narcotraffico.
A fronte di logica motivazione che ha fatto ritenere non significativo il contenuto del provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza, risulta preclusa la possibilità di assegnare allo stesso una tale portata da sovvertire il giudizio espresso in termini di adeguatezza della misura inframuraria, sottoponendo lo stesso al diretto vaglio da parte di questa Corte.
Irrilevante risulta l’ipotizzata differente valutazione operata in ordine ad altro indagato, dato dedotto che non è idoneo a confutare le ragioni poste alla base della mancata allegazione di elementi favorevoli ai fini della adeguatezza della misura prescelta.
Generico in quanto privo di effettiva censura risulta il ricorso di NOME COGNOME che, oltre a rivolgere precluse critiche alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, non oggetto di appello e comunque cristallizzate nell’ordinanza genetica, non prende in considerazione il valorizzato arresto per estorsione aggravata dall’art. 416-bis.1 cod. pen. del 3 febbraio 2023 e l’ordine di esecuzione pena per anni tre e mesi undici di reclusione che ha fatto ritenere( non superata la presunzione relativa di adeguatezza.
Priva di articolata censura è, altresì, il ricorso di NOME COGNOME che si limita ad esprimere un mero dissenso in ordine alle conclusioni raggiunte dal Tribunale rispetto a quelle, che reputa apoditticamente più adeguate, cui era pervenuto il Giudice delle indagini preliminari.
Il Collegio della cautela ha valorizzato il dato per cui il ricorrente era stat raggiunto da un’ordinanza custodiale che lo vedeva, insieme ad altri sodali, gravemente indiziato di aver preso parte, quale preposto al controllo dell’attività di spaccio nella zona di Scampia, al sodalizio mafioso denominato clan “Amato/Pagano sino al 13 settembre 2024, elemento apprezzato come determinante dell’adeguatezza della misura cautelare in carcere, aspetto della decisione impugnata non oggetto di censure.
Analoga genericità incontra il ricorso di NOME COGNOME che si limita a non condividere le ragioni della ritenuta inadeguatezza della misura diversa da quella custodiale in carcere, senza però confutare la complessiva valutazione dei precedenti penali cui il medesimo, nonostante la giovane età, risulta gravato, uno dei quali coevo alla contestata partecipazione all’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (che smentisce la prospettata rilevanza dell’assenza di contestazione dei reati fine alla base della valutazione difforme circa la adeguatezza operata dal Giudice delle indagini preliminari) per fatti dello stesso tenore commessi successivamente rispetto a quelli oggetto di contestazione provvisoria e tenuto conto del carico pendente che lo vedeva coinvolto in analoga associazione dedita al narcotraffico con condotta protrattasi sino al 2020.
Irrilevante, risulta, inoltre, la prospettata similitudine con la posizion processuale di altro partecipe del sodalizio, tenuto conto che la posizione di
art. 274 cod. proc.
ciascun coindagato deve essere autonomamente valutata ex
pen., e si fonda, in ordine al pericolo di recidivanza, oltre che sulla diversa entità
del contributo dei concorrenti alla realizzazione dell’illecito, anche su profi strettamente attinenti alla personalità del singolo (Sez. 4, n. 13404 del
14/02/2024, COGNOME Rv. 286363 – 01).
9. All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod.
proc. pen.
ex
10. L’intervenuta definitività della decisione impone, art. 310 comma 3,
cod. proc. pen., la comunicazione alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 26/06/2025.