Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 47675 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 47675 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Cinquefrondi il 26/10/1996
avverso l’ordinanza del 19/06/2024 del Tribunale di Milano
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale per il riesame di Milano ha confermato l’ordinanza emessa in data 21 maggio 2024 dal Giudice delle indagini preliminari del medesimo Tribunale con la quale è stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ascritto al capo 19), per avere fatto parte di una associazione dedita alla commissione di delitti di cessione e detenzione di sostanza stupefacente, dal mese di aprile 2020, nonché per il delitto di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/90, per l’acquisto e detenzione a fini di spaccio di cinque chilogrammi di cocaina.
Con atto a firma del difensore di fiducia, NOME COGNOME chiede l’annullamento del provvedimento, deducendo vizio della motivazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari.
2.1. Con il primo motivo denuncia la errata valutazione da parte del Tribunale che avrebbe fatto proprie le valutazioni del Giudice per le indagini preliminari in merito alla sussistenza dell’associazione ed al ruolo di partecipe attribuito al COGNOME.
Si lamenta che la serialità e frequenza delle transazioni aventi ad oggetto lo scambio di droga non è sufficiente a ravvisare il reato associativo, potendosi inquadrare nell’ipotesi del concorso di persone, occorrendo un quid pluris che consenta di ritenere che tutti i compartecipi abbiano agito con la consapevolezza e volontà di fare parte di un sodalizio criminoso, a fronte dell’assenza di elementi di supporto dell’esistenza di una struttura organizzata che prescinda dalla consumazione dei singoli reati di spaccio, commessi da ciascuno dei presunti associati per finalità di esclusivo interesse personale, senza una cassa comune, senza il perseguimento di una finalità comune, con conseguente assenza dell’affectio societatis e senza un rapporto di subordinazione dell’uno rispetto all’altro.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio della motivazione in punto di mancata riqualificazione del reato ai sensi dell’ipotesi associativa di cui al comma 6 dell’art. 74 T.U. Stup.
Al riguardo si rappresenta che in ragione del ristretto arco temporale, del carattere rudimentale dell’organizzazione e della disgregazione del gruppo per l’insorgere di contrapposizioni all’interno di esso, appare più corretta la configurabilità dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 74, comma 6, T.U. Stup.
2.2. Con il terzo motivo, denuncia il vizio di motivazione in punto di esigenze cautelari sotto il profilo della sussistenza del requisito dell’attualità del pericolo reiterazione, in considerazione del tempo trascorso dalla commissione del reato (ottobre 2021), tenuto conto della resipiscenza dell’indagato che ha ammesso le proprie responsabilità ed ha rescisso i propri rapporti con il contesto criminale in cui era inserito, tornando in Calabria ad occuparsi della impresa agricola di famiglia.
2.3. Il ricorrente ha depositato motivi nuovi incentrati sul c.d. “tempo silente”, per l’intervallo temporale intercorso rispetto alla data di applicazione della misura dagli ultimi fatti di reato significativi, che risalgono al luglio 2021, evidenziando l carenza di motivazione che non ha dato conto dell’incensuratezza dell’indagato e dell’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari da eseguire in luogo distante dalla sede operativa del sodalizio, così ricollegandosi all’ultimo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso che investono la gravità indiziaria e la qualificazione giuridica dei reati sono inammissibili per il loro carattere reiterativo dell medesime censure dedotte con l’istanza di riesame, rispetto ad una valutazione dei relativi punti censurati che appare sorretta da una motivazione dell’ordinanza impugnata coerente ed immune da vizi logici, basata su argomentazioni pertinenti e prive di contraddizioni.
La serialità e frequenza delle transazioni aventi ad oggetto lo scambio di droga sono state correttamente valorizzate a supporto dell’affectio societatis e dell’esistenza di un programma criminoso comune, condiviso da tutti i compartecipi, volto alla consumazione di una serie indeterminata di delitti relativi al traffico di sostanze stupefacenti.
Il ricorrente non contesta i reati-fine ma soltanto l’esistenza di una associazione o in alternativa la partecipazione ad essa da parte del COGNOME, censurando le valutazioni sulla sussistenza degli elementi strutturali del reato associativo, da tenere distinti da quelli del concorso di persone.
Si tratta però di doglianze generiche articolate esclusivamente sulla base del richiamo ai noti principi sulla stabilità del programma criminoso, che non si confrontano con le risultanze probatorie oggetto di valutazioni inattaccabili sul piano della logica argonnentativa e che si pongono in linea con le indicazioni ermeneutiche fissate dalla giurisprudenza di legittimità in tema di reato associativo.
Il Tribunale ha messo in evidenza la stabilità dei legami criminali esistenti tra il capo dell’associazione NOME COGNOME ed il nipote NOME COGNOME nella gestione dei traffici di stupefacenti, agevolati dagli stretti contatti intrattenuti dai predetti a con gli affiliati dell’associazione mafiosa che operano in territorio calabrese, dove hanno sede i soggetti che si occupano degli approvvigionamenti e rifornimenti della sostanza stupefacente.
L’attività di approvvigionamento e successivo smercio di quantitativi rilevanti di cocaina è stata ritenuta riscontrata da diverse conversazioni intercettate dal significato neppure criptico, da cui sarebbe emerso che la cocaina viene rivenduta tramite gli stessi complici in parte al dettaglio ed in parte all’ingrosso ad al acquirenti che si occupano dello smercio.
Il capo 22) riguarda l’acquisto di cinque chili di cocaina, inserito nel medesimo contesto, che il ricorrente neppure censura, essendo il ricorso volto solo a negare il legame associativo.
Tuttavia, sebbene il ricorso appaia declinato come volto a censurare l’errore di diritto per l’assimilazione del concorso di persone al reato associativo, in realtà censura la ricostruzione dei fatti assumendo, in contrasto con le risultanze probatorie evidenziate nell’ordinanza impugnata, la mancanza di un accordo stabile tra i vari soggetti coinvolti e l’assenza di una struttura organizzata.
A tale riguardo va ricordato che la questione dell’interpretazione delle conversazioni intercettate è inammissibile in sede di legittimità ove non denunci alcun travisamento della prova, ma solo evochi, come nel caso di specie, una lettura alternativa che il Tribunale per il riesame ha escluso con argomenti non illogici.
Peraltro, il riferimento alla esistenza di una base logistica utilizzata come centro di smistamento della sostanza stupefacente presso un distributore di carburanti con l’utilizzo di mezzi facenti capo a detta attività lecita di copertura fornisce adeguato supporto alla ravvisata sussistenza di una stabile struttura organizzata che prescinde dalla consumazione delle singole operazioni di acquisto e cessione, anche di apprezzabili quantitativi di sostanza stupefacente, che rende, al contempo, ragione dell’esclusione dell’ipotesi associativa dedita alla consumazione di fatti di lieve entità di cui all’art. 74, comma 6, T.U. Stup.
La disgregazione del gruppo è, poi, solo una ipotesi sostenuta della difesa che interpreta le lagnanze di COGNOME e COGNOME per il prezzo troppo elevato richiesto dai fornitori tramite il cugino NOME COGNOME laddove tali rimostranze sono state al contrario valutate, in modo non illogico, come espressione dell’ordinaria dinamica contrattuale e non come segnali di dissoluzione del rapporto di collaborazione.
In conclusione, si deve ritenere che la motivazione dell’ordinanza impugnata non presenta vizi logici manifesti e decisivi, risulta coerente con le emergenze processuali e non è incrinata dalle doglianze difensive che si limitano ad invocare una diversa ricostruzione di merito, inammissibile in questa sede.
Con riguardo alle altre censure relative alla motivazione delle esigenze cautelari, si osserva che mentre appaiono manifestamente infondate quelle relative al superamento della presunzione della loro sussistenza correlata al titolo del reato, deve rilevarsi l’infondatezza di quelle relative alla presunzione di inadeguatezza delle misure cautelari diverse dalla custodia cautelare in carcere.
Si deve ricordare, infatti, che per il reato di cui all’art.74 d.P.R. 309/90 vige la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di inadeguatezza di misure diverse dalla custodia in carcere, prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (come modificato dall’art. 4, comma 1, della legge 16 aprile 2015, n.47), che può essere superata solo quando, in relazione al caso
GLYPH
,7
concreto, GLYPH siano GLYPH acquisiti GLYPH elementi GLYPH specifici GLYPH dai GLYPH quali GLYPH risulti GLYPH che GLYPH le esigenze cautelari non sussistono o che possono essere soddisfatte con altre misure.
Come correttamente osservato nell’ordinanza impugnata lo stato di incensuratezza dell’indagato ed il suo trasferimento in Calabria nel paese di origine, insieme al tempo decorso dalla consumazione dei reati, in ragione del ruolo svolto in seno al sodalizio, con compiti prettamente organizzativi per gli acquisti dei carichi di sostanza stupefacente provenienti proprio dalla Calabria, non costituiscono elementi idonei a superare le presunzioni di legge.
Con riferimento alle ragioni per le quali è stata affermata l’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari in una località della Lombardia, solo perché nella stessa località risulta essere stata applicata la misura degli arresti domiciliari ad altro coindagato, si deve osservare che tale argomento, evidentemente errato in quanto attinente ad un profilo privo di rilievo sul piano dell’idoneità della misura cautelare, non inficia tuttavia la motivazione dell’ordinanza impugnata, non assumendo carattere decisivo nella complessiva e ben più articolata esposizione delle ragioni poste a fondamento dell’inadeguatezza della misura richiesta.
Il Tribunale ha, infatti, in primo luogo evidenziato l’attualità del pericolo d reiterazione dei reato in ragione della solidità dei legami personali dell’indagato con coloro che, occupandosi degli aspetti organizzativi per la definizione degli accordi sui prezzi della sostanza stupefacente, hanno dimostrato una maggiore capacità criminale, tanto da ritenere recessivo il dato temporale considerato non particolarmente significativo in ragione della gravità dei fatti e del ruolo in concreto svolto in modo continuativo, atteso che le indagini hanno avuto comunque termine in epoca ravvicinata alle ultime manifestazioni di pericolosità criminale dell’indagato, e considerata, altresì, la concreta possibilità di proseguire i propri traffici illeciti anche in regime di arresti domiciliari attraverso la ripresa dei conta con i fornitori, indipendentemente dal luogo di applicazione della misura.
Quindi, anche sotto il profilo delle esigenze cautelari la motivazione è coerente e logica, perché ha valorizzato la capacità criminale dell’indagato come indice di attualità del pericolo e di inadeguatezza di misure diverse dalla custodia in carcere, insieme alla presunzione prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., collegata alla ipotesi di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90, dando conto delle ragioni per le quali l’intervallo temporale di tre anni (cd. “tempo silente”) non è stato ritenuto sufficiente a superare la duplice presunzione di legge, posto che è escluso, in materia, qualsiasi automatismo valutativo, essendo anche il dato temporale da apprezzare tenendo conto di tutti gli elementi significativi in tal senso, afferenti alle concrete modalità del fatto (ex plutimis, Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272).
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso 1’11 dicembre 2024 Il Consigliere estensore
GLYPH
Il Preidente