Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20560 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20560 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 29/12/2023 del Tribunale di Ancona;
visti gli atti del procedimento, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi i difensori del ricorrente, AVV_NOTAIO ed NOME COGNOME, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto del proprio difensore, il cittadino albanese NOME COGNOME impugna l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 29 dicembre scorso, che ha respinto l’appello da lui proposto a norma dell’art. 310, cod. proc. pen., avverso l’ordinanza del 29 novembre precedente, con la quale il Giudice per le indagini preliminari di quel Tribunale aveva rigettato la sua istanza di revoca o sostituzione della custodia cautelare in carcere, alla quale egli è sottoposto in relazione ai delitti di cui agli artt. 74 e 73, 80, d.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorso denuncia vizi di motivazione per le seguenti ragioni:
il compendio indiziario si fonda pressoché esclusivamente sulle chat intrattenute dall’indagato sulla piattaforma informatica “Sky ECC” ed il Tribunale, pur consapevole della devoluzione alle Sezioni unite della Corte di cassazione della questione sull’utilizzabilità di tali risultanze probatorie, si è limitato a far propria tesi affermativa, senza tener conto del dubbio derivante dall’incertezza della giurisprudenza sul punto e del conseguente favor rei;
II) in punto di affievolimento delle esigenze cautelari e, di conseguenza, di adeguatezza degli arresti domiciliari con il controllo elettronico, il Tribunale si è limitato ad osservare che la presunzione di esclusiva idoneità della custodia carceraria potrebbe essere vinta solo dall’allegazione di specifici elementi di fatto, dai quali risulti lo scioglimento del sodalizio criminale od il recesso dell’indagato da esso, escludendone l’esistenza nel caso specifico; in tal modo, però, quei giudici hanno omesso di considerare i plurimi elementi in quel senso addotti dall’indagato con il gravame, ovvero: a) il rilevante lasso temporale tra i fatti e l’applicazione della misura cautelare; b) l’essersi da tempo l’indagato trasferito in Polonia unitamente alla propria compagna, lasciando la Spagna, ove i reati si sarebbero verificati; c) il trasferimento in Italia della sua compagna, che, a sèguito del suo arresto, ha qui locato un’immobile ed aperto la partita i.v.a., così mostrando di volervisi stabilire.
Infine, sarebbe aprioristica ed immotivata l’affermazione di entrambi i giudici di merito secondo cui l’indagato non offrirebbe garanzie di rispetto degli arresti domiciliari, così come illegittima sarebbe la valorizzazione a suo carico del diritto, da lui esercitato, di non rendere dichiarazioni.
Ha depositato memoria scritta il Procuratore generale, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i motivi di ricorso non possono essere ammessi.
2. Il primo è del tutto generico.
Il ricorrente si limita a dolersi del fatto che, in una situazione di contrasto di giurisprudenza, il Tribunale abbia optato per una degli orientamenti manifestatisi anziché per l’altro, ma non espone alcuna ragione per la quale avrebbe dovuto determinarsi diversamente.
Inconferente, in proposito, è la mera evocazione del principio del favor rei, il quale opera nel caso d’incertezza sulla concludenza dimostrativa degli elementi di prova, ma è estraneo al giudizio sulla utilizzabilità o meno degli stessi, che dev’essere condotto esclusivamente secondo le regole di procedura.
Con il secondo motivo, invece, si chiede alla Corte di cassazione un giudizio di puro merito, che le è precluso.
Correttamente l’ordinanza impugnata ha rilevato che, in presenza di un reato associativo, la presunzione legale di esistenza di esigenze cautelari e di esclusiva adeguatezza della misura carceraria per la loro salvaguardia può essere vinta soltanto dall’allegazione difensiva di specifici elementi di segno contrario: quella, poi, sulla capacità o meno di alcune situazioni di fatto di prevalere su tale presunzione è questione riservata al giudice di merito.
In questa sede, dunque, è sufficiente rammentare che, in tema di misure cautelari per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa o alla data ultima dei cc.dd. “reati-fine”, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva: nell’àmbito della quale, il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti e la mera rescissione del vincolo associativo non è di per sé sufficiente (in questi termini: Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293; Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243; Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 273435).
Nello specifico, dunque, risulta indiscutibilmente ragionevole l’affermazione del Tribunale per cui l’indagato, rimanendo sempre in silenzio, ha sì esercitato un proprio diritto, ma comunque non ha reso manifesta una sua presa di distanza da quei contesti illegali; né intrinsecamente concludenti in tal senso, e perciò tali da minare la congruenza logica di quella considerazione, si presentano le ulteriori circostanze indicate in ricorso e dimostrative, piuttosto, della capacità del ricorrente di muoversi e stabilire contatti interpersonali in vari Stati europei.
4. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2024.