Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1935 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1935 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VIBO VALENTIA il 04/05/1981
avverso l’ordinanza del 17/07/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che si riporta alla memoria in atti e conclude per il rigetto del ricorso. udito il difensore, avv. NOME COGNOME che deposita memoria di replica e si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Catanzaro confermava l’ordinanza del GIP del Tribunale di Catanzaro del 4 giugno 2024, che ha applicato nei confronti di COGNOME Domenico la misura cautelare della custodia in carcere, per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, Locale dell’Ariola, ‘COGNOME COGNOME, operante nel territorio di Acquaro, Arena, Dasà e nelle zone limitrofe, di detenzione e porto di in luogo pubblico di armi d guerra e di numerose armi comuni da sparo, aggravate dal
metodo mafioso, rispettivamente ascritti ai capi 1), R) ed S), annullando la misura limitatamente ai capi L) ed L2).
Contro l’anzidetta ordinanza, l’indagato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a due motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge per contraddittorietà, mancanza, illogicità o manifesta apparenza della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli artt.273 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen., deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati contestati ai capi A) afferente la partecipazione alla associazione a delinquere di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta, R) ed S) in materia di detenzione e porto in luogo pubblico di armi da guerra e comuni da sparo, deducendo il generico rinvio per relationem alle argomentazioni contenute nella richiesta di misura cautelare in quanto il Tribunale non si confronterebbe con le censure sviluppate nei motivi di riesame in relazione alla radicale assenza di indici sintomatici in grado di dimostrare la sussistenza di un quadro indiziario sufficientemente idoneo a fondare l’incolpazione associativa di cui all’art.416 bis cod. pen., mancando qualsiasi concreto riferimento al ricorrente rispetto alla condotta partecipativa al sodalizio criminoso. Deduce la difesa che il Tribunale non si confronterebbe per la posizione del COGNOME con il narrato di molti collaboratori di giustizia, che non lo collocano tra i soggetti appartenenti alla cosca COGNOME, non lo riconoscono in foto né conoscono il suo nome, tranne NOME COGNOME che lo riconosce in foto indicando come attività svolta quella di “un negozio di mangimi”, che il ricorrente non ha mai posseduto, indicandolo genericamente come vicino al Maiolo senza sapere aggiungere altro, ricavando il ruolo di partecipe del COGNOME dai reati fine del sodalizio sebbene ritenuto estraneo da alcuni di essi, quali quelli di cui ai capi L) ed L2), le intercettazioni avrebbero ad oggetto dialoghi del vivere quotidiano non inerenti al procedimento, eccetto la captazione relativa ai capi R) ed S) da cui viene ricavata la figura di armiere/custode delle armi della consorteria Maiolo. Deduce, sul punto, la difesa la irrilevanza della intercettazione non ricavandosi dalla stessa la riconducibilità delle presunte armi nella disponibilità della cosca COGNOME o del singolo COGNOME né nelle altre intercettazioni sarebbe emerso alcun riferimento alle armi occultate o nella disponibilità del COGNOME, non ravvisandosi alcun comportamento concreto e apprezzabile di messa a disposizione, durevole e continua, ricolto al perseguimento degli scopi associativi, come delineato dalla giurisprudenza di legittimità. Deduce infine la difesa la contraddittorietà della decisione impugnata che da un lato annulla la ordinanza genetica in relazione ai capi L) ed L2) dall’altro utilizza le condotte ivi ascritte all’indagato per sostenere Corte di Cassazione – copia non ufficiale
la messa a disposizione in termini partecipativi alla associazione mafiosa di cui al capo A), nonché la omessa valutazione della sentenza di assoluzione del Tribunale di Vibo Valentia da cui emerge che l’unica arma rinvenuta sul terreno di proprietà de ricorrente non aveva nulla in comune con le armi, non rivenute, oggetto di occultamento.
2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta apparenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli art.274 e 275 cod. proc. pen, deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza di esigenze cautelari sulla valutazione del c.d. tempo silente, la contraddittorietà delle acquisizioni istruttorie sulla gravità indiziaria nonché contestando la sussistenza del pericolo di recidivanza per come ritenuto sussistente prima dal GIP, poi, dal Tribunale del Riesame, tenuto conto dell’arco temporale intercorso rispetto ai fatti oggetto delle contestazioni (ultima condotta nel 2019).
Il difensore del ricorrente ha depositato memoria di replica, in riferimento al capo A) ed alla insussistenza delle esigenze cautelari, cui si riporta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e va rigettato.
Il primo motivo di ricorso, che lamenta assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reati contestati ai capi A), R) ed S), è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
2.1 Va in primo luogo, premesso che in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o assenza delle esigenze cautelari consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ossia della adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il ricorso è invece inammissibile quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti o che tendano a proporne una ricostruzione alternativa, ovvero che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una
diversa valutazione di circostanze ed esigenze già esaminate dal giudice di merito o di riconsiderazione delLe caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del Tribunale del riesame, essendo il giudizio, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Il giudizio è, dunque, circoscritto alla sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito” (Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019 COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884; Sez. 2, Sentenza n. 9212 del 02/02/2017 Rv. 269438 – 01; Sez. un., n.110 del 22.03.2000, COGNOME, Rv.215828-01). Sarà, dunque, in questi termini che opererà la valutazione di questa Corte.
In particolare, il motivo è generico e reiterativo, rimarcandosi l’inidoneità degli argomenti esposti per contrastare la valenza delle dichiarazioni collimanti di numerosi dei collaboratori di giustizia, le intercettazioni, ambientali e telematiche, unitamente agli esiti delle attività di P.G., ai precedenti provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato, costituendo indizi di commissione di reati-fine e di una partecipazione, che si caratterizza per lo stabile inserimento del ricorrente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa, di per sé idoneo, considerate le specifiche caratteristiche della consorteria nella specie, ad attestare la sua ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, Sentenza n. 36958 del 27/05/2021). Il Tribunale ha invero correttamente attribuito a tali elementi la capacità di delineare il quadro alla stregua del quale interpretare le risultanze più specificamente poste a fondamento della gravità indiziaria con riguardo al periodo oggetto di verifica, possedendo i requisiti della a) gravità ossia della persuasività b) della precisione – cioè della idoneità ad escludere altre alternative ragionevoli, non confrontandosi il ricorso con la motivazione del provvedimento impugnato circa la riconducibilità delle conversazioni ad eventuale condotta lecita, che pur sarebbe stato facile reperire, ad esempio dando credibili spiegazioni del significato delle conversazioni-, e c) della concordanza – il loro essere cioè collimanti e non escludersi a vicenda -, principi probatori – questi – di cui il giudice della cautela ha fatto buon governo.
E’ peraltro ius receptum il dato secondo cui, in materia di messaggeria o conversazioni captate, costituisce questione di fatto, rimessa all’eclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 44938 del 05/10/2021), ragion per la quale appaiono irricevibili le doglianze miranti a offrire letture alternative delle conversazioni acquisite in atti e costituenti elemento decisivo della gravità indiziaria.
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame di Catanzaro, con argomentazioni puntuali e prive di vizi di manifesta illogicità e/o contraddittorietà e di apparenza di motivazione, in relazione ai reati contestati richiama integralmente la richiesta e l’ordinanza applicativa della misura cautelare quanto alla ricostruzione storica dei fatti e alle emergenze investigative, ritenendo comprovato il giudizio sui gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato.
Quanto alla contestazione di cui al capo A), il Tribunale richiama l’ordinanza genetica in punto di disamina degli elementi di prova in ordine alla esistenza della consorteria e della sua piena operatività nell’attualità anche grazie al contributo fornito da NOME COGNOME per la partecipazione, quale azionista di massima fiducia dei vertici della ‘ndrina COGNOME, al reato associativo di stampo mafioso, Locale dell’Ariola, consorteria finalizzata alla commissione di svariati reati tra cui omicidi, estorsioni, usura, traffico di armi e di sostanze stupefacenti, operante nel territorio di Acquaro, Arena, Dasà e zone limitrofe e avente ramificazioni in Abruzzo, Piemonte e Svizzera, pienamente inserito nelle dinamiche associative, riconoscendo le gerarchie e le regole interne del sodalizio contribuendo altresì alla realizzazione degli obiettivi da perseguire e delle azioni delittuose da compiere, fungendo, altresì da armiere della ‘ndrina all’associazione di stampo mafioso denominata ‘ndrangheta, operante su tutto il territorio Calabrese sin dagli anni ’80 e in altre parti del territorio nazionale ed estero, organizzata sulla base delle regole formali e dei livelli gerarchici e funzionali (doti, cariche) propri del c.d. “CRIMINE dei Polsi” i suddivise in ‘ndrine cellule criminali di base, che insistono su un territorio generalmente corrispondente ad un Comune o parte di esso (frazione/ contrada) e che rispondono criminalmente del loro operato ad una Locale /Società di ‘ndrangheta presso cui sono “attivate”, rimanendo collegate al c.d. “, RAGIONE_SOCIALE“, da cui sono riconosciuti, direttamente o indirettamente attraverso organismi intermedi, associazione che nel complesso, accertato nella sua esistenza in plurimi procedimenti penali (“RAGIONE_SOCIALE“, “Conflitto”, “Crimine”).
Quanto alla partecipazione del ricorrente, l’ordinanza impugnata è immune da vizi di illogicità e apparenza di motivazione, richiamando il ruolo di uomo di fiducia del capo del clan, NOME COGNOME, con il quale ha rapporti diretti, dialoga in ordine alle attività criminali poste in essere dalla cosca, incluso dal COGNOME all’interno della sua cerchia più ristretta, che assolvono ai compiti più disparati nell’interesse della consorteria cui appartengono, risultando incaricati (anche nel periodo di detenzione del Maiolo): di mantenere ben saldo il controllo del territorio e il prestigio criminale del gruppo attraverso il sistematico ricorso alla metodologia mafiosa nella gestione delle attività economiche, di pianificare ed eseguire atti intimidatori, di veicolare informazioni e ambasciate sia tra i partecipi del sodalizio che all’esterno, con il preciso ruolo, individuato dal capo, di detentore e custode delle armi dell’associazione, occultate e modificate dal gruppo, nonché di coadiuvare il COGNOME nello svolgimento di attività imprenditoriali, risultate schermo di attività illecite, prodigandosi ogni qualvolta fosse stato necessario, al fine di rafforzare il potere della ‘ndrina, mettendosi a disposizione del Maiolo nei suoi propositi illeciti.
Parimenti immune da vizi e censure è il richiamo nella ordinanza impugnata a condotte del ricorrente di messa a disposizione dell’associazione di appartenenza in relazione ai reati contestati ai capi L) ed L2) di rapina e di porto in luogo pubblico di una pistola, per i quali l’ordinanza cautelare non è stata confermata, desunte dalle conversazioni, intercettate sull’utenza telefonica in uso al COGNOME, in concomitanza alla commissione di tali reati, di messa a disposizione, concreta ed attuale, per le attività illecite del sodalizio criminoso, prodigandosi unitamente al sodale NOME COGNOME per il furto di una autovettura al fine di garantire ai sodali una via di fuga. Le conversazioni intercettate hanno invero consentito di ricostruire l’intero tragitto percorso dal COGNOME analogo a quello percorso dalla Fiat Punto targata, TARGA_VEICOLO, asportata a Brandizzo, nonché di affermare che NOME COGNOME unitamente a NOME COGNOME ed al COGNOME prelevavano la Fiat Punto e la parcheggiavano nei pressi dello svincolo autostradale la notte precedente la rapina al fine di costituire una via di fuga da utilizzare dopo la rapina.
Quanto alle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME il motivo non si confronta con la decisione del Tribunale, richiamando solo in parte le dichiarazioni del collaboratore, prodigandosi ogni qualvolta fosse stato necessario, al fine di rafforzare il potere della ‘ndrina, mettendosi a disposizione nel coadiuvare il COGNOME nei suoi propositi illeciti che si spiega nella logica ‘ndranghetista, non menzionando le numerose intercettazioni che ne riscontrano il dichiarato, delineando gli stretti rapporti intessuti non solo con il capo NOME
COGNOME bensì con gli altri più fidati sodali, che si occupano, nel caso di arresto, anche della assistenza delle famiglie dei detenuti.
Quanto alle contestazioni di cui ai capi R) ed S) di detenzione e porto di armi da guerra, la decisione impugnata è parimenti immune da vizi e censure, richiamando la intercettazione di cui è interlocutore diretto il ricorrente insieme al capo NOME COGNOME e NOME COGNOME (interamente riportata nella ordinanza impugnata) che ha dimostrato, per la terminologia usata tra cui anche i nomi di fabbrica delle armi, del munizionamento, delle componenti o del funzionamento specifico, i rumori metallici tipici del caricamento e della manutenzione di armi, non solo la disponibilità da parte del ricorrente, di armi da fuoco, tra cui anche da guerra, all’interno del terreno di cui ha il possesso, non in proprio bensì per conto della associazione criminosa (circostanza richiamata anche dal collaboratore NOME COGNOME) quale contributo partecipativo con il ruolo di armiere, mettendo a disposizione il proprio terreno, per l’approvvigionamento di numerose armi e munizioni (anche da guerra) che previa rimozione degli imballaggi venivano controllate, smontate e pulite al fine di essere poi chiuse in alcuni tubi in plastica da interrare ed occultate nel luogo di manutenzione al fine di agevolare gli interessi della consorteria criminosa.
Il motivo è generico e non si confronta con la decisione del Tribunale che riferisce anche l’esito della perquisizione presso il terreno del Fusca che consentiva il rinvenimento di un fucile cal.12 con matricola abrasa che riscontra la intercettazione laddove COGNOME asserisce di volerne lasciare soltanto una e di avere per le altre armi i tubi già pronti per l’occultamento in altro luogo, nonché in relazione al continuo riferimento nella intercettazione al “noi”, inteso quale indice non solo della comune appartenenza del ricorrente al sistema di riferimento bensì della preesistenza di un rapporto di adesione stabile, in termini oggettivi al fenomeno associativo anche per le espressioni e alle indicazioni date ai sodali dal ricorrente, condivise dal COGNOME, in ordine alla sistemazione delle armi, facendo gli interlocutori riferimento a pregresse e future azioni nella condivisione di un progetto criminoso per espandere e rafforzare il potere del sodalizio.
La difesa sul punto ripropone censure già svolte davanti al Tribunale del riesame e da questo respinte con motivazione precisa, puntuale, corretta ed immune da censure e vizi di logicità, sollecitando la Corte a sostituirsi ai giudici della cautela in ragione di una lettura alternativa del quadro probatorio, operazione che, come già detto, è del tutto preclusa in sede di legittimità.
Non è, del resto, in dubbio che il ricorrente debba essere considerato molto addentro alle dinamiche mafiose, tenuto conto anche dello stretto rapporto con il capo del clan NOME COGNOME, del ruolo di rilevanza, di persona di fiducia del capo,
in ragione delle disposizioni a lui impartite dal COGNOME anche afferenti alle strategie utili per il controllo del territorio di pertinenza cui il ricorrente aderis senza preventive intese, aderendo agli ordini imposti, nonché prendendo iniziative autonome in relazione a determinate condotte relative alle manutenzione delle armi, di eludere le investigazioni, e mettendo a disposizione il proprio terreno, svolgendo anche il ruolo di armiere, valutando la qualità del suo apporto come stabile e continuativa messa a disposizione del clan, nella piena consapevole adesione ad esso, in un’ottica funzionale alla realizzazione del programma criminoso e di controllo del territorio e di pervasivo condizionamento dell’economia locale di cui risulta avere piena visione. In forza di queste considerazioni il motivo si presenta come inammissibile.
2.2 Il secondo motivo di ricorso che lamenta difetto, manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’att.275 cod. proc. pen, deducendo assenza di congrua motivazione in punto di ritenuta sussistenza di esigenze cautelari, è infondato.
In primo luogo, va ribadita in tema di applicazione di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere per determinate fattispecie incriminatrici, prevista dagli artt. 275, comma 3, e 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.
Quanto alla rilevanza del cosiddetto “tempo silente”, ossia il decorso di un apprezzabile lasso temporale tra l’emissione della misura ed i fatti contestati, l’ultimo risalente al 2019, il Collegio osserva che la giurisprudenza maggioritaria esclude che tale elemento possa da solo rappresentare prova della rescissione dei legami con il sodalizio criminoso, soprattutto nei casi di associazioni mafiose tradizionali come la ‘ndrangheta in cui, in base alle massime di esperienza di cui si dispone, risulta oltremodo difficile recidere volontariamente e definitivamente il vincolo associativo senza “contraccolpi”. La Corte, perciò, in più occasioni ha affermato che: “In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari” (così
Sez.2, n.7837 del 12/02/2021, Rv.280889-01; conf. Sez.V, n.16434 del 21/02/2024, Rv. 286267-01; Sez.2, n.6592 del 25/01/2022, Rv.282766-02; Sez.2, n.38848 del 14/07/2021, Rv. 282131-01; Sez.5, n.35848 del 11/06/2018, Rv. 273631-01).
Infatti, il diverso orientamento che assume che, in caso di tempo c.d. silente, il giudice avrebbe un onere di motivazione sulla perdurante attualità delle esigenze cautelari anche ove non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (Sez. 6, n. 19863 del 04/05/2021, Rv. 281273; Sez. 6, n. 6 16867 del 20/03/2018, Rv. 272919), poiché il fattore tempo, se è rilevante l’arco temporale, assurge a elemento distonico rispetto alla presunzione di perdurante pericolosità dell’indagato, destinato ad essere potenzialmente idoneo a vincere la suddetta presunzione (Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Rv. 285272; Sez. 6, n. 2112 del 2024) o altra situazione idonea a denotare un recesso dello stesso dall’associazione, si fonda su inestricabili contraddizioni. Sotto un primo profilo, l’assunto, che talvolta si rinviene nei richiamati precedenti, per il quale quella affermata costituirebbe un’interpretazione costituzionalmente orientata del dato normativo (v., da ultimo, Sez. 6 n. 2112 del 2024), è distonico rispetto ai principi costantemente affermati dalla Corte Costituzionale nel senso di ritenere che le peculiari caratteristiche del vincolo associativo mafioso impediscano di assumere che misure meno afflittive della custodia cautelare in carcere siano idonee a neutralizzare il periculum líbertatis. Di qui, a fronte del chiaro tenore letterale della disposizione, l’individuazione di una sorta di “eccezione” alla presunzione nell’ipotesi di cd. tempo silente finisce con il creare una sorta di norma nuova, non riconnpresa nell’ambito dei possibili significanti sul piano letterale della disposizione oggetto di interpretazione (cfr., pur con riferinfiento all’interpretazione autentica, Corte Cost. sent. n. 4 del 2024, n. 61 del 2022, n. 133 del 2020). A tale risultato, in un sistema nel quale è accentrato nella Corte Costituzionale il sindacato sulla legittimità costituzionale delle leggi e gli atti aventi forza di legge, non si può pervenire, laddove la Consulta abbia più volte avallato un’interpretazione rigorosa di una disposizione normativa mediante un’esegesi che assume di essere costituzionalmente orientata ma solo, in ipotesi, chiedendo alla stessa Corte Costituzionale una pronuncia additiva sull’art. 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. pen., con riferimento alla ricomprensione sotto l’egida della norma di situazioni nelle quali sia trascorso un lungo lasso temporale c.d. silente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In altre parole, si tratta di motivare adeguatamente sull’esistenza delle esigenze cautelari laddove siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti delle ragioni per escluderle. Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata ha fornito sul punto una motivazione congrua e specifica,
evidenziando che dagli atti investigativi era emerso che il ricorrente avesse rapporti molto stretti non solo con i vertici del sodalizio mafioso, NOME COGNOME considerato il capo dell’omonima cosca, ma anche con altri sodali di particolare fiducia del capo quali NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Il Tribunale ha, altresì, fondato il giudizio prognostico sul contesto criminale di consumazione dei fatti, sulla gravità intrinseca degli stessi e sulle allarmanti modalità esecutive e finalità, tipicamente mafiose per cui, a fronte di tali evidenze processuali, il rilievo della distanza temporale tra i fatti contestati e l’applicazione della misura custodiale non · può essere considerato elemento dirimente per vincere la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., giacché è certa o comunque altamente probabile, considerata la caratura criminale estrinsecata da COGNOME l’estrema dimestichezza mostrata nel maneggiare armi coadiuvando il capo della ‘ndrina nella manutenzione e nell’occultamento di fucili e armi da guerra, e quindi l’evidente pericolo insito nella disponibilità di strumenti atti ad offendere dotati di elevata lesività, l’assenza di elementi idonei a provare l’effettivo ed irreversibile allontanamento dall’ambiente criminale in cui sono maturate le vicende illecite e dai fattori causali dei suoi illeciti comportamenti, la riproposizione di situazioni od occasioni analoghe a quelle che hanno dato causa al delitto per cui si procede in costanza delle quali è molto prevedibile che l’indagato, non sottoposto a vincolo coercitivo, finisca per reiterarne il compimento.
Appare, infine, corretta la motivazione del Tribunale in punto di ritenuta persistenza delle esigenze cautelari tenuto conto che si versa in un’ipotesi di mafia storica, radicata da molti anni sul territorio, che ha innestato chiare e consolidate modalità mafiose nel perseguimento dei fini sottesi al programma criminoso, in assenza di altre circostanze che possano indurre a ritenere che NOME COGNOME abbia effettivamente reciso i forti e consolidati legami, di natura familiare, con il contesto mafioso, emergendo invece una partecipazione attiva ad alcune dinamiche del sodalizio per la conservazione della consorteria, al cui interno svolge un ruolo di primo piano.
Parimenti, sotto il profilo dell’adeguatezza del regime cautelare disposto, l’ordinanza è immune da censure adottando una motivazione non suscettibile di censura in questa sede evidenziando un concreto ed attuale pericolo di recidiva, e di inidoneità, tenuto conto della spregiudicatezza e della assoluta inaffidabilità dell’indagato, di altre forme di coercizione, quali gli arresti domiciliari anche con braccialetto elettronico, che non consentono di monitorare le altre prescrizioni che di consueto accedono alla misura la cui violazione potrebbe favorire il riattivarsi dell’attività criminosa ovvero dei contatti con il mercato illegale delle armi nonché mediante la messa a disposizione dei luoghi di custodia.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 26/11/2024.