LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Custodia cautelare in carcere: quando è inevitabile

Un soggetto, già condannato per traffico di stupefacenti commesso all’interno di un penitenziario, si è visto negare la sostituzione della misura con gli arresti domiciliari. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la custodia cautelare in carcere è l’unica misura adeguata a fronte di un’elevata pericolosità sociale, desumibile sia dai gravi precedenti penali sia dal fatto che i reati sono stati commessi proprio durante la detenzione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia cautelare in carcere: quando la pericolosità non si attenua

La recente sentenza n. 13185/2025 della Corte di Cassazione offre un’importante riflessione sui criteri di applicazione della custodia cautelare in carcere, specialmente in contesti di reati gravi come il traffico di stupefacenti. La decisione ribadisce che, di fronte a una comprovata e persistente pericolosità sociale, la misura detentiva più afflittiva rimane l’unica opzione percorribile, anche a fronte del trascorrere del tempo.

I Fatti del Caso: Traffico di Droga dall’Interno del Penitenziario

Il caso riguarda un individuo già condannato in primo e secondo grado a una pena di sette anni e dieci mesi di reclusione per aver partecipato a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. La particolarità della vicenda risiede nel fatto che l’attività illecita, consistente nell’introduzione e cessione di droga, avveniva all’interno dell’istituto penitenziario in cui il soggetto era detenuto.

Nonostante la condanna, l’imputato ha presentato un’istanza per ottenere la sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari. La richiesta si fondava su tre argomenti principali: l’affievolimento delle esigenze cautelari dovuto al tempo trascorso, la conclusione del processo di appello e la revoca delle misure cautelari nei confronti di altri coimputati, che a suo dire dimostrava lo scioglimento dell’associazione criminale.

La Valutazione del Tribunale e il Ricorso in Cassazione

Il Tribunale della Libertà aveva respinto la richiesta, ritenendo che la presunzione di adeguatezza della misura carceraria, prevista dalla legge per reati di tale gravità, non fosse stata superata. La difesa ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando l’illogicità della motivazione, la mancata uniformità di trattamento rispetto ai correi e la violazione del principio di extrema ratio della detenzione in carcere, senza un’adeguata valutazione dell’idoneità degli arresti domiciliari.

La Decisione sulla custodia cautelare in carcere

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione del Tribunale. Gli Ermellini hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive, offrendo chiarimenti fondamentali sui presupposti per il mantenimento della custodia cautelare in carcere.

La Corte ha specificato che il decorso del tempo è un fattore fisiologico e non implica automaticamente un’attenuazione della pericolosità. Anzi, la definizione del processo con rito abbreviato ha avuto l’effetto di ‘cristallizzare’ la gravità degli indizi a carico del ricorrente. Inoltre, è stato ribadito il principio dell’autonomia delle posizioni cautelari: la revoca della misura per altri coimputati non è un argomento decisivo, poiché ogni valutazione deve basarsi sulla personalità e sul contributo specifico di ciascun individuo al reato.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella valutazione della personalità del ricorrente e delle concrete modalità dei fatti. La Corte ha posto l’accento su due elementi dirimenti:
1. I precedenti penali: L’imputato annoverava otto precedenti penali, di cui ben sette specifici in materia di stupefacenti. Questo dato è stato considerato un indicatore inequivocabile di una spiccata e radicata propensione a delinquere.
2. Il contesto del reato: Il fatto che i delitti siano stati commessi ‘addirittura mentre era detenuto in carcere’ è stato ritenuto dalla Corte la prova più lampante dell’inadeguatezza di qualsiasi misura meno afflittiva. Secondo i giudici, è ‘del tutto irrealistico’ pensare che un soggetto che delinque in un ambiente di massima restrizione possa poi rispettare le prescrizioni meno vincolanti degli arresti domiciliari, che implicherebbero la possibilità di avere contatti con l’esterno.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale in materia di misure cautelari: la valutazione della pericolosità sociale deve essere concreta e ancorata alla storia criminale del soggetto e alle modalità specifiche del reato. Quando un individuo dimostra di non essere inibito nemmeno dallo stato di detenzione, la presunzione legale a favore della custodia cautelare in carcere si rafforza, rendendo impraticabile l’applicazione di misure alternative. La decisione sottolinea che la tutela della collettività dal pericolo di recidiva prevale, in questi casi, sull’esigenza di applicare la misura meno gravosa possibile.

Il semplice passare del tempo è sufficiente a ridurre le esigenze cautelari e giustificare la sostituzione della custodia in carcere?
No. Secondo la Corte, il tempo trascorso in stato di detenzione è un aspetto fisiologico della misura stessa e rileva principalmente ai fini del calcolo dei termini massimi di custodia. Non determina automaticamente un affievolimento della pericolosità dell’imputato.

La revoca della misura cautelare ai coimputati obbliga il giudice a concedere lo stesso trattamento a tutti?
No. Le posizioni cautelari sono autonome e devono essere valutate singolarmente. La decisione presa per un coimputato non vincola il giudice nella valutazione di un altro, poiché contano il diverso contributo alla realizzazione del reato e i profili di personalità di ciascuno.

Perché è stata ritenuta inadeguata la misura degli arresti domiciliari in questo caso specifico?
La Corte ha ritenuto gli arresti domiciliari del tutto inadeguati perché il ricorrente aveva commesso i reati di traffico di stupefacenti proprio mentre si trovava già detenuto in carcere. Questo comportamento dimostra un’elevatissima pericolosità e rende irrealistico pensare che possa rispettare le prescrizioni di una misura meno restrittiva, che gli consentirebbe maggiori contatti con l’esterno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati