Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1769 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1769 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BOSA il 08/03/1995
avverso l’ordinanza del 12/07/2024 del Tribunale di CAGLIARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre a un’ulteriore somma in favore della cassa delle ammende.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza depositata in data 12/7/2024, il Tribunale di Cagliari, adito ex art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello avanzata nell’interesse di NOMECOGNOME sottoposto alla misura della custodia in carcere per i delitti di cui agli artt 74 commi 2 e 3 e 81 e 73 dPR 309/90, avverso l’ordinanza con cui il GIP del Tribunale di Cagliari aveva rigettato l’istanza di sostituzione della misura con gli arresti domiciliari;
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione RAGIONE_SOCIALE, a mezzo del difensore di fiducia, che con il primo motivo denuncia la violazione di legge sostanziale e la mancanza e la manifesta l’illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza di un concreto e attuale pericolo di reitarazione di reati della stessa specie e del giudizio di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari. La difesa assume che:
fra l’ultima condotta contestata al ricorrente, risalente al gennaio 2022 e il nuovo giudizio cautelare, sollecitato nel giugno 2024, erano intercorsi due anni e sei mesi, “caratterizzati da una autonoma presa di coscienza” e da un “impeccabile comportamento processuale e intramurario”;
il Tribunale aveva ritenuto non significativo il periodo di detenzione in carcere sofferto dall’imputato e la condotta inframuraria ma, contraddicendosi, aveva sostenuto che nei confronti dell’incensurato la detenzione in carcere poteva avere un “effetto deterrente”;
il Tribunale non aveva motivato in ordine all’attualità delle esigenze cautelari, non avendo configurato la sussistenza di reali e concrete occasioni prossime di ricadute nel reato, anche in considerazione del fatto che i soggetti con cui l’imputato aveva avuto sporadiche interlocuzioni risultano detenuti in carcere;
il reato commesso dall’imputato a Macomer il 5/2/2023 costituiva una ricaduta nel medesimo reato con l’unico effetto di determinare “lo spostamento in avanti del periodo di contestazione riguardante il ricorrente”, senza che dal delitto potessero trarsi elementi in ordine al rischio di recidiva;
in ogni caso il rischio di recidiva poteva essere neutralizzato con l’applicazione degli arresti domiciliari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Nella fattispecie, come osservato dall’ordinanza impugnata, in ragione dei fatti oggetto di imputazione, opera il comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., che pone una presunzione “temperata” di adeguatezza del presidio di massima afflittività. In tema di valutazione delle esigenze cautelari, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la pericolosità sociale, nei termini cristallizzati dal legislatore all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., si desume congiuntamente dall’apprezzamento prognostico di fatti storicizzati, quali le specifiche modalità e circostanze del fatto, e dalla personalità dell’agente (Sez. 6, n. 45489, del 21/6/2018; Sez. 5, n. 49038, del 14/6/2017, Rv. 271522; Sez. 1, n. 37839, del 2/3/2016, Rv. 267798; Sez. 3, n. 1166, del 2/12/2015 (dep. 2016), Rv. 266177).
La doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen., opera anche nella fase successiva all’applicazione della misura: l’art. 299, comma 2, cod. proc. pen., che prevede che la misura sia sostituita con altra meno grave o applicata con modalità meno gravose quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura non appaia più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere
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irrogata, fa salvo “quanto previsto dall’art. 275, comma 3”. In relazione a tali reati, dunque, continua a valere – anche in sede di valutazione circa la sostituzione della misura – il principio fissato da tale ultima disposizione, secondo cui è applicata la custodia cautelare, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sono sussistenti esigenze cautelari e che le stesse possono essere soddisfatte con misure meno afflittive (Sez. 3, n. 46241 del 20/09/2022, Rv. 283835 – 01).
2. Orbene, già il GIP, sul tema della persistenza delle esigenze cautelari di prevenzione speciale e adeguatezza della misura, con l’ordinanza in data 17/6/2024 aveva rilevato che la difesa non aveva “fornito elementi nuovi dai quali dedurre un mutamento della situazione in ordine al pericolo di reiterazione alla cui prevenzione la misura è finalizzata”. Il Tribunale, dopo aver ricordato che nei confronti di Demontis sono state accertati, nell’arco di un anno, 24 episodi di trasporto di quantitativi di cocaina, mai inferiori al chilogrammo ogni volta, e che, per effetto della contestazione del reato associativo, opera la predetta doppia presunzione, ha sottolineato la personalità spregiudicata dell’imputato, dedito con continuità al narcotraffico, e l’intento di locupletazione che l’aveva animato, richiamando all’uopo una intercettazione che sottolineava come dall’attività di corriere svolta potesse derivare un profitto di C 5000,00 a settimana. Ha quindi dato atto del consolidato orientamento di legittimità secondo il quale nella materia cautelare il decorso del tempo, in quanto tale, possiede una valenza neutra ove non accompagnato da altri elementi idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità, per poi procedere alla verifica se, trattandosi della prima esperienza detentiva e di soggetto incensurato, il periodo di carcerazione potesse aver svolto un effetto deterrente così affievolendo il rischio di ricaduta nel reato. Nell’ambito di tale verifica, inoltre, si è tenuto conto che, dall’attività captativa sembrava emergere che nel gennaio 2022 l’imputato avesse interrotto i rapporti di collaborazione con l’associazione ma si è ritenuto che tale dato fosse neutralizzato dalla sentenza di applicazione pena del 6/2/2023 per i reati di cui all’art. 73 commi 1 e 4 d.P.R. 309/90 per fatti commessi a Macomer il 5/2/2023, che dimostravano lo stabile inserimento di Demontis in “ambienti criminali di un certo spessore” e l’incapacità del predetto di “limitare i propri comportamenti a ntisocia li”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Logica e conseguenziale, da tali premesse, risulta la conclusione del Tribunale secondo cui la misura degli arresti domiciliari, stante la dimostrata incapacità di autocontrollo dell’indagato, non garantirebbe la rescissione dei collegamenti con l’ambiente criminale di riferimento né impedirebbe eventuali azioni criminose.
3. La tenuta logica di tale apparato argomentativo non è scalfita dagli argomenti difensivi.
Il decorso del tempo dall’ultimo reato fine posto in essere dall’imputato, cui il ricorso assegna notevole importanza, afferisce la fase precedente all’applicazione della misura cautelare e non può assumere rilevanza ai fini del presente giudizio.
Il procedimento, infatti, ha preso le mosse da una istanza di revoca della misura e non dalla contestazione del provvedimento applicativo della stessa.
In tema di misure cautelari applicate per un reato di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., questa Corte ha precisato che “il c.d. “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato non costituisce oggetto di valutazione ex art. 299 cod. proc. pen. ai fini dei provvedimenti di revoca o di sostituzione della misura, rispetto ai quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della stessa, siccome qualificabile, in presenza di ulteriori elementi di valutazione, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari” (Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590 – 01; conf. Sez. 2, n. 12807 del 19/2/2020, COGNOME; Sez. 2, n. 46368 del 14/9/2016, COGNOME).
Con riferimento alla rilevanza del periodo di custodia in carcere e al comportamento osservato dall’imputato, il carattere non dirimente assegnato dal Tribunale a tali fattori al fine di consentire il superamento della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., trova riscontro nel consolidato orientamento di legittimità (ex multis, Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, Rv. 282766 – 02; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, Rv. 282004; Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 10/02/2022, Rv. 282865).
Destituite di fondamento risultano anche le censure difensive volte a contestare il rilievo in chiave prognostica, per quanto non necessario, afferendo alla fase precedente all’applicazione della custodia cautelare in carcere, dato dal Tribunale ai fatti del 5/2/2023, essendo la nuova violazione della disciplina sugli stupefacenti intervenuta dopo che, il 20/1/2022, il corriere che aveva sostituito COGNOME era stato arrestato in flagranza di reato mentre trasportava “tre panetti di droga utilizzando la stessa autovettura” che fino a qualche giorno priva era stata in uso al ricorrente e dopo il sequestro, avvenuto il 22/1/2022, di kg. 11 di cocaina all’organizzazione nel cui interesse erano stati effettuati i trasporti di droga dal ricorrente. Non presenta, pertanto, vizi di manifesta illogicità la conclusione del Tribunale secondo cui il nuovo episodio era indicativo del fatto che l’azione di contrasto delle forze dell’ordine non aveva avuto alcun effetto sulla volontà di COGNOME di arricchirsi rapidamente attraverso la commercializzazione della droga.
4. Deve, quindi, concludersi che il giudice dell’appello cautelare, ritenuta non vinta da alcun sopravvenuto elemento di valutazione la presunzione di adeguatezza della sola misura carceraria, ha concretamente apprezzato l’inanità della misura domiciliare invocata a contenere la spinta criminale dell’agente, per
come rappresentata dai fatti per cui è cautela e dalla personalità del medesimo. Non sono, pertanto, configurabili i dedotti vizi motivazionali denunciati / C-Oen COtvge C4444.0»,e, · 5. Alla inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, sussistendo per quanto sopra evidenziato, profili di colpa nella devoluzione di domanda non coerente con i motivi posti a sostegno, la condanna al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.
Non conseguendo al presente provvedimento la rimessione in libertà del ricorrente, va disposta, a cura della cancelleria, a mente della previsione dell’art. 94 comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen., la trasmissione di copia della sentenza al direttore dell’istituto penitenziario ove l’indagato si trova detenuto affinché provveda a quanto stabilito dal precedente comma 1-bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 10/12/2024