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Custodia cautelare in carcere: quando è legittima?

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per un soggetto accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, sottolineando che la serialità delle operazioni, la stabilità dei legami e la struttura logistica sono elementi sufficienti a configurare il reato associativo e a giustificare la misura. È stato inoltre ribadito che, per questo tipo di reato, vige una presunzione di pericolosità che né il tempo trascorso (‘tempo silente’) né l’incensuratezza dell’indagato possono di per sé superare.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare in Carcere: Quando la Presunzione di Pericolosità Supera il ‘Tempo Silente’

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47675/2024, offre un’importante analisi sui presupposti per l’applicazione della custodia cautelare in carcere in relazione al grave reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La pronuncia chiarisce la distinzione fondamentale tra concorso di persone e reato associativo, e valuta il peso del cosiddetto ‘tempo silente’ nel giudizio sull’attualità delle esigenze cautelari. Questo caso esamina la legittimità di una misura restrittiva severa a fronte di un’articolata struttura criminale dedita al narcotraffico.

I Fatti: L’Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere

Il Tribunale per il riesame di Milano confermava un’ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di un individuo. Le accuse erano gravissime: partecipazione a un’associazione a delinquere (art. 74 d.P.R. 309/90) finalizzata alla cessione e detenzione di stupefacenti, e un episodio specifico di acquisto e detenzione di cinque chilogrammi di cocaina (art. 73 d.P.R. 309/90). L’indagato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso in Cassazione, contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari.

Le Doglianze del Ricorrente: Associazione, Esigenze Cautelari e ‘Tempo Silente’

La difesa ha articolato il ricorso su tre punti principali:

1. Errata valutazione degli indizi: Si sosteneva che la serialità delle transazioni di droga non fosse sufficiente a dimostrare l’esistenza di un’associazione criminale stabile, ma che si trattasse piuttosto di un semplice concorso di persone. Mancavano, a dire della difesa, una cassa comune, una finalità condivisa e un rapporto gerarchico, elementi tipici dell’ affectio societatis.
2. Mancata riqualificazione del reato: Si chiedeva di considerare l’ipotesi attenuata del reato associativo (art. 74, comma 6, T.U. Stupefacenti), data la presunta natura rudimentale e di breve durata dell’organizzazione.
3. Insussistenza delle esigenze cautelari: La difesa evidenziava il lungo tempo trascorso dai fatti contestati (‘tempo silente’), l’ammissione di responsabilità da parte dell’indagato e il suo reinserimento in un contesto lavorativo lecito, elementi che avrebbero dovuto far venir meno l’attualità del pericolo di reiterazione del reato.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Custodia Cautelare in Carcere

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione dettagliata che rafforza i principi consolidati in materia di misure cautelari per reati di grave allarme sociale.

La Distinzione tra Associazione e Concorso di Persone

La Corte ha ritenuto che il Tribunale del riesame avesse correttamente valutato gli elementi a sostegno dell’accusa di associazione. La serialità e la frequenza delle transazioni, la stabilità dei legami tra i membri (in particolare tra il capo e il nipote, l’indagato), e l’esistenza di una struttura logistica (un distributore di carburanti usato come base) e di canali di approvvigionamento stabili dalla Calabria, sono stati considerati indici chiari di un programma criminoso condiviso e duraturo. Questi elementi, secondo la Corte, vanno ben oltre la semplice collaborazione occasionale tipica del concorso di persone e dimostrano la sussistenza della affectio societatis.

La Presunzione di Pericolosità e l’Irrilevanza del ‘Tempo Silente’

Il punto cruciale della decisione riguarda le esigenze cautelari. La Cassazione ricorda che per il reato previsto dall’art. 74 d.P.R. 309/90 opera una duplice presunzione legale (art. 275, comma 3, c.p.p.): la sussistenza delle esigenze cautelari e l’inadeguatezza di qualsiasi misura diversa dalla custodia cautelare in carcere. Per superare tale presunzione non bastano elementi generici, ma occorrono prove specifiche che dimostrino l’assenza di ogni pericolo.

Nel caso di specie, né l’incensuratezza dell’indagato, né il suo trasferimento in un’altra regione, né il tempo trascorso sono stati ritenuti sufficienti. La Corte ha sottolineato che la gravità dei fatti, il ruolo organizzativo svolto dall’indagato e la solidità dei suoi legami criminali costituivano un indice di elevata capacità criminale e di un concreto e attuale pericolo di reiterazione. Il ‘tempo silente’ non è un automatismo che annulla la pericolosità, ma va valutato insieme a tutti gli altri elementi del caso. La possibilità per l’indagato di riprendere i contatti con i fornitori, anche in regime di arresti domiciliari, ha reso la custodia in carcere l’unica misura adeguata a neutralizzare tale pericolo.

Conclusioni: La Stabilità del Legame Criminale come Elemento Chiave

La sentenza ribadisce la severità dell’ordinamento nel contrastare la criminalità organizzata legata al narcotraffico. La decisione chiarisce che la custodia cautelare in carcere si fonda su una presunzione di pericolosità che può essere vinta solo da elementi concreti e specifici, capaci di dimostrare un reale e definitivo allontanamento dal contesto criminale. La stabilità dei legami e la struttura dell’organizzazione prevalgono su fattori come il tempo trascorso o l’assenza di precedenti penali, confermando un approccio rigoroso a tutela della collettività.

Cosa distingue un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico dal semplice concorso di più persone nello spaccio?
L’associazione si caratterizza per l’esistenza di un programma criminoso stabile e duraturo, una struttura organizzata (anche rudimentale) e la consapevolezza dei membri di far parte di un sodalizio con finalità comuni (affectio societatis). Il concorso, invece, riguarda una collaborazione occasionale per la commissione di singoli reati.

Il tempo trascorso dai fatti (‘tempo silente’) è sufficiente per escludere la custodia cautelare in carcere?
No. Secondo la Cassazione, il ‘tempo silente’ non è di per sé sufficiente a superare la presunzione di pericolosità prevista per reati come l’associazione a delinquere. Deve essere valutato insieme ad altri elementi, come la gravità dei fatti, il ruolo dell’indagato e la persistenza dei suoi legami criminali, che possono indicare un pericolo di recidiva ancora attuale.

Un indagato incensurato può evitare la custodia in carcere se accusato di associazione finalizzata al traffico di droga?
Non necessariamente. Per il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 vige una presunzione legale di adeguatezza della sola custodia in carcere. Lo stato di incensuratezza è un elemento da considerare, ma non è sufficiente da solo a superare tale presunzione se la capacità criminale e la pericolosità sociale dell’indagato, desunte dalle concrete modalità dei fatti, risultano elevate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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