Custodia cautelare in carcere: quando il ricorso è inammissibile?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46226/2024, offre un importante chiarimento sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi contro le misure cautelari. In particolare, la Suprema Corte ha ribadito che un ricorso contro l’applicazione della custodia cautelare in carcere deve confrontarsi specificamente con le motivazioni del provvedimento impugnato, pena l’inammissibilità. Analizziamo insieme questo caso per capire le ragioni dietro la decisione.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un cittadino straniero accusato di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/90) e di spaccio continuato (art. 73 d.P.R. 309/90). Sulla base di queste accuse, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
L’indagato, arrestato nel suo paese d’origine a fini di estradizione, aveva impugnato l’ordinanza davanti al Tribunale della Libertà di Milano, che però aveva confermato la misura. La difesa ha quindi proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che l’ordinanza fosse manifestamente illogica nel ritenere il carcere l’unica misura adeguata, evidenziando che i fatti risalivano al periodo 2019-2020 e che, successivamente, l’interessato si era iscritto con profitto all’università.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla custodia cautelare in carcere
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte non è entrata nel merito della scelta tra carcere e altre misure, ma ha focalizzato la sua attenzione sulla struttura del ricorso stesso. Ha stabilito che il ricorso non si confrontava adeguatamente con le argomentazioni espresse nell’ordinanza del Tribunale della Libertà, limitandosi a una critica generica senza evidenziare specifiche illogicità nel ragionamento dei giudici di merito.
Le Motivazioni della Sentenza
Le motivazioni della Cassazione sono cruciali per comprendere i limiti dell’impugnazione in materia di misure cautelari.
1. Mancanza di un confronto specifico: Il ricorso non contestava la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ma si limitava a criticare la valutazione sulle esigenze cautelari in modo generico. Secondo la Corte, un ricorso è inammissibile se non affronta punto per punto le ragioni addotte dal giudice precedente.
2. Valutazione delle esigenze cautelari: Il Tribunale aveva adeguatamente motivato la scelta della custodia cautelare in carcere. Aveva considerato che il gruppo criminale di riferimento avesse capi della stessa nazionalità dell’indagato e che l’allontanamento dal territorio italiano potesse rappresentare una precisa strategia operativa del gruppo (una sorta di “turnazione”) per depistare le indagini. La permanenza all’estero, quindi, non era stata ritenuta un elemento idoneo a far venir meno il pericolo di reiterazione del reato.
3. Inadeguatezza della richiesta di arresti domiciliari: La richiesta di sostituire il carcere con gli arresti domiciliari era stata giudicata inaccoglibile perché la persona indicata come ospitante non era stata chiaramente identificata e, soprattutto, non si era assunta l’impegno di vigilare sull’indagato, ma solo di prestare un’eventuale assistenza sanitaria. Questa vaghezza ha reso la proposta inidonea a garantire il controllo necessario.
4. Irrilevanza del confronto con altri coindagati: Il Tribunale aveva anche spiegato analiticamente perché la situazione dell’indagato non fosse paragonabile a quella di altri coindagati ammessi agli arresti domiciliari, rendendo tale argomento difensivo inefficace.
Conclusioni
Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: un’impugnazione, per essere efficace, non può limitarsi a una critica generica. È necessario che il ricorrente individui e contesti le specifiche lacune o illogicità nel ragionamento del giudice che ha emesso il provvedimento. Nel campo delle misure cautelari, e in particolare della custodia cautelare in carcere, dove è in gioco la libertà personale prima di una condanna, la motivazione del giudice deve essere solida. Tuttavia, per metterla in discussione davanti alla Cassazione, è indispensabile un ricorso altrettanto preciso e argomentato, che demolisca, sul piano logico-giuridico, le fondamenta della decisione impugnata. In assenza di ciò, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile.
Perché il ricorso contro la custodia cautelare è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non si confrontava in modo specifico con le argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata, né evidenziava manifeste illogicità nel suo ragionamento, risultando quindi generico.
La permanenza all’estero e la frequenza universitaria possono escludere la necessità del carcere?
No, in questo caso specifico i giudici hanno ritenuto che tali circostanze non fossero sufficienti. La permanenza all’estero è stata interpretata come una possibile modalità operativa dell’associazione criminale per eludere le indagini, e quindi non idonea a ridurre il pericolo di reiterazione del reato.
Quali sono i requisiti per una valida richiesta di arresti domiciliari in sostituzione del carcere?
La richiesta deve essere concreta e dettagliata. Secondo la sentenza, è necessario che la persona disposta a ospitare l’indagato sia chiaramente identificata e che si impegni formalmente a vigilare sul rispetto delle prescrizioni imposte dalla misura, non essendo sufficiente una generica disponibilità all’assistenza.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 46226 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 46226 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato il 17/02/1989 in Albania avverso l’ordinanza del 14/06/2024 del Tribunale della libertà di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Milano ha confermato il provvedimento del 3 novembre 2023 con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha applicato a NOME Sina la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati ex artt. e 81, comma 2, cod. pen. e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e 74, commi 1 e 3, d.P.R. cit., descritti nelle imputazioni provvisorie e in base al quale NOME è stato arrestato in Albania, a fini di estradizione.
Nel ricorso presentato dal difensore di Sina si chiede l’annullamento dell’ordinanza assumendo che l’ordinanza è manifestamente illogica nel ritenere adeguata alle esigenze cautelari del caso soltanto la misura della custodia in carcere.
Si evidenzia che i fatti per i quali si procede risalgono al periodo tra la fine del 2019 e il maggio del 2020, sino a quando il ricorrente non fu espulso dall’Italia per poi iscriversi e frequentare con profitto l’Università di Tirana dall’ottobre 2020 al luglio 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non contesta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza circa la partecipazione di Sina alla associazione per delinquere descritta nel capo 1, con il ruolo di partecipe incaricato di vendere periodicamente partite di cocaina dai 100 ai 200 grammi, ripartiti in dosi, nel periodo dal 2019 al 2020 e di avere nello stesso periodo venduto a NOME COGNOME in circa 20 circostanze una o più dosi di cocaina dal peso di 0,5 grammi, e il Tribunale ha evidenziato che quanto affermato dai clienti nelle intercettazioni attesta la stabilità della attività di spaccio svolta da Sin e che, in atto, sono ignorate le sue condizioni di vita.
Per altro verso, ha escluso che la permanenza in Albania negli ultimi anni valga a escludere le presunzioni legislative poste dall’art. 274 cod. proc. pen. relativamente alle esigenze cautelari, considerando che il gruppo criminale al quale lo si accusa di appartenere ha tra i suoi capi alcuni albanesi e che questa forma di allontanamento dal territorio italiano corrispondeva a una modalità operativa della associazione criminale, nella quale i partecipi rientravano periodicamente nel Paese di origine, realizzando una turnazione per depistare o rallentare eventuali indagini.
Inoltre, non irragionevolmente ha osservato che la richiesta di sostituire la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari in Castiglione Olona non può accogliersi, perché la persona che dovrebbe ospitarlo non è chiaramente identificata né ha assunto l’impegno di mantenere Sina (ma soltanto quello di eventualmente prestargli assistenza sanitari). Ha anche analiticamente spiegato perché la condizione dei coindagati ammessi agli arresti domiciliari non è equiparabile a quella del ricorrente.
Poiché non si confronta con le argomentazioni espresse nell’ordinanza, né evidenzia manifeste illogicità nella sua motivazione, il ricorso risulta inammissibile.
Dalla inammissibilità del ricorso deriva la condanna, ex art. 616 cod. proc. pen., del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 22/10/2024