Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36665 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36665 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME NOME a MADDALONI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 18/03/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Napoli
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che si riporta alla memoria in atti e conclude per la inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Napoli, in accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, avverso l’ ordinanza della Corte di assise di Napoli del 20.12.2024, che aveva sostituito la misura cautelare della custodia in carcere, applicata nei confronti di COGNOME NOME, con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari, con l’ulteriore presidio del braccialetto elettronico , ha riapplicato la misura cautelare custodiale, per il delitto di RAGIONE_SOCIALE a delinquere sovversiva, di cui al l’art.270 cod. pen., con ruolo di ideatore, promotore ed organizzatore, così riqualificato il reato di cui all’art.270 bis, commi 1, 2, e 3, cod.
pen., con sentenza della Corte di assise di Napoli, sodalizio operante anche attraverso la diffusione del sito web dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e l’utilizzazione di altri social media , e per il r eato di cui all’art.604 bis cod. pen. , per avere compiuto attività di propaganda delle idee, fondate sulla superiorità e sull’odio razziale ed etnico , e di istigazione a commettere atti di discriminazione e di violenza per motivi razziali ed etnici, fondati anche sulla minimizzazione e sull’ apologia della Shoah.
Contro l’anzidetta ordinanza, l ‘indagato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, affidato a tre motivi, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli art.274, comma 1, lett. c), e 125, comma 3, cod. proc. pen, in punto di esigenze cautelari.
Si duole della assenza di congrua motivazione circa l’esistenza di un pericolo concreto ed attuale di reiterazione dei reati, in ossequio ai criteri delineati dalla giurisprudenza di legittimità, con riguardo alla assenza di elementi specifici che dimostrino un’effettiva propensione a delinquere o la possibilità concreta di reiterazione di condotte criminose. Si deduce che la mera appartenenza del ricorrente al contesto associativo non sarebbe sufficiente a giustificare l’aggravamento della misura cautelare personale , in mancanza di alcun riferimento ad un elemento ideologico definito, alla disponibilità di mezzi materiali e all’effettiva idoneità del sodalizio a realizzare atti di violenza atti a destabilizzare l’ordine democratico .
2.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt.275, comma 3, e 273 e 125, comma 3, cod. proc. pen., in punto di esigenze cautelari, con riguardo al mutamento del quadro cautelare, intervenuto nel corso del procedimento a carico del ricorrente, per la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico. Si deduce la mancanza della attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato, di fuga e di inquinamento probatorio , richiamando la disgregazione dell’RAGIONE_SOCIALE sovversiva, la rottura dei rapporti tra il ricorrente ed i principali soggetti coinvolti, il sequestro dei beni utilizzati per l’attività di proselitismo e l’avvenuto smantellamento dei canali di comunicazione associativi.
La presunzione, relativa, di adeguatezza della misura carceraria di cui all’art.275, comma 3, cod. proc. pen., opererebbe solo nella fase genetica del procedimento e non impedirebbe successive valutazioni in termini di attualità e concretezza della permanenza delle esigenze cautelari, ai fini della sua eventuale
sostituzione, mentre non potrebbe giustificarsi il mantenimento della misura più gravosa in assenza di attualità del pericolo.
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt.270 cod. pen., 275, comma 3, e 125, comma 3, cod. proc. pen., con riguardo alla intervenuta riqualificazione del reato contestato. Si deduce l’apparenza della motivazione in quanto il Tribunale non avrebbe tenuto conto della derubricazione, compiuta nella sentenza della Corte di assise di Napoli, della iniziale contestazione del reato di cui all’art.270 bis cod. pen. nella meno grave ipotesi di RAGIONE_SOCIALE sovversiva di cui all’art.270 cod. pen. , che ha inciso sia sotto il profilo della tipologia ed intensità della condotta sia rispetto al quadro cautelare originariamente del ineato nell’ordinanza genetica . Si duole della mancata considerazione di circostanze quali, l’assenza di ulteriori episodi specifici, i l disarmo operativo dell’RAGIONE_SOCIALE , la cessazione di contatti strategici, il sequestro di beni strumentali, elementi che avrebbero dovuto indurre il Tribunale ad escludere la sussistenza delle condizioni per il mantenimento della custodia in carcere ed a rivalutare la proporzionalità e l’attualità delle esigenze cautelari .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e va rigettato.
Per le questioni trattate appare opportuno l’esame congiunto dei primi due motivi di ricorso
2.1 In primo luogo, secondo la consolidata giurisprudenza che si condivide, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per i reati di partecipazione ad RAGIONE_SOCIALE mafiosa, sovversiva o terroristica, ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., come modificato dall’art. 4, comma 1, legge 16 aprile 2015, n. 47, sussiste una doppia presunzione, “relativa” quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari ed “assoluta” con riguardo all’adeguatezza della misura carceraria; ne consegue che, il giudice non ha l’obbligo di dimostrare in positivo la ricorrenza dei pericula libertatis, ma deve soltanto apprezzare gli eventuali segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio criminale tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione, in mancanza dei quali va applicata in via obbligatoria la misura della custodia in carcere (Sez. 2, Sentenza n. 24515 del 19/01/2023, Rv. 284857 -01; Sez. 5 n. 51742 del 13/06/2018, COGNOME, Rv.
275255 – 01; Sez. 1, n. 3776 del 28/10/2015, dep. 2016, Notarianni, Rv. 266005 – 01).
Al riguardo, le Sezioni Unite Lipari hanno affermato che, come si evince da una lettura complessiva del testo normativo, il legislatore ha inteso attribuire alla presunzione assoluta di cui all’art. 275, comma 3, del codice di rito, il carattere di eccezionalità, reso palese dall’elencazione specifica dei reati cui ha voluto ricollegare detta presunzione e dall’espressione «salvo che non siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari». Dunque, in deroga alla regola AVV_NOTAIO enunciata nel comma uno dello stesso articolo secondo cui il giudice, nel disporre le misure, «tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari» – ed in deroga altresì al principio della custodia in carcere quale extrema ratio, fissato nell’incipit del comma 3, il legislatore ha ritenuto, per determinati reati, specificamente indicati, di dover stabilire una presunzione assoluta di idoneità della più afflittiva delle misure. Da tanto, consegue che l’interpretazione della disposizione, come affermato da condivisibile giurisprudenza di questa Corte, non può che essere quella più rigorosa consentita dall’enunciato letterale, in stretta aderenza alla ratio normativa, chiaramente ravvisabile, nel caso in esame, nella necessità di ricercare un giusto contemperamento delle opposte esigenze del diritto alla libertà dell’indagato (o imputato) e della tutela della collettività (come evidenziato dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 450 del 1995). Così individuata la ratio della norma, è stato ritenuto, quale logica conseguenza, che detta presunzione debba operare non solo nel momento genetico della misura, ma per tutte le vicende successive, in presenza di esigenze cautelari. Conclusione, questa, che risulta poi viepiù rafforzata, come detto, da ragioni di ordine logico e sistematico. Sotto il primo aspetto, non risponderebbe a criteri di logica – avuto riguardo alla ratio della disposizione quale individuata già sulla scorta del dato letterale – imporre, per delitti ritenuti dal legislatore di particolare gravità, l’adozione della custodia cautelare in carcere se poi fosse possibile sostituirla con misura meno afflittiva (così come evidenziato da Sez. 2, n. 11749 del 16/02/2011, Armens, Rv. 249686, sopra ricordata).
Con riguardo al momento di operatività della presunzione, il motivo non si confronta con l’ordinanza impugnata, in quanto reitera censura affrontata dal Tribunale che, con motivazione immune da vizi di illogicità, richiama la costante e condivisibile giurisprudenza di questa Corte sin dalla pronuncia delle Sezioni Unite Lipari sulla presunzione assoluta di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere.
Dal punto di vista sistematico, le Sezioni Unite Lipari hanno sottolineato che: a) nel primo periodo del comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., con riferimento
alla custodia in carcere, quale misura da adottare solo ove ogni altra misura risulti inadeguata, è stata usata la formulazione «può essere disposta», mentre con riferimento alla presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere, di cui al successivo periodo, il legislatore ha fatto ricorso alla diversa formulazione «è applicata»: orbene, non sembra che tale diversa terminologia sia senza significato, posto che il termine “disposta” consente di individuare certamente proprio il momento genetico, a differenza della parola “applicata” che, infatti, risulta poi usata anche nell’art. 299 cod. proc. pen. dedicato alla “revoca e sostituzione delle misure”; b) nell’art. 299 cod. proc. pen., che, come appena ricordato, pur contiene le disposizioni che disciplinano la revoca e la sostituzione delle misure, vi è, nell’incipit del comma 2, il richiamo alla presunzione di adeguatezza di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. quale eccezione alla possibilità di sostituzione della misura in corso nel caso di attenuazione delle esigenze cautelari ovvero quando la misura applicata non appare più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata: risulta, dunque, chiara l’intenzione del legislatore, avuto riguardo alla collocazione dell’eccezione ed alla formulazione della norma, di aver voluto rendere operativa la presunzione di adeguatezza della misura della custodia in carcere, prevista dal comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., per i reati ivi elencati, per l’intera durata della vicenda cautelare e non per il solo momento iniziale in cui detta misura viene disposta. Né tale opzione ermeneutica risulta efficacemente contrastata dall’argomento che, in alcune delle sentenze, espressione dell’indirizzo minoritario, si è ritenuto di poter individuare nel comma 4 dell’art. 299 cod. proc. pen., laddove è previsto che, fermo restando quanto è stabilito nell’art. 276 cod. proc. pen. (provvedimenti in caso di trasgressione alle prescrizioni imposte), «quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, sostituisce la misura applicata con un’altra più grave ovvero ne dispone l’applicazione con modalità più gravose». Ed invero, nell’art. 299 cod. proc. pen, accanto alla revoca della misura (comma 1), è prevista anche la sostituzione della misura: in senso meno afflittivo, nel caso di attenuazione delle esigenze cautelari (comma 2) o in senso più severo, e su richiesta del pubblico ministero, nel caso di aggravamento delle esigenze stesse (comma 4). Le disposizioni di cui ai commi 2 e 4 dell’art. 299 cod. proc. pen. sono dunque simmetriche, e, come correttamente ritenuto, dall’orientamento maggioritario, che questa Corte condivide, non si rilevano nella formulazione del comma 4 elementi persuasivi a favore dell’orientamento interpretativo minoritario. La sostituzione di una misura con altra meno afflittiva, nel caso di attenuazione delle esigenze cautelari, così come prevede l’art. 299, comma 2, cod. proc. pen., è chiara espressione della regola AVV_NOTAIO che comporta una continua verifica, da parte del giudice, circa il
permanere delle condizioni che hanno determiNOME la limitazione della libertà personale e la scelta di una determinata misura cautelare. Orbene, a tale regola che governa l’aspetto per così dire dinamico della vicenda cautelare, discipliNOME nel contesto normativo dell’art. 299 cod. proc. pen. – il legislatore ha inteso porre un’eccezione, attenuando la discrezionalità del giudice, con l’introduzione di criteri legali di valutazione, e così ponendo una presunzione assoluta di adeguatezza della misura della custodia in carcere per determinati reati in quanto ritenuti di particolare pericolosità sociale: presunzione che deve ritenersi operante non solo in occasione dell’adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva (art. 275, comma 3, cod. proc. pen.) ma, necessariamente, anche per il prosieguo della vicenda cautelare proprio perché espressamente richiamata nel comma 2 dell’art. 299 cod. proc. pen. («salvo quanto previsto dall’art. 275 comma 3») (Sez. U, Ordinanza n. 34473 del 19/07/2012, Lipari, Rv. 253186 -01).
La successiva giurisprudenza di legittimità ha ribadito tale principio del momento di operatività della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., anche nelle successive vicende cautelari, che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari. Ne consegue che solo fatti nuovi, anche se apprezzati congiuntamente a quelli originariamente esaminati, dai quali risulti un mutamento “in melius” del quadro indiziario, possono condurre alla sostituzione della misura con altra meno afflittiva.
In tema di misure cautelari coercitive personali, il requisito dell’attualità del pericolo di recidiva, introdotto all’art. 274 cod. proc. pen. dalla legge n. 47 del 2015 assume rilevanza, con riferimento al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare, non solo al momento della adozione della misura, ma, altresì, ai fini della valutazione della permanenza dell’adeguatezza della misura applicata (Sez. 1, Sentenza n. 82 del 10/11/2015, dep. 2016, Rv. 265383 -01; Sez. 3, Sentenza n. 15925 del 18/12/2015, dep. 2016, Rv. 266829 -01).
Con motivazione immune da vizi di illogicità, il Tribunale ha escluso la incostituzionalità della assolutezza della presunzione e della sua operatività in tutta la fase cautelare in cui si ravvisi la sussistenza delle esigenze cautelari, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 270 cod. pen., sia perché le ragioni, che depongono per la legittimità della presunzione per il delitto di cui all’art.270 bis cod. pen., come ritenuta dalla Corte Cost. con sentenza 191/2020, unica fattispecie per la quale la questione è stata proposta, possono estendersi alla fattispecie contestata, qualificata come RAGIONE_SOCIALE sovversiva, sia perché, con riguardo al reato di cui all’art.270 cod. pen. , la questione di legittimità costituzionale non è stata posta dalla difesa.
Con motivazione immune da censure, il Tribunale ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale, che ha affermato che ‘l’adesione ad una ideologia che teorizza l’uso della violenza in una scala dimensionale tale da poter cagionare un grave danno a intere collettività’ è tale da contrassegnare nel modo più profondo l’appartenenza del singolo all’RAGIONE_SOCIALE terroristica, e che tale ‘appartenenza -proprio come quella che lega pur con modalità diverse il partecipe all’RAGIONE_SOCIALE mafiosa -normalmente perdura anche durante le indagini e il processo e comunque non viene meno per il solo fatto dell’ingresso in carcere del soggetto, continuando così ad essere indicativa di una sua pericolosità particolarmente accentuata’. Ciò in quanto questa appartenenza ad una comunità unita da un preciso collante ideologico -che spesso trascende i confini nazionali -segna d’altra parte un netto discrimine tra l’RAGIONE_SOCIALE terroristica e le altre associazioni criminose, di cui la Corte Costituzionale si è occupata nella propria giurisprudenza sull’art.275 cod. proc. pen., dal momento che tali associazioni sono caratterizzate al più dalla convergenza delle attività dei partecipi rispetto all’obiettivo immediato dell’esecuzione di reati o all’acquisizione dei rela tivi profitti: obiettivo di per sé frustrato o comunque gravemente scompagiNOME dalle indagini penali e dalle misure cautelari che ne conseguono’; ‘il normale permanere del vincolo di appartenenza del singolo all’RAGIONE_SOCIALE terroristica -intesa anche nella sua dimensione di sua casa ideale, nella quale il partecipe investe l’intera propria dimensione personale, in quanto spesso disposto a sacrificare la propria vita in nome del progetto condiviso -appare alla base della valutazione legislativa che considera le misure cautelari non custodiali, in primis gli arresti domiciliari, inidonee a controllare la sua del tutto peculiare pericolosità’.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto di potere estendere anche alla fattispecie di cui all’art.270 cod. pen. le superiori argomentazioni, in quanto formulate in relazione ad un caso concreto, seppur relativo alla appartenenza ad RAGIONE_SOCIALE terroristica, che presentava molteplici affinità con quello all’esame del Tribunale, per le caratteristiche di tale RAGIONE_SOCIALE, il cui programma esprime una concezione del mondo basata sulla violenza, sulla discriminazione e sull’esaltazione di una razza e sull’affermazione di una categoria di persone ritenute superiori rispetto alle altre.
Il Tribunale ha motivato anche in concreto le ragioni della inadeguatezza della misura cautelare degli arresti domiciliari, a nche con l’uso del braccialetto elettronico, richiamando la persistenza delle esigenze cautelari per la pratica impossibilità di impedire la ripresa dei contatti con altri associati, ancora in libertà, attraverso l’uso di telefoni e di internet , sussistendo il pericolo di un allontanamento senza autorizzazione dalla abitazione e di commissione di gravi
reati in esecuzione del programma criminoso dell’RAGIONE_SOCIALE, di cui il ricorrente continua a far parte.
In ogni caso, la presunzione di adeguatezza è stata correttamente ritenuta suffragata da altri elementi concreti, che hanno giustificat o l’aggravamento della misura cautelare con quella massima, e tali da rendere inidonea una misura meno afflittiva.
Al riguardo, il Tribunale ha considerato: la operatività del sodalizio per lungo tempo (dal 2016 al 2022); il ruolo, di capo e promotore, rivestito dal ricorrente all’interno del sodalizio , che ha diretto l’azione dei sodali , operando anche quale collettore delle istanze di insoddisfazione e paura della popolazione (durante la pandemia) , all’interno del territorio nazionale, attraverso i social media e i canali Telegram (come emerso da video, post, audiomessaggi dell’COGNOME, inneggianti alla ideologia nazista, alla purificazione della razza ariana , all’odio contro ebrei, neri e omosessuali), diffondendo ideologie e metodi in contrasto con lo Stato democratico, visto come una illegittima imposizione contro cui combattere, anche a costo di usare la violenza, come emerso dagli addestramenti militari dei sodali; la mancata dissociazione del ricorrente dal sodalizio e dalla ideologia violenta e sovversiva, che attraverso l’RAGIONE_SOCIALE mirava a realizzare, nonché l’assenza di qualsiasi forma di riconsiderazione e di ravvedimento per i reati commessi.
Il Tribunale ha, inoltre, valutato la concreta possibilità di ripresa da parte del ricorrente della propria attività illecita, anche da casa, per il largo uso della rete internet a fini propagandistici, di collegamento con soggetti operanti all’estero, in grado di fornire armi e addestramento militare, ritenuti essenziali alla realizzazione degli scopi del sodalizio . L’abitazione del ricorrente era, inoltre, attrezzata come un campo militare per l’addestramento militare e come tale era utilizzata dal gruppo.
Il Tribunale ha valorizzato la pervicacia, la spregiudicatezza e la trasgressività del ricorrente, la capacità di eludere le investigazioni e la consapevolezza della illegalità dell’RAGIONE_SOCIALE , desumibile dalle precauzioni e cautele, che lo stesso adottava ed imponeva ai sodali, per non essere intercettato durante le riunioni dell’RAGIONE_SOCIALE , nonché dalla deliberata decisione di sottrarsi al pagamento delle tasse, che unitamente alla manifestata intenzione di sovvertire l’ordine costituito, anche median te l’uso della violenza nei confronti delle forze dell’ordine, rendeva inadeguata la misura autocustodiale, proprio perché basata sulla capacità di autodeterminazione dell’imputato .
Ulteriore elemento di valutazione è costituito dai rapporti del ricorrente con altre associazioni di carattere neonazista analoghe, anche operanti all’estero (Ucraina), dalla presenza di un numero indefinito di adepti, alle ideologie
sovversive professate da COGNOME‘COGNOME , su tutto il territorio nazionale, nonché dalla composizione del sodalizio con soggetti ancora in libertà (COGNOME e COGNOME) e latitanti (COGNOME NOME), mentre la individuazione di una piccolissima parte di soggetti (quattro), sottoposti a misura non custodiale, a fronte di un vasto numero di iscritti (658), con possibilità di accoglierne di nuovi, anche mediante la propaganda eversiva via web, è stata correttamente ritenuta inidonea a scompaginare il sodalizio, per la facilità di ripresa dei contatti tra gli aderenti.
Infine, sono stati valorizzati i rapporti con fatti relativi ad altro procedimento penale, pendente presso il Tribunale di Bologna (OCC del 26.11.2024), nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, poi diventato RAGIONE_SOCIALE, ‘ cellula locale del più grande e diffuso gruppo di ispirazione neonazista RAGIONE_SOCIALE, ancora attivo nel 2024, il collegamento tra i gruppi criminali oggetto dei due procedimenti, sui canali Telegram, punto di incontro, per diffondere messaggi comuni di chiara ispirazione nazista e antisemita ed organizzare azioni di propaganda e proselitismo.
Il Tribunale ha, inoltre, indicato l’elemento dell’urgenza di passare all’azione del gruppo, attraverso iniziative violente di varia tipologia , nonché l’intenzione di selezionare tra gli adepti coloro che fossero disponibili non solo ad una militanza digitale ma anche ‘a iniziare una sorta di addestramento , culturale, tramite lo studio di testi condivisi, fisico, tramite veri e propri allenamenti motori, ossia un vero e proprio arruolamento’.
2.2 Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Con riguardo alla riqualificazione del reato nella fattispecie di cui all’art.270 cod. pen., il Tribunale, confrontandosi con il motivo, ha richiamato la sentenza di condanna, che non ha, comunque, escluso la estrema gravità dei fatti, tenuto conto della pena edittale prevista e la operatività della presunzione legale di cui all’art.275, comma 3, cod. proc. pen. in relazione ad una RAGIONE_SOCIALE diretta a sovvertire violentemente l’ordinamento costituito, caratterizzata dalla sovversione e dalla violenza di tipo generico, volta a sovvertire l’ordinamento politico, giuridico , economico e sociale, elementi comuni a quelli della RAGIONE_SOCIALE terroristica di cui all’art.270 bis cod. pen., quali l’uso indiscrimiNOME della violenza anche in incertam personam .
Quanto alla valutazione della pericolosità del sodalizio, denomiNOME RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale ha richiamato l’accertamento compiuto dalla sentenza di condanna, che lo definisce come una vera e propria RAGIONE_SOCIALE formale, con struttura complessa e articolata, dotata di atto costitutivo, sede, iscrizione previa preventiva approvazione e pagamento di apposita quota, rituale iniziatico, congruo periodo di partecipazione e formazione, con organizzazione gerarchica e
suddivisione degli adepti in cinque categorie, vincolati con voto di segretezza verso l’ordine, esistenza di una attività di addestramento militare o paramilitare, possesso di armi ed esplosivi da parte dei sodali, nonché con la esplicita dichiarazione di essere pronti ad usare le armi contro obiettivi civili e contro la RAGIONE_SOCIALE Marigliano.
Elementi significativi sono stati desunti dalla capacità di fare proseliti e di ingrossare le fila del gruppo attraverso la rete web, l’attività di sobillazione delle piazze, l’ elevato livello comunicativo e di preparazione ideologica, attraverso studi e percorsi di formazione, anche sul tema di morire in battaglia (rivelato dalle captazioni), con la previsione di riunioni periodiche per condividere gli scopi illeciti dell’RAGIONE_SOCIALE , stabilire le linee programmatiche del sodalizio, preordiNOME ad una vera e propria guerra volta allo scopo i llecito di sovvertire l’ordine dello Stato , desumibile dai numerosi post pubblicati tramite il canale Telegram Protocollo 4, dalla gravità delle affermazioni sostenute dai sodali e dalla propaganda con pubblicazione di post contenenti video e foto di aperta esaltazione del nazismo (p.30 della ordinanza).
Ulteriori elementi sono stati ricavati dal contenuto della conversazione n.3068 del 24/03/2021, intercorsa tra l’indagato e la madre, in cui NOME afferma di essere disposto a mettersi addosso ‘una bomba e a farli saltare in aria’ e la conversazione n.2271 del 17/02/2021, in cui è espressa in modo esplicito l’intenzione di passare all’uso delle armi .
Dal contenuto delle intercettazioni, intercorse tra NOME ed i sodali, in cui gli interlocutori spess o usano l’espressione ‘ fare la guerra’ , il Tribunale ha dedotto che l’RAGIONE_SOCIALE costituiva uno schermo formale dietro il quale si muove un’RAGIONE_SOCIALE molto più ampia, ben organizzata, volta a diffondere l’odio e il disprezzo per il popolo ebraico, sostenendo il negazionismo della Shoah e richiamando tutti gli archetipi simbolici e comportamentali che hanno contraddistinto il nazismo.
A fronte di tali evidenze processuali, con motivazione immune da vizi, il Tribunale ha ritenuto la distanza temporale tra i fatti contestati e l’applicazione della misura custodiale (poco più di due anni) non possa essere considerato elemento dirimente per vincere la presunzione relativa, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., giacché è certa o, comunque, altamente probabile, considerata la caratura criminale estrinsecata da COGNOME, l’assenza di elementi idonei a provare l’effettivo ed irreversib ile allontanamento dello stesso dall’ambiente criminale, in cui sono maturate le vicende illecite, e dai fattori causali dei suoi illeciti comportamenti. Il Tribunale correttamente ha ritenuto irrilevante la formale dichiarazione di chiusura dell’RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, dal quale il ricorrente non ha mai preso le distanze, per la riproposizione di situazioni od occasioni analoghe a quelle
che hanno dato causa al delitto per cui si procede, in costanza delle quali è molto prevedibile che l’indagato, non sottoposto a vincolo coercitivo, finisca per reiterarne il compimento.
2.3 Quanto al c.d. “tempo silente”, trascorso tra gli ultimi fatti e l ‘ esecuzione della misura, deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l’ordinanza che dispone la misura cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dall’art. 299 cod. 2 proc. pen., ai fini della revoca o della sostituzione della misura, rispetto alle quali l’unico tempo, che assume rilievo, è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura in poi, essendo qualificabile, in presenza di ulteriori elementi, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12807 del 19/02/2020, Rv. 278999 -01).
Nel caso di specie, con motivazione congrua ed immune da vizi, richiamando sia i fatti in contestazione sia la personalità dell’imputato, il Tribunale ha pertanto ritenuto di non potere attribuire al c.d. tempo silente né al periodo di custodia sofferta una portata dimostrativa del definitivo distacco di NOME dal sodalizio sovversivo in parola. Al riguardo, l’ordinanza impugnata ha fornito, una motivazione congrua e specifica, evidenziando che dagli atti investigativi era emerso che il ricorrente ricoprisse il ruolo di primo piano quale capo, ideatore e organizzatore, la capacità organizzativa, la piena e totale adesione al programma criminoso, per un lungo arco temporale di impegno, in maniera assorbente, nel proprio progetto criminoso (circa otto anni, fino al suo arresto), indici del pericolo di reiterazione della condotta criminosa, l’estrema gravità dei fatti, l’esistenza di un sodalizio pronto alla violenza fisica e verbale e all’azione, concretamente realizzata anche con il deliberato rifiuto e, quale forma di ribellione, di pagare le tasse, la concreta possibilità di operare tramite la propria abitazione con la rete internet, l’elevatissima pericolosità sociale dell’imputato , circostanze che hanno correttamente rafforzato il convincimento che il decorso del tempo e il periodo di detenzione sofferto non siano stati sufficienti a dimostrare un suo definitivo allontanamento dal sodalizio del quale ha dato prova di condividere pienamente le logiche camorristiche e nel quale era attivamente inserito.
Con motivazione immune da vizi e censure, nella valutazione di proporzionalità della misura custodiale applicata, il Tribunale ha richiamato i precedenti penali per danneggiamenti e lesioni personali , che evidenziano l’indole violenta del ricorrente, mancanza di ravvedimento nonostante il tempo patito in carcere, la non ammissione dei fatti ascritti, la mancata rinnegazione della ideologia a fondamento del progetto sovversivo, la mancanza di elementi per ritenere che il ricorrente si astenga spontaneamente dal commettere reati, nonché
il ruolo verticistico svolto dall’imputato . A fronte di tali elementi, il tempo di custodia sofferto (anni 2 mesi quattro circa, da novembre 2022), risulta inferiore e proporzioNOME alla metà della pena cui l’imputato è stato condanNOME proporzioNOME alla entità della pena inflitta (anni 5 mesi 6 di reclusione).
Il Tribunale ha sottolineato la necessità della sostituzione della misura cautelare in atto con quella della custodia cautelare in carcere al fine della tutela della collettività dal rischio di nuove condotte estremamente pericolose per la collettività e atte a ledere lo stesso ordinamento costituzionale, oltre ad essere discrimiNOMErie e violente per i singoli individui, e la inidoneità degli arresti domiciliari ad esplicare efficacia deterrente.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’ art.28, reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 24/09/2025.
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME