Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44101 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 44101 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 18/03/1986
avverso l’ordinanza del 06/06/2024 del Tribunale del riesame di Catanzaro
visti gli atti, l’ordinanza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del difensore, ricorre avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro, adito ex art. 309 cod. proc. pen., che ha confermato la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice delle indagini preliminari di Catanzaro relativamente ai delitti di associazione dedita al narcotraffico e plurimi reati-fine ex artt. 73 e 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capi A, P, Q, R, S e T).
Secondo la contestazione provvisoria NOME COGNOME è accusato di aver assunto il ruolo di vertice, promotore, dirigente e organizzatore del sodalizio dedito al narcotraffico insistente sul territorio di Girifalco, provvedendo all’acquisto di
grandi quantità di sostanza stupefacente del tipo cocaina, alla sua custodia in terreni di proprietà della famiglia, al relativo confezionamento e vendita attraverso intermediari; nell’ambito di tale contesto associativo NOME COGNOME è accusato di plurimi reati fine.
Il ricorrente deduce, quale unico motivo, vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in ordine all’adeguatezza della misura cautelare in carcere.
La difesa contesta la parte della decisione che ha illogicamente escluso una dissociazione di NOME COGNOME nonostante fosse stato tratto in arresto nel dicembre 2022 e, elemento determinante, dal 5 maggio 2023 fosse stata sostituita la misura custodiale in carcere con quella degli arresti domiciliari con dispositivo di controllo elettronico a distanza ed il divieto di poter incontrare gli altri indagati.
Contrariamente a quanto avvenuto in ambito carcerario, ove era stato invece autorizzato ai colloqui in carcere con i genitori, sarebbe stata preclusa ogni interlocuzione con i presunti concorrenti del delitto associativo in ipotesi di richiesta sostituzione della misura.
L’insussistenza del rischio di poter incontrare altri familiari, oltre a quello conviventi, qualora sottoposto al regime domiciliari è dimostrata dall’assenza di violazioni delle prescrizioni imposte nel periodo di quasi un anno in cui il ricorrente è stato sottoposto a misura cautelare degli arresti domiciliari e autorizzato a svolgere regolare attività lavorativa.
Illogica risulta, altresì, la mancata valorizzazione della palesata volontà del ricorrente di voler cambiare vita, espressa al personale di polizia giudiziaria addetta al controllo della misura domiciliare, tanto da indicare il luogo ove erano stati custoditi trenta grammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
Si premette che il Tribunale della cautela ha evidenziato la ramificata e diffusa attività di spaccio di sostanze stupefacenti cui era interessato il sodalizio dedito al narcotraffico operante sul territorio di Girifalco; ha richiamato le plurime fonti da cui si evinceva un’attività illecita portata avanti in forma organizzata con al vertice proprio il ricorrente NOME COGNOME che acquistava consistenti partite di stupefacente del tipo cocaina, stoccate in terreni di proprietà della famiglia, provvedeva al controllo degli stessi onde ovviare ai rischi di intervento da parte
delle forze di polizia, alla suddivisione in dosi che poi cedeva ai sodali, molti dei quali collegati da rapporti familiari.
Deve rilevarsi che l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede una presunzione relativa sia in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, sia in ordine all’adeguatezza della misura cautelare in carcere; dette presunzioni possono essere superate tramite idonee e precise allegazioni da cui possa inferirsi l’assenza del rischio di recidiva,.ovvero l’adeguatezza di differente misura.
In tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., di talché, risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo delitto, circa la tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo (Sez. 6, n. 3096 del 28/12/2017, 2018, COGNOME, Rv. 272153).
Preso atto dell’intervenuta sostituzione della misura cautelare con quella degli arresti donniciliari in data 15 luglio 2024, corretta e completa si presenta la motivazione contenuta nel provvedimento con riferimento alle esigenze cautelari, avendo il Collegio della cautela provveduto ad evidenziare, conformemente ai principi di diritto sopra espressi, dopo aver ripercorso la consistenza e gravità delle condotte di reato contestate, il ruolo di vertice del ricorrente, il suo inserimento da lunga data nel contesto associativo dal medesimo capeggiato, gli elementi significativi del pericolo, attuale e concreto, di recidiva, da un lato, ed adeguatezza della misura cautelare in carcere, nelle more sostituita, dall’altro.
Il Tribunale ha evidenziato quali fossero le esigenze cautelari da salvaguardare, dando conto dell’esistenza della presunzione normativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., dell’assenza di elementi da cui potersi evincere l’interruzione del vincolo associativo, sia perché le indagini avevano fatto emergere come il sodalizio avesse proseguito la sua azione anche successivamente all’arresto di COGNOME, sia perché proprio attraverso la intercettazione di colloqui effettuato in carcere a seguito dell’arresto avvenuto il 27 novembre 2022, si aveva la conferma della attiva perdurante influenza del ricorrente che non aveva dismesso la rilevante funzione apicale ricoperta all’interno dell’associazione dedita al narcotraffico, dando indicazione ai genitori in merito alle modalità attraverso cui
provvedere a riscuotere i debiti per le forniture effettuate, inviare missive e coordinare le attività degli associati ed indicare loro come informarsi della situazione all’esterno.
Sono state evidenziate le funzioni di primo piano svolte da COGNOME e, aspetto determinante in ordine allo specifico motivo dedotto, assegnata rilevanza all’articolata rete di rapporti personali ed economici intessuta da costui, ritenendo che la misura cautelare fosse l’unica adeguata onde evitare la reiterazione di analoghe condotte di reato e, in particolare, la ripresa della funzione di vertice nel contesto associativo di provenienza.
La questione connessa all’adeguatezza della misura cautelare in carcere, invero, pur dedotta nel ricorso e correttamente affrontata dal Tribunale, risulta ormai superata alla luce dell’intervenuta sostituzione della stessa misura con quella degli arresti domiciliari. Per nulla illogica, pertanto, si rivela la parte della decisione che, in risposta alla deduzione che in quella sede di gravame era intesa ad accreditare la volontà di “cambiare vita”, resa esplicita attraverso l’indicazione del luogo ove erano occultati circa trenta grammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, ne ha evidenziato l’irrilevanza in ragione della mancata disponibilità nel ricorrente a fornire informazioni ulteriori o elementi investigativi utili.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07/11/2024.