Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29585 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29585 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/07/2025
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da
SALVATORE DOVERE
– Presidente –
Sent. n. sez. 759/2025
NOME COGNOME
CC – 09/07/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 13259/2025
NOME
NOME COGNOME
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sui ricorsi proposti da:
NOME nata a Napoli il 20/02/1969 NOME COGNOME nato a Caserta il 25/03/1980
avverso l’ordinanza del 25/03/2025 del Tribunale di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; dei ricorsi;
udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto udito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Locri, in difesa di NOME COGNOME che illustra i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento; udito l’Avv. NOME COGNOME del foro di Reggio Calabria, in difesa di NOME COGNOME che illustra i motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento;
Con ordinanza del 25 marzo 2025, in accoglimento dell’appello proposto ex art. 310 cod. proc. pen. dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Reggio Calabria, il Tribunale di Reggio Calabria ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere: 1) nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi A40 e A58; 2) nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui ai capi A40, A58, A59 e A59bis .
1.1. Più in particolare, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati raggiunti dalla misura cautelare personale della custodia in carcere con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, per aver fatto parte, dal 2014, con ruolo apicale, di una organizzazione dedita al narcotraffico (capo A39), finalizzata a commettere una pluralitˆ di delitti di importazione, trasporto, detenzione, cessione a terzi di cocaina proveniente dal Sudamerica.
Sodalizio con base in San Luca (RC) e articolazioni in Campania, Olanda, Belgio, Germania, Colombia, Panama e Guyana.
Il provvedimento cautelare ha riguardato anche una serie di delitti scopo, consistenti nella importazione di ingenti quantitˆ di cocaina (capi A40, A41, A58, per la Campagna ed il Rubino; capi A59 e A59 bis per il solo Rubino, in concorso con altri).
In esito al giudizio di primo grado sono state escluse l’aggravante dell’ingente quantitˆ per il delitto di cui al capo A59, e l’aggravante dellÕagevolazione mafiosa, contestata per il delitto associativo e per il reato fine di cui al capo A41.
In esito, invece, al giudizio di appello, i reati scopo di cui ai capi A40, A58, A59 sono stati ritenuti nella forma tentata, mentre è stata esclusa l’aggravante della c.d. transnazionalitˆ; il Rubino e la Campagna sono stati quindi condannati dalla Corte reggina alla pena di anni trenta di reclusione, determinata in applicazione del criterio di cui all’art. 78 cod. en.
Su ricorso degli imputati, la Corte di cassazione, con sentenza del 21 gennaio 2025, ha annullato con rinvio la condanna in relazione al delitto associativo al capo A39 ed al reato di cui al capo A41, rigettando nel resto i ricorsi.
1.2. Con ordinanze del 5 e del 6 febbraio 2025, la Corte di appello di Reggio Calabria, su istanza del difensore della Campagna e d’ufficio per il COGNOME, ha sostituito nei loro confronti la misura della custodia in carcere con le misure cumulativamente applicate dell’obbligo di dimora (con divieto di allontanamento notturno dall’abitazione), e dell’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia
giudiziaria, richiamando le “necessarie valutazioni imposte dalla pronuncia della Corte di cassazioneÓ.
Su impugnazione del Procuratore Generale, come anticipato, il Tribunale dellÕappello cautelare ha applicato nuovamente la custodia cautelare in carcere.
Indiscusso il superamento dei termini di fase per i reati di cui ai capi A39 e A41, in ragione dellÕannullamento con rinvio, il Tribunale ha ritenuto che per i restanti reati Ð per i quali la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso – non fossero ancora decorsi i termini massimi di custodia dalla data di esecuzione (5 dicembre 2018 per la Campagna, 20 febbraio 2020 per il Rubino), in quanto: 1) per i reati di cui ai capi A40, A58 e A59 bis (qualificati come tentativi di importazione di ingenti quantitˆ di cocaina) tale termine, comprensivo dei periodi di sospensione, doveva ritenersi pari ad anni 9; 2) per il reato di cui al capo A59 (qualificato come tentata importazione di cocaina) tale termine, comprensivo dei periodi di sospensione, doveva ritenersi pari ad anni 6.
Il Tribunale ha ritenuto, inoltre, che nellÕapplicare lÕart. 300, comma 4, cod. proc. pen., non debba tenersi conto della sola pena disposta a titolo di continuazione, ma dell’intera sanzione cos’ come irrogata; ci˜ in quanto i limiti di durata posti dall’art. 300, comma 4, e dall’art. 303 cod. proc. pen. hanno una funzione diversa, che non consente di imputare la durata della custodia cautelare presofferta ad uno solo dei reati posti in continuazione.
Inoltre, trattandosi di misure applicate anche per i reati c.d. satellite, il Tribunale ha ritenuto improprio il richiamo ai ripetuti interventi delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 25956 del 26/03/2009, COGNOME, Rv. 243588 Ð 01; Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, COGNOME, Rv. 207939 Ð 01), relativi, invece, alla perdita di efficacia della custodia cautelare applicata soltanto per il reato satellite.
Infine, i giudici dellÕappello cautelare hanno ritenuto, pur a fronte del tempo decorso, la misura di massimo rigore ancora proporzionata allÕintensitˆ delle esigenze cautelari di cui allÕart. 274, lett. b) e c), cod. proc. pen., in ragione della pessima biografia penale, del contesto (anche relazionale) in cui sono maturati i reati, della prognosi sanzionatoria e, per il solo COGNOME, del suo arresto eseguito dopo un periodo di latitanza trascorso in Colombia.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione della legge penale processuale e vizio della motivazione, avendo il Tribunale ritenuto concreto ed attuale tanto il pericolo di reiterazione quanto il pericolo di fuga della Campagna.
Pur sottolineando come giˆ con lÕoriginaria istanza fu posto il tema del decorso dei termini di durata della misura, il ricorrente lamenta che il Tribunale cautelare, diversamente dalla Corte di appello, non ha tenuto in alcuna considerazione gli sviluppi della complessa vicenda processuale (ad es., in relazione al venire meno dellÕaggravante del contesto mafioso), per trarne elementi di valutazione quanto allÕaffievolimento delle esigenze cautelari.
Sviluppi che, invece, avrebbero dovuto indurre il Collegio adito ex art. 310 cod. proc. pen. a fare applicazione dei principi generali in materia di adeguatezza e proporzionalitˆ del trattamento cautelare, una volta escluso ogni collegamento con contesti di criminalitˆ organizzata, annullati i capi A39 ed A41, ed ormai avviata la collaborazione con la giustizia del fratello del COGNOME.
D’altra parte, a seguito della riforma del 2015, la valutazione in ordine alla attualitˆ e concretezza delle esigenze cautelari deve essere condotta riguardo non alla sola gravitˆ del fatto o al solo giudizio sulla personalitˆ negativa dell’imputato (come invece fatto dal Tribunale), ma in relazione alla certezza o elevata probabilitˆ che all’imputato si presenti effettivamente l’occasione per commettere altri delitti (si cita Sez. 3, n. 37087 del 19/05/2015, Marino, Rv. 264688 – 01); quanto, invece, al pericolo di cui alla lett. b) dellÕart. 274 cod. proc. pen., il Tribunale avrebbe dovuto indicare gli elementi concreti ritenuti indicativi del fatto che l’imputato si stesse per dare alla fuga.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio della motivazione, quanto alla ritenuta inadeguatezza della misura domiciliare, seppur assistita dalle modalitˆ di controllo di cui allÕart. 275bis cod. proc. pen.
Dopo aver richiamato il disposto di cui allÕart. 275, comma 3, cod. proc. pen., che consente lÕapplicazione cumulativa delle misure personali se idonee ad evitare il ricorso alla misura di massimo rigore, il ricorrente evidenzia che il giudizio sulla inadeguatezza della misura domiciliare Ð richiesta in subordine dallo stesso Procuratore appellante Ð è fondato su una motivazione apparente che ignora sia la non operativitˆ della doppia presunzione di cui allo stesso comma 3 (secondo periodo), sia gli sviluppi della vicenda processuale, fondando la sua valutazione su circostanze di fatto superate dallÕaccertamento sul merito della imputazione.
Propone ricorso per cassazione anche COGNOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
3.1. Con il primo motivo si deduce violazione della legge penale processuale e vizio della motivazione, avendo il Tribunale erroneamente applicato i principi di diritto in materia di perdita di efficacia delle misure cautelari, essendo la pena
irrogata per i reati in continuazione pari ad anni 3 e mesi 4 di reclusione, dunque inferiore alla durata della custodia giˆ espiata (pari ad anni 5).
Osserva il ricorrente che dai ripetuti interventi delle Sezioni Unite, pure richiamati dal Tribunale, è possibile trarre il principio per cui i termini ÒcondannaÓ e Òpena irrogataÓ, contenuti nellÕart. 300, comma 4, cod. proc. pen., debbono necessariamente essere intesi in relazione alla ÒcondannaÓ ed alla Òpena irrogataÓ per i soli reati per i quali permane il titolo cautelare.
D’altra parte, è lo stesso Tribunale ad ammettere l’intervenuta perdita di efficacia della misura relativamente ai reati di cui ai capi A39 e A41; per cui, per stabilire se la durata della custodia sofferta fosse uguale o addirittura superiore alla pena irrogata, occorreva fare riferimento allÕaumento fissato ex art. 81 cod. pen. per i reati per i quali ancora doveva ritenersi in atto la misura cautelare.
Il ricorrente reputa inoltre incongruo il richiamo, operato dal Tribunale, ad un precedente arresto di legittimitˆ (Sez. 6, n. 37701 del 12/07/2023, Lazri, non mass.), poichŽ relativo al caso, non ricorrente nella specie, in cui il titolo custodiale sia ancora valido ed efficace anche per il reato più grave tra quelli per i quali è riconosciuto il vincolo della continuazione.
Richiama, invece, il dictum di Sez. 6, n. 28984 del 28/05/2013, COGNOME, Rv. 255859 Ð 01, secondo cui in caso di condanna non definitiva per reato continuato, al fine di valutare l’eventuale perdita di efficacia ex art. 300, comma quarto, cod. proc. pen. della custodia cautelare applicata soltanto per il reato satellite, la pena alla quale occorre fare riferimento è quella inflitta come aumento per tale titolo, anche quando la stessa possa essere rideterminata negli ulteriori gradi di giudizio.
3.2. Con il secondo motivo si deduce violazione della legge penale processuale e vizio della motivazione, non avendo il Tribunale preso in considerazione il progressivo contenimento degli addebiti nei vari gradi di giudizio (esclusione delle aggravanti dellÕagevolazione mafiosa e del reato transnazionale; riqualificazione dei reati di importazione nella forma tentata; annullamento con rinvio in relazione al reato associativo, oggetto della doppia presunzione in punto di esigenze), da intendersi quale novum valutabile al fine di ritenere affievolite le originarie esigenze cautelari, anche alla luce della risalenza nel tempo delle condotte e del tempo trascorso in misura.
Quanto poi al pericolo di reiterazione, il Tribunale avrebbe dovuto fondare il suo giudizio in termini di concretezza ed attualitˆ, senza limitarsi a mere affermazioni di stile, come quelle relative alla reiterazione di condotte, peraltro assai risalenti nel tempo.
La motivazione valorizza alcuni indicatori – i pretesi collegamenti con la criminalitˆ organizzata – che sembrano richiamare quella fattispecie associativa per la quale, invece, il titolo cautelare ha perso efficacia.
In relazione al pericolo di fuga, poi, il Tribunale ha inteso valorizzare i contatti del Rubino con soggetti dimoranti allÕestero, senza per˜ confrontarsi con la pacifica affermazione di legittimitˆ secondo cui il pericolo di fuga presuppone l’esistenza di elementi indicativi della volontˆ dell’indagato di allontanarsi e quindi di sottrarsi alla giustizia: elementi non identificabili con la semplice esistenza di collegamenti allÕestero (si citano Sez. 5, n. 5821 del 13/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272107 Ð 01, e Sez. 3, n. 4635 del 01/07/2015, dep. 2016, Vida, Rv. 266266 Ð 01).
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione orale, e le parti hanno formulato le conclusioni come in epigrafe indicate.
I ricorsi sono infondati, e vanno rigettati.
Iniziando dal ricorso proposto nellÕinteresse di NOME COGNOME il primo motivo è infondato.
2.1. Sostiene il ricorrente che, a seguito dellÕannullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione, con conseguente perdita di efficacia della misura per il reato associativo (ritenuto più grave), per determinare la perdita di efficacia ai sensi dellÕart. 300, comma 4, cod. proc. pen. per i reati satellite, occorre fare riferimento alla pena inflitta solo per questi ultimi.
La questione posta consiste quindi nello stabilire cosa si debba intendere per ÒcondannaÓ e per “pena irrogata”, ai fini dellÕart. 300, comma 4, cod. proc. pen., nel caso di condanna non definitiva per più reati in continuazione, di cui solo per alcuni – i reati satelliti, nel caso di specie Ð conservi efficacia la custodia cautelare.
Sul tema si sono succeduti due interventi delle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
Con un primo intervento questa Corte ha affermato che per “pena irrogataÓ, ai sensi dellÕart. 300, comma 4, cod. proc. pen., deve intendersi la pena inflitta per i reati per i quali è ancora efficace la custodia cautelare, non la pena determinata per l’intero reato continuato (Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, COGNOME, Rv. 207939 Ð 01; conf., Sez. 6, n. 31089 del 22/06/2004, COGNOME, Rv. 229502 Ð 01; Sez. 1, n. 4085 del 04/06/1999, COGNOME, Rv. 213947 Ð 01; Sez. 1, n. 4271 del 13/07/1998, COGNOME, Rv. 211333 Ð 01; Sez. 1, n. 4267 del 23/06/1997, COGNOME, Rv. 208625 Ð 01).
Valorizzando la ragione ispiratrice della disciplina della continuazione, istituto di favore per lÕimputato, le Sezioni Unite hanno evidenziato che il riferire la ÒpenaÓ inflitta di cui allÕart. 300, comma 4, cod. proc. pen. a quella complessivamente irrogata e, quindi, anche a quella parte della pena inflitta per i reati per i quali non v’è un provvedimento motivato dell’autoritˆ giudiziaria che legittimi la privazione della libertˆ, determinerebbe una violazione del principio di cui allÕart. 13 Cost.
Depone in tal senso, si è osservato, lÕart. 278 cod. proc. pen., secondo cui agli effetti della applicazione delle misure si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, aggiungendo, tra l’altro, che “non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reatoÓ.
Successive oscillazioni giurisprudenziali hanno determinato un nuovo intervento delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 25956 del 26/03/2009, Vitale, Rv. 243588 Ð 01), con il quale, in dichiarata continuitˆ con la sentenza COGNOME, si è affermato il principio per cui in caso di condanna non definitiva per reato continuato, al fine di valutare l’eventuale perdita di efficacia della custodia cautelare applicata soltanto per il reato satellite, la pena alla quale occorre fare riferimento è quella inflitta come aumento per tale titolo. Principio formulato sempre in un caso in cui la sentenza di condanna non definitiva aveva riguardato una serie di reati per alcuni dei quali (i reati satellite, appunto) era in corso la misura cautelare.
Con la sentenza Vitale le Sezioni Unite hanno evidenziato la stretta correlazione tra lÕart. 300, comma 4, e l’art. 275, comma 2, cod. proc. pen., che nell’enunciare il principio di proporzionalitˆ, fa esplicito riferimento al rapporto tra durata della custodia cautelare e pena “che sia stata o si ritiene possa essere irrogata”.
2.2. In tale contesto interpretativo vanno inquadrati i successivi interventi della giurisprudenza di legittimitˆ, tenendo presente la peculiaritˆ del caso in esame, che è data dal fatto che, come anticipato, per effetto della sentenza di annullamento con rinvio pronunciato dalla Corte di cassazione, la misura cautelare ha perso efficacia in relazione al più grave reato associativo (essendo decorso il termine di fase, per superamento del limite di cui allÕart. 304, comma 6, cod. proc. pen.), mentre invece per i reati c.d. satellite lÕaffermazione di responsabilitˆ è divenuta definitiva, senza per˜ che sia possibile individuare una pena concretamente eseguibile.
In simili ipotesi, al pari di quando l’annullamento interviene limitatamente all’entitˆ della pena irrogata, è pacifico in giurisprudenza che la misura cautelare permanga e che debba farsi riferimento, non più al termine di fase, ma solo a quello complessivo (Sez. 6, 4971 del 15/01/2009, COGNOME, Rv. 242915 – 01), il
cui mancato superamento, nella specie, non è oggetto di censura, a fronte della specifica motivazione del Tribunale (p. 5).
Ma, se la definitivitˆ esclude che debbano continuare ad applicarsi i termini di fase (art. 303, comma 1, lett. d, cod. proc. pen.), non altrettanto pu˜ dirsi rispetto allÕapplicazione dellÕart. 300, comma 4, cod. proc. pen., che è norma di carattere generale la cui funzione è quella di assicurare, nel corso del processo, la necessaria correlazione tra la cautela sofferta e la pena “che sia stata o si ritiene possa essere irrogata” (Sez. U, Vitale, cit.).
Facendo immediata applicazione di tali principi, Sez. 6, n. 28984 del 28/05/2013, COGNOME, Rv. 255859 Ð 01, richiamata anche dal ricorrente, ha affermato che in caso di condanna non definitiva per reato continuato, al fine di valutare l’eventuale perdita di efficacia ex art. 300, comma 4, cod. proc. pen. della custodia cautelare applicata soltanto per il reato satellite, la pena alla quale occorre fare riferimento è quella inflitta come aumento per tale titolo, anche quando la stessa possa essere rideterminata negli ulteriori gradi di giudizio (negli stessi termini, Sez. 6, n. 28985 del 28/05/2013, COGNOME non mass.).
Nel caso allora deciso gli imputati erano in cautela per i soli reati satellite, in relazione ai quali, per effetto dellÕannullamento con rinvio, la pena determinata in aumento avrebbe astrattamente potuto successivamente essere modificata (ad es., per effetto dellÕassoluzione dal reato più grave); lÕannullamento, invece, aveva riguardato il reato ritenuto più grave, rispetto al quale era quindi decorso il termine di fase, comprensivo delle sospensioni.
2.3. Tuttavia, la giurisprudenza più recente, cui il Collegio intende dare continuitˆ, ha sottolineato come i principi affermati dalle Sezioni Unite nelle sentenze COGNOME e COGNOME furono formulati in relazione ad una fattispecie diversa da quella in esame, ovvero in caso di condanna per uno o più reati avvinti dalla continuazione, qualora “solo” per il reato satellite Ð o per alcuni di essi – sia stata disposta la misura cautelare custodiale.
Si è quindi osservato che tali principi non possono tout court essere estesi alla diversa ipotesi in cui la custodia cautelare è stata applicata anche per il reato ritenuto più grave.
In tale ultima ipotesi, nell’applicazione dell’art. 300, comma 4, cod. proc. pen. deve prendersi in considerazione l’intera sanzione irrogata – nella specie, pari ad anni 30 di reclusione – e non solo di quella disposta a titolo di continuazione (Sez. 6, n. 46798 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285495 Ð 01).
La formulazione del diverso principio, si è condivisibilmente osservato, è coerente con la ratio dell’art. 300, comma 4, cod. proc. pen., il cui scopo è quello di adeguare la durata della custodia all’effettiva gravitˆ del fatto e alla pericolositˆ dell’imputato, ragion per cui occorre considerare la pena complessivamente inflitta
per tutti i reati per i quali è stata disposta la misura, senza tener conto delle singole componenti.
La conclusione è argomentata anche con riguardo alla diversa funzione cui assolvono le previsioni di cui agli artt. 300 e 303 cod. proc. pen.
I termini di durata massima, di cui all’art. 303 cod. proc. pen., prescindono infatti dalla pena concretamente irrogata, e sono ancorati ai limiti edittali, al fine di predeterminare la durata della misura cautelare in relazione alle fasi del giudizio, ed alla gravitˆ astratta dei reati per cui si procede.
L’art. 300, comma 4, cod. proc. pen., invece, codifica il principio per cui, poichŽ la cautela anticipa la pena, non ne pu˜ mai eccedere la durata, cos’ come in concreto determinata.
Si è infine sottolineato che, riguardando la misura anche il reato ritenuto più grave (rispetto al quale la pena irrogata è di gran lunga superiore alla durata della custodia cautelare), lÕapplicazione dell’art. 300, comma 4, cod. proc. pen. in riferimento alla sola pena inflitta per il reato satellite, Òimplicherebbe una non consentita imputazione della durata della custodia ad uno solo dei titoli custodiali, senza tener conto delle pene irrogate per gli altri reati ugualmente oggetto della misura cautelareÓ (Sez. 6, COGNOME, cit.).
Osserva inoltre il Collegio che tale interpretazione ben si coniuga con lÕattitudine dellÕart. 300, comma 4, cod. proc. pen. per cos’ dire ÒpreventivaÓ, a contenere il rischio che il condannato sia sottoposto a misura cautelare per un periodo più lungo rispetto alla pena detentiva inflittagli, e quindi a dar luogo ad una ipotesi di ingiusta detenzione valutabile ex art. 314 cod. proc. pen.
Al riguardo, la Corte costituzionale (sentenza 20 giugno 2008, n. 219), ha dichiarato la illegittimitˆ dell’art. 314 cod. proc. pen. “nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni”, rilevando che ove la durata della custodia cautelare abbia ecceduto la pena successivamente irrogata in via definitiva è evidente che l’ordinamento, al fine di perseguire le finalitˆ del processo e le esigenze di tutela della collettivitˆ, ha imposto al reo un sacrificio della libertˆ che travalica il grado della responsabilitˆ personale”.
La successiva giurisprudenza della Corte di cassazione ha quindi riconosciuto il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche nel caso di custodia cautelare subita in eccedenza rispetto alla misura della pena definitivamente inflitta (Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241855 – 01; Sez. 4, n. 6314 del 12/12/2023, dep. 2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 32357 dell’11/4/2012, COGNOME, Rv. 253651 – 01), purchŽ nella condotta del richiedente non siano individuabili condotte gravemente colpose che abbiano avuto un ruolo eziologico nella protrazione della restrizione della libertˆ (Sez. 4, 32136 del
11/04/2017, COGNOME Rv. 270420 – 01; Sez. 4, n. 17788 del 6/3/2012, COGNOME, Rv. 253504 – 01).
Se ci si pone in questa prospettiva, quindi, ci si avvede del fatto che gli artt. 300, comma 4, 314 e 657 cod. proc. pen., pur operando su piani diversi, ed in momenti diversi Ð la cautela, lÕespiazione, la riparazione – rappresentano altrettanti strumenti tesi ad impedire (prima) e a ristorare (poi), anche in forma specifica, i casi in cui la privazione della libertˆ si è rivelata ex post ingiusta.
Se, quindi, questa è la prospettiva, la pena inflitta per un reato per il quale la custodia cautelare è cessata per decorso del termine di durata deve essere tenuta in considerazione tanto ai fini della perenzione immediata di una misura fondata su più reati tra loro in continuazione, quanto ai fini della determinazione dei presupposti della detenzione riparabile ai sensi dellÕart. 314, comma 1, cod. proc. pen.
Il secondo motivo proposto nellÕinteresse del COGNOME, ed i motivi proposti nellÕinteresse della Campagna, che possono essere valutati congiuntamente riguardando la sussistenza e la intensitˆ delle esigenze cautelari, sono infondati.
3.1. Giova premettere al riguardo che, secondo il costante orientamento di questa Corte, allorquando si impugnano provvedimenti relativi a misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicitˆ della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 2613 del 14/01/2025, Perfetti, non mass.; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884 Ð 01; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178 Ð 01; Sez. 5, n. 46124 del 8/10/2008, COGNOME, Rv. 241997 – 01).
Questo perchŽ il controllo di legittimitˆ che la Corte è chiamata ad effettuare consiste nella verifica della sussistenza delle ragioni giustificative della scelta cautelare nonchŽ dell’assenza nella motivazione di evidenti illogicitˆ ed incongruenze, secondo un consolidato orientamento espresso dalle Sezioni unite (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 Ð 01), e successivamente ribadito dalle Sezioni semplici (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 Ð 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 – 01; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698 Ð 01).
Il vizio di motivazione di un’ordinanza, per poter essere rilevato, deve quindi assumere i connotati indicati nell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., e cioè riferirsi alla mancanza della motivazione o alla sua manifesta illogicitˆ, risultante dal testo del provvedimento impugnato, cos’ dovendosi delimitare lÕambito di applicazione
dellÕart. 606, lett. c, cod. proc. pen. ai soli vizi diversi (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, COGNOME, Rv. 199391 Ð 01).
Di conseguenza, quando la motivazione è adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici, il controllo di legittimitˆ non pu˜ spingersi oltre, coinvolgendo il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito sull’attendibilitˆ e la capacitˆ dimostrativa delle fonti di prova, nonchŽ sullÕesistenza e lÕintensitˆ delle esigenze cautelari.
Il controllo della Corte, quindi, non pu˜ estendersi a quelle censure che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze giˆ esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 Ð 01).
Anche in relazione all’indicazione delle ragioni per le quali eventuali misure gradate vengano ritenute inidonee e non proporzionate all’entitˆ e gravitˆ dei fatti di reato, in presenza di motivazione adeguata, le determinazioni del giudice a quo sfuggono al sindacato di legittimitˆ (Sez. 3, n. 3387 del 29/10/2024, Fall, non mass.; Sez. 3, n. 14 del 15/11/2023, dep. 2024, Tundis, non mass.; Sez. 4, n. 32974 del 04/06/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 2956 del 21/07/1992, Giardino, Rv. 191652 – 01).
SicchŽ, per quanto direttamente rileva in questa sede, esorbita i limiti propri del giudizio di legittimitˆ la valutazione della decisione sulla permanenza delle esigenze cautelari, se essa è stata espressa in una motivazione esente da errori giuridici o motivazionali (contraddittorietˆ o manifesta illogicitˆ).
3.2. Nella specie i ricorrenti lamentano che nella valutazione dei pericula libertatis i giudici cautelari non hanno tenuto in considerazione la risalenza nel tempo dei fatti per cui si procede (ad es. p. 12 ricorso Rubino, p. 9 ricorso Campagna).
Come osservato anche nellÕordinanza impugnata Ð che comunque reputa recessivo il fattore temporale in presenza di un allarmante quadro cautelare (p. 8) – costituisce ius receptum il principio secondo il quale, ai fini della revoca o della sostituzione della misura cautelare, l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della stessa, siccome qualificabile, in presenza di ulteriori elementi di valutazione, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari (Sez. 4, n. 22456 del 27/05/2025, COGNOME non mass.; Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590 – 01; Sez. 2, n. 12807 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 278999 – 01; Sez. 2, n. 46368 del 14/09/2016, COGNOME, Rv. 268567 Ð 01).
Non è pertinente, pertanto, il richiamo al c.d. “tempo silente”, ovvero al tempo trascorso dai fatti, il quale assume rilievo esclusivamente nella fase genetica.
3.3. Ci˜ posto, quanto al pericolo di reiterazione, il requisito dell’attualitˆ di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunitˆ di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilitˆ di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalitˆ realizzative della condotta, della personalitˆ del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidiva (Sez. 4, n. 25442 del 10/06/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 25450 del 17/06/2025, COGNOME non mass.; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 282891 – 01; Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767 – 01; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, Rv. 282991 – 01; Sez. 5, n. 1154 del 11/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282769 Ð 01).
In linea con tali principi, e contrariamente a quanto assumono i ricorrenti, il Tribunale non si è limitato ad evidenziare la gravitˆ dei reati contestati, ma ha ritenuto la sussistenza del pericolo di ricaduta desumendolo, innanzitutto, dalla pessima biografia penale.
La COGNOME – moglie di un noto capocosca siciliano – vanta infatti condanne per associazione di stampo mafioso, per reati in materia di stupefacenti, ed è stata più volte sottoposta alla misura della sorveglianza speciale.
Anche il COGNOME vanta condanne per reati in materia di stupefacenti e per reati contro il patrimonio.
LÕordinanza impugnata ha poi valutato la gravitˆ dei fatti, con riguardo alle specifiche modalitˆ di realizzazione della condotta, per desumerne una oggettiva professionalitˆ dei ricorrenti nel trattare ingenti partite di cocaina (fino a 170 kg circa), intessendo contatti con i narcotrafficanti sudamericani ma anche con esponenti della Ôndrangheta, con i quali la Campagna discuteva del sequestro di un carico di stupefacente.
Se il COGNOME ha offerto il suo contributo portandosi stabilmente in Colombia (ove pure trascorse la latitanza) e trattando direttamente con i narcos, la Campagna ha intessuto relazioni non solo nel territorio di riferimento del clan mafioso, ma anche in Campania (nel porto di Napoli veniva esfiltrato lo stupefacente) ed in Olanda, oltre ad essere risultata in contatto con narcotrafficanti brasiliani.
Tali elementi hanno portato il Tribunale a ritenere per entrambi i ricorrenti, in modo affatto illogico, un pressante pericolo di recidiva, a prescindere dalla presunzione di cui allÕart. 275, comma 3, cod. proc. pen.
DÕaltra parte, il Tribunale ha dimostrato di aver apprezzato, in chiave cautelare, non giˆ lÕesistenza di un contesto associativo o della finalitˆ agevolativa di sodalizi mafiosi (come invece rilevano ripetutamente i ricorrenti), quanto piuttosto il contesto relazionale in cui sono maturate le condotte, per trarne argomenti circa il rischio di ricaduta.
3.4. Quanto al pericolo di fuga, l’apprezzamento di tale esigenza cautelare deve essere vincolato a specifici e concreti elementi di fatto, rivelatori della rilevante plausibilitˆ che l’indagato, se lasciato in libertˆ, si sottragga alla pretesa di giustizia; anche in questo caso, la valutazione è insindacabile in sede di legittimitˆ, ove si caratterizzi per uno sviluppo argomentativo logico e consequenziale quanto al significato da attribuire, secondo canoni di ragionevolezza, alle emergenze procedimentali (Sez. 4, n. 7230 del 07/02/2024, COGNOME, non mass.).
Il Collegio ritiene, inoltre, che il pericolo di fuga non debba necessariamente essere ancorato allÕaccertamento di elementi indicativi della volontˆ dell’indagato di allontanarsi e quindi di sottrarsi alla giustizia (come invece prospettano i ricorrenti: ad es., p. 21 ricorso COGNOME).
Si è infatti condivisibilmente osservato che il requisito della attualitˆ del pericolo di fuga non comporta necessariamente l’esistenza di condotte materiali che rivelino l’inizio dell’allontanamento o che siano comunque espressione di fatti ad esso prodromici, essendo sufficiente accertare, con giudizio prognostico ma pur sempre verificabile, perchŽ ancorato alla concreta situazione di vita del soggetto, alle sue frequentazioni, ai precedenti penali, alle pendenze giudiziarie e, più in generale, a specifici elementi vicini nel tempo, l’esistenza di un effettivo e prevedibilmente prossimo pericolo di allontanamento, che richieda un tempestivo intervento cautelare (Sez. 2, n. 21907 del 15/05/2025, Varvato, non mass.; Sez. 4, n. 20785 del 16/05/2024, Xiao, non mass.; Sez. 4, n. 24004 del 16/05/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 48103 del 27/09/2018, Roncali, Rv. 274220 Ð 01, in un caso in cui i giudici cautelari avevano valutato, come nella specie, indici quali il pregresso trasferimento allÕestero, lo svolgimento in quel paese di attivitˆ delittuosa, lÕinstaurazione di una rete di collegamenti, il passato delinquenziale e l’entitˆ della pena inflitta).
In linea con tali approdi giurisprudenziali, il Tribunale ha fondato la propria valutazione sia sulla pena irrogabile in esito al giudizio, sia sui rapporti con contesti di criminalitˆ organizzata, come visto anche di stampo mafioso, ove vi è consuetudine alla latitanza.
Con specifico riferimento alla posizione del Rubino, il Tribunale ha inoltre evidenziato che nei suoi confronti la misura cautelare fu eseguita soltanto il 10 febbraio 2020, allorquando egli fu tratto in arresto in Colombia, dove aveva
trascorso un periodo di latitanza (p. 8); luogo dal quale, come visto, aveva organizzato le importazioni di cocaina.
Insegna al riguardo la giurisprudenza di legittimitˆ che è ben possibile desumere il pericolo di fuga dal concreto comportamento dell’indagato al momento del fatto, sintomatico di un atteggiamento tendente a sottrarsi alle conseguenze legali dei propri atti, e dalla sua condotta processuale, sintomatica dell’intento di allontanarsi dal territorio nazionale (Sez. 1, n. 41334 del 14/07/2022, Duri, Rv. 283679 Ð 01; Sez. 3, n. 36909 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 265175 Ð 01).
Non pu˜ quindi tacciarsi di illogicitˆ il percorso argomentativo dellÕordinanza impugnata, poichŽ anche in ragione della sentenza emessa (e del definitivo accertamento di responsabilitˆ su una serie di reati Ð fine), è stato ritenuto concreto il pericolo che i ricorrenti, ove non cautelati, si diano alla fuga, anche al di fuori del territorio italiano.
3.5. Il Tribunale ha anche valutato l’inidoneitˆ di misure coercitive meno afflittive, poichŽ ritenute non sufficienti a recidere gli stretti legami tra i ricorrenti ed il contesto in cui sono maturati gli illeciti; da tale rete di relazioni, ha quindi tratto il convincimento che ogni altra misura cautelare sarebbe elusa.
Inoltre, senza incorrere in alcun vizio logico, ha ritenuto la necessitˆ di applicare la misura di massimo rigore in considerazione del fatto che i ricorrenti si erano serviti di sofisticati strumenti di comunicazione a distanza, idonei a sfuggire Ð o quantomeno ad ostacolare Ð eventuali attivitˆ di intercettazione.
Se ne è tratta la conclusione, affatto illogica, che gli arresti domiciliari, quantunque assistiti dal controllo elettronico, non potrebbero scongiurare il pericolo di reiterazione del reato, mediante l’uso di dispositivi elettronici ovvero di strumenti informatici.
Il Tribunale, sempre nel più ampio quadro cautelare, ha poi espressamente considerato recessiva, con motivazione ancora una volta immune da censure, la prospettiva lavorativa documentata dal Rubino (pp. 8 e 9).
Si tratta anche in questo caso di argomentazioni congrue, non manifestamente illogiche, ed in linea con i principi di diritto enunciati da questa Corte.
3.6. Infondato appare, infine, il richiamo fatto alla previsione di cui al primo periodo dellÕart. 275, comma 3, cod. proc. pen. (p. 13 ricorso Campagna), per dedurre un vizio dellÕordinanza, nella misura in cui non è stata valutata lÕadeguatezza della applicazione cumulativa delle misure coercitive o di interdittive, quale strumento per evitare il ricorso alla custodia cautelare in carcere.
Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha infatti affermato Ð e va qui ribadito – il principio per cui l’applicazione cumulativa di misure cautelari personali pu˜ essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge (ad es. artt. 276 e 307 cod. proc. pen.), tra i quali non rientra il procedimento di cui allÕart. 299 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 29907 del 30/05/2006, La Stella, Rv. 234138 Ð 01; Sez. 2, n. 30900 del 08/09/2020, Vallese, Rv. 280003 Ð 01, con specifico riferimento alla sostituzione della misura con altra meno afflittiva, ai sensi dell’art. 299, comma 2, cod. proc. pen.; Sez. 4, n. 32944 del 23/02/2005, COGNOME, Rv. 231725 Ð 01).
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, ai sensi dellÕart. 616 cod. proc. pen.
La cancelleria provvederˆ agli adempimenti di cui allÕart. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Cos’ deciso in Roma, il 9 luglio 2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME