Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9112 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9112 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOMECOGNOME nato a Polla il 28/05/1982, contro l’ordinanza del Tribunale di Potenza del 09/09/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 09/09/2024 il Tribunale di Potenza ha respinto l’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME contro il
provvedimento del GIP che, in data 25/07/2024, aveva applicato al ricorrente la misura della custodia cautelare in carcere ravvisando, nei suoi confronti, gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di tentata estorsione, calunnia e falsa denuncia, reati pluriaggravati anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen.;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 erronea applicazione ed inosservanza di norma processuale con riguardo all’art. 292, comma 2, lett. c) e c)-bis, cod. proc. pen. in punto di omessa motivazione in punto di concretezza ed attualità dei pericula paventati e carenza di motivazione circa la adeguatezza della misura della custodia in carcere: rileva che il GIP aveva ravvisato le esigenze di cui alle lett. a) e c) dell’art. 274 cod. proc. pen. di cui aveva ritenuto la attualità e concretezza ricorrendo ad una vuota formula di stile condivisa dal Tribunale della Libertà che, in tal modo, ha reso una decisione che confligge con i principi introdotti dal legislatore del 2015; segnala, infatti, che i giudici del riesame non hanno indicato quali sarebbero gli elementi “specifici” su cui è stata fondata la diagnosi di adeguatezza della misura adottata e sottolinea, a tal proposito, che manca ogni riferimento alle ragioni per le quali non sarebbe stato possibile ricorrere ad una misura gradata, quale quella della custodia domiciliare se del caso presidiata dal “braccialetto elettronico”; rileva che la denunziata carenza motivazionale riguarda anche il profilo della valutazione della proporzionalità della misura adottata rispetto alla sanzione che si ritiene possa essere adottata all’esito del processo e sottolinea, infine, la personalità del ricorrente, imprenditore, ben consapevole delle conseguenze dei suo gesto e che difficilmente potrà reiterare il reato contestato tenuto conto anche del periodo di pregressa applicazione della misura; esclude il ricorso di pericoli di inquinamento della prova su cui, pure, il provvedimento impugnato è carente; 4. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate e, prima ancora, generiche.
NOME COGNOME è stato attinto dalla misura della custodia cautelare in carcere in quanto (ritenuto) gravemente indiziato dei delitti di tentata estorsione pluriaggravata in concorso, simulazione di reato e calunnia pluriaggravata in concorso: in tutti i casi i fatti erano stati contestati “… con l’aggravante di a
commesso il fatto avvalendosi del metodo mafioso, consistito nell’avocare e fare leva sulla p.o. e sui terzi circa la riconducibilità dell’azione a soggetti appartenenti all’organizzazione criminale dei casalesi, avvalendosi della relativa forza di intimidazione che pronnana dal sodalizio camorristico tutt’ora operante in Caserta, utilizzando altresì in maniera credibile la relativa modalità d’azione delittuosa …” (cfr., per il capo 1) ovvero “… di aver utilizzato il metodo mafioso nel simulare il predetto reato di cui al capo 1), consistito nell’evocare e fare leva circa la riconducibilità dell’azione a soggetto appartenenti all’organizzazione criminale dei casalesi, avvalendosi della relativa forza d’intimidazione che promana dal sodalizio camorristico tutt’ora operante in Caserta, utilizzandone altresì in maniera credibile la relativa modalità d’azione delittuosa” (cfr., per il capo 2).
Ebbene, il ricorso denunzia – in maniera peraltro promiscua – violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato con esclusivo riguardo al profilo della sussistenza ed intensità delle ravvisate esigenze cautelari denunciando, per un verso, la inadeguatezza della valutazione operata dai giudici del riesame in merito alla gravità e concretezza del rischio di recidivanza e, dall’altro, di quella concernente la adozione della misura di massimo rigore in luogo di altra, più gradata, comunque idonea a salvaguardare il pur ravvisato periculum libertatis.
Nessuna censura, invece, investe il profilo della gravità indiziaria e, soprattutto, la valutazione relativa alla sussistenza della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. che i giudici della cautela hanno giudicato ricorrere sia nella declinazione del metodo che in quella dell’agevolazione di uno gruppo criminale con le caratteristiche delineate dall’art. 416-bis cod. pen..
Tanto premesso, è utile ribadire, in primo luogo, che l’apprezzamento della pericolosità dell’indagato sottoposto alla misura coercitiva in ordine alla adeguatezza o meno di una misura rispetto ad un’altra, apprezzabile come più idonea a garantire il pur ravvisato pericolo di reiterazione nel reato, si risolve in un giudizio proprio del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se – come si deve ritenere sia senz’altro avvenuto nel caso di specie congruamente e logicamente motivato (cfr., Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, COGNOME NOME, Rv. 275851 – 01; Sez. 6, n. 17314 del 20/04/2011, COGNOME, Rv. 250093 – 01).
Nel caso che ci occupa, il Tribunale ha congruamente e puntualmente apprezzato il profilo del periculum che, con motivazione non censurabile in questa sede, ha valutato tenendo conto della vicenda complessiva che ha visto quale protagonista l’odierno ricorrente e che ha consentito di tracciarne in termini congrui la personalità e lo spessore criminale su cui è stato incardinato il giudizio
prognostico in merito al pericolo di reiterazione; in particolare, il provvedimento ha insistito sulla spiccata propensione a delinquere del COGNOME quale evincibile dalla spregiudicatezza con cui costui – mosso da un movente economico – non aveva avuto alcuno scrupolo di coartare la volontà dei prossimi congiunti simulando un pericoloso rapimento in suo danno del tutto incurante dei riflessi e delle conseguenze anche di carattere psicologico ricadenti su costoro.
Analogamente i giudici del riesame hanno argomentato sulla esistenza del rischio di inquinamento probatorio fondato sui plurimi tentativi di depistaggio delle indagini messi in atto dal COGNOME.
In tal modo, il Tribunale ha motivato in termini coerenti con l’orientamento condiviso dal collegio secondo cui il requisito dell’attualità del pericolo previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (cfr., Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891 – 01;Sez. 6, n. 8211 del 11/02/2016, COGNOME, Rv. 266511 – 01; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, COGNOME, Rv. 269684 – 01).
4. Il ricorso, d’altra parte, non considera che i reati provvisoriamente ascritti all’imputato risultano – come accennato – aggravati ai sensi dell’art. 416bis.1 cod. pen. su cui è fondata la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., disposizione prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; in definitiva, se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., detta presunzione porta a affermare la sussistenza, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, dei caratteri di attualità e concretezza del pericolo (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766 02; Sez. 2, n. 3105 del 22/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269112 – 01, in cui la Corte ha chiarito che la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7 L. n. 203 del 1991 determina una presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di recidiva, superabile solo dalla prova, offerta dall’interessato, di elementi da cui desumere l’affievolimento o la cessazione di ogni esigenza cautelare, sicché, in difetto di detta prova, l’onere motivazionale incombente sul giudice ai sensi
dell’art. 274 cod. proc. pen. deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un’attenuazione delle esigenze di prevenzione; conf., ancora, recentemente. Sez. 2, n. 24553 del 22/03/2024, COGNOME, Rv. 286698 – 01).
Nessun dubbio, inoltre, che la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere per determinate fattispecie incriminatrici, prevista dagli artt. 275, comma 3, e 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., deve intendersi riferita anche ai delitti tentati in caso d contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., atteso che il generico riferimento ai «delitti», indipendentemente dallo specifico titolo di reato, deve ritenersi comprensivo di ogni fattispecie delittuosa, sia consumata che tentata (cfr., Sez. 2, n. 22096 del 3/07/2020, COGNOME, Rv. 279771-01; conf., Sez. 2, n. 23935 del 04/05/2021, Alcamo, Rv. 283176-01, resa in una ipotesi di tentata estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. ed in cui la Corte ha precisato che deve essere al contrario esclusa l’operatività delle presunzioni di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. per i delitti tentati in relazione alle ipotesi di reato indicate in modo specifico dal legislatore).
Il ricorso, come accennato, trascura del tutto questo dato risultando perciò assolutamente generico.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000, in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 9.1.2025