Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7731 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7731 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso di NOMECOGNOME nato a Catania il 12/07/1995, avverso l’ordinanza in data 06/08/2024 del Tribunale di Caltanissetta, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 6 agosto 2024 il Tribunale del riesame di Caltanissetta ha rigettato l’appello cautelare proposto da NOME COGNOME, indagato per i reati dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e per numerosi episodi di violazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, avverso l’ordinanza in data 10 luglio 2024 del G.i.p. del Tribunale di Caltanissetta che aveva rigettato la richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari.
L’indagato ricorre per cassazione sulla base di un solo motivo, per violazione di legge e per vizio di motivazione in merito alle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura applicata.
Evidenzia che i fatti contestati andavano dal giugno 2022 al dicembre 2023 e che la misura cautelare era stata applicata il 3 maggio 2024, per cui mancavano i requisiti di attualità e concretezza del pericolo di recidiva. Inoltre, aveva indicat come indirizzo per scontare gli arresti domiciliari l’abitazione del fratello i Ravenna, così dimostrando la rescissione di legami con l’associazione. Insiste sul ruolo marginale perché il suo nome era comparso per sei mesi e sull’indebolimento del clan, che era stato subito decapitato e smembrato grazie a varie operazioni investigative. Ritiene quindi adeguata la misura degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato perché reiterativo delle medesime doglianze già vagliate e disattese con adeguata motivazione giuridica dal Tribunale del riesame in particolare alle pag. 5 e 6 dell’ordinanza impugnata.
Dopo aver ricapitolato i limiti dell’appello cautelare, il Tribunale del riesame ha rimarcato che l’indagato era prossimo ai vertici del clan, aveva legami ai più alti livelli nel settore del narcotraffico e presentava un’elevata e allarmante pericolosità, per cui gli arresti domiciliari non offrivano adeguate garanzie di soddisfacimento delle esigenze cautelari. Tale motivazione è assolutamente rispettosa dei parametri normativi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. secondo cui nel caso del reato dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 è sempre applicata la misura della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono le esigenze cautelari o che in relazione al caso concreto le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.
Gli elementi allegati dal ricorrente in suo favore, e cioè il decorso del tempo dalla contestazione (esecuzione della misura pochi mesi dopo), il limitato periodo di osservazione della partecipazione (sei mesi), la lontananza del domicilio ove scontare gli arresti, sono stati valutati dal Tribunale del riesame e ritenuti recessivi rispetto al livello dell’associazione e alla caratura criminale.
E’ accertato che l’indagato aveva partecipato a un’associazione dedita al narcotraffico di rilevanti dimensioni e capace di autoprodurre e immettere sul mercato ingenti quantità di stupefacenti di varia natura; aveva svolto il ruolo di intermediario tra i sodali catanesi e quelli barresi; aveva mantenuto stretti rapporti con tutti gli appartenenti al clan, partecipando agli incontri indetti dagli associat per discutere questioni centrali per la vita dell’associazione e il suo impegno era stato costantemente apprezzato nel corso delle investigazioni. E’ pacifico in giurisprudenza che in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, l’affievolimento delle esigenze cautelari, confacente a superare la presunzione di adeguatezza della sola custodia
in carcere, deve risultare da specifici elementi di fatto idonei a dimostrare lo scioglimento del gruppo ovvero il recesso individuale e il ravvedimento del soggetto sottoposto alla misura (Sez. 3, n. 23367 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267341 – 01), ipotesi non ricorrenti nel caso in esame.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P . Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 23 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente