Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15061 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15061 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/04/2025
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
Ercole COGNOME
-Presidente-
Sent. Sez.445/2025
NOME
Relatrice-
C.C. 03/04/2025
NOME COGNOME
R.G.N. 5246/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Soveria Mannelli il 11/05/1991
avverso l’ordinanza del 28/11/2024 del Tribunale di Catanzaro
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
E’ impugnata l’ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro che ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata ad NOME COGNOME classe 1991, con ordinanza del 24 ottobre 2024 in relazione ai reati di cui agli artt. 416bis cod. pen. (capo 1), 74, d.P.R. n. 309/1990 (capo 2); art. 73, d.P.R. n. 309 cit. contestati ai capi 15), 18) e 41), reati tutti aggravati ai sensi
dell’art. 416bis .1 cod. pen., sia per essersi avvalso del metodo mafioso che per la finalità dell’agevolazione dell’associazione mafiosa, il clan Cracolici.
L’ordinanza impugnata ha premesso che il clan COGNOME costiuisce una ndrina storica della ndrangheta calabrese, già operante in Maierato, Filogaso, Cortale e Maida. Le operazioni di intercettazione, svolte anche attraverso i sistemi di videosorveglianza installati presso le aziende impegnate nella coltivazione delle serre di marijuana e, in particolare, in quella di località Corazzo del Comune di Maida ove si registrava la presenza dell’odierno ricorrente, secondo l’ordinanza impugnata, hanno attestato la perdurante operatività dell’associazione in un’ampia zona del territorio ubicato tra Vibo Valentia e Lametia Terme.
Le indagini hanno rivelato che la cosca era impegnata sia nelle attività di coltivazione di sostanze stupefacenti e connesso traffico, anche di droghe pesante e tagli boschivi.
Il clan COGNOME è capeggiato, allo stato, da NOME COGNOME, cl. 1971, in un contesto reso difficile dallo stato di detenzione di molti aderenti ai vari clan, è stato individuato come il soggetto fattivamente impegnato sia nella creazione e mantenimento in vita dei rapporti tra i sodali (ai quali procurava, essendo ristretti agli arresti domiciliari, schede telefoniche), sia nella gestione di una cassa commune, in cui affluivano i guadagni illeciti utilizzati per mantenere gli associati detenuti e i loro congiunti e far fronte alle spese legali. L’ordinanza richiama inoltre, l’impegno di NOME COGNOME nella soluzione di contrasti sul territorio (cfr. pagg. 4 e 5).
Infine, il Tribunale ha evidenziato il ruolo della ndrina COGNOME sottolineandone la emersione, quale referente mafioso sul territorio, della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, ricostruita in complesse attività investigative culminate nel processo cd. ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e in altri processi, ancora in corso.
NOME COGNOME classe 1991, fratello di NOME, è stato ritenuto partecipe di entrambe le associazioni: a tale riguardo l’ordinanza impugnata ha sottolineato che l’associazione dedita ai reati in materia di stupefacenti costituisce lo strumento finanziario di quella ndranghetista.
Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, NOME COGNOME denuncia:
2.1. violazioni di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 292 cod. proc. pen. nella parte in cui non sono state esaminate le deduzioni difensive con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato associativo di cui al capo 1) collegato, sul piano indiziario, al reato di cui al capo 41). In particolare la difesa aveva prodotto documentazione notarile, allegata alla
memoria difensiva, che attestava come il capannone presso il quale era in corso l’attività di coltivazione fosse stato diviso in quattro parti indipendenti e non comunicanti tra di loro; evidenziava altresì che con riferimento al reato di cui al capo 41), l’indagato, già arrestato in flagranza di reato, era stato poi scarcerato dal tribunale del riesame il 7 luglio 2022, per carenza dei gravi indizi di colpevolezza, sulla scorta del medesimo compendio probatorio valorizzato nel presente procedimento ovvero la circostanza che il medesimo era stato trovato nei pressi del capannone ove esisteva la piantagione. Palese violazione della legge penale si riscontra anche con riferimento alla ritenuta sussistenza della condotta partecipativa, per la quale è richiesta la dimostrazione della piena condivisione dei fini perseguiti e del metodo utilizzato e sul piano oggettivo la messa a disposizione del sodalizio. Nel caso in esame tali elementi sono stati ritenuti sussistenti solo sulla base del coinvolgimento dell’imputato nella fattispecie di cui al capo 41) ovvero di cui ai capi 15) e 18) e, dunque, sulla base della presenza dell’indagato all’operazione della presunta pulitura di armi che non appare elemento sufficiente e conducente ai fini di ritenerne provata la condotta partecipativa;
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza del reato associativo di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, non essendo comprovata la stabilità e la continuatività della condotta partecipativa perché, nonostante il riferimento a stupefacente da smerciare e conteggi dare-avere, nessun elemento positivo emerge a carico dell’indagato. Il ricorso ha esaminato l’episodio del 22 gennaio 2022, relativo alla circostanza che l’indagato si sarebbe recato col fratello NOME presso l’abitazione del coindagato NOME COGNOME per pianificare una condotta di cessione evidenziando come non vi sia traccia della formale contestazione della condotta sia altri episodi ritenuti sintomatici della condotta partecipativa ma ricostruiti solo sulla base di circostanze generiche. Conclude nel senso che manca la prova di un accordo associativo allorquando questa venga ricavata da un solo episodio criminoso o da comportamenti del tutto occasionali;
2.3 con riferimento al reato ascritto al capo 41), erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione perché è stato omesso l’esame dei rilievi contenuti nella memoria difensiva. Denuncia, altresì, la violazione del divieto di bis in idem cautelare, non preceduto dalla riapertura delle indagini nel procedimento per il quale, in esito all’arresto del 17 giugno 2022, si era pervenuti all’archiviazione del procedimento;
2.4 vizio di motivazione e vizio di violazione di legge sussistono anche in relazione al ritenuto coinvolgimento del ricorrente nel reato di cui al capo 15). Anche in questo caso la motivazione dell’ordinanza impugnata si fonda su un rilievo di carattere generale e cioè che i fondi in questione fossero nella esclusiva disponibilità dei fratelli COGNOME in contrasto con le deduzioni difensive proposte
con i motivi di ricorso al Tribunale del riesame e non esaminati dal Tribunale. Analogo vizio sussiste con riferimento al reato di cui al capo 18) poiché si dà per assodata la effettiva disponibilità dei fratelli COGNOME, e quindi il coinvolgimento del ricorrente, dei capannoni e dei fondi sui quali sorgevano sulla scorta di una valutazione di carattere cumulativo e presuntivo. Infine, con riferimento al reato di cui al capo 18), è stato valorizzato a carico del ricorrente l’ingresso nel capannone del ricorrente insieme al fratello NOME e a NOME COGNOME: si tratta tuttavia di un indizio privo del requisito di certezza e comunque non univocamente concludente al fine di dimostrare il contributo partecipativo al reato, tenuto conto che, come ampiamente dimostrato dalla difesa, il capannone era stato oggetto di divisione e non era di proprietà esclusiva dell’indagato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché proposto per motivi generici e manifestamente infondati.
E’ opportuno, per ragioni di carattere sistematico, esaminare l’eccezione di difensiva oggetto del terzo motivo di ricorso poiché il ricorrente sostiene, con particolare riguardo al reato contestato al capo 41), ma con incidenza anche sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati associativi e ai reati in materia di armi, che illegittimamente, in carenza del provvedimento di riapertura delle indagini e in violazione del divieto di bis in idem , si procede, con applicazione della misura, a carico di NOME COGNOME Il ricorrente sostiene che il reato ascrittogli al capo 41) è relativo ad un fatto già contestatogli in occasione dell’arresto in flagranza di reato eseguito il 17 giugno 2022, fatto per il quale il Tribunale del riesame aveva annullato la misura per carenza dei gravi indizi di colpevolezza. Successivamente veniva disposta l’archiviazione del procedimento non seguita da provvedimento di riapertura delle indagini. Il difensore sostiene che la documentazione prodotta al Tribunale in occasione del vecchio procedimento, determinante perché fondata sulla comprovata divisione del capannone appartenente alla famiglia COGNOME tra i vari fratelli, non è stata, invece, esaminata dal Tribunale del riesame che è incorso nell’omessa valutazione di elementi decisivi.
Osserva il Collegio che la preclusione processuale ex art. 414 cod. proc. pen. derivante dall’omessa riapertura delle indagini dopo l’intervenuta archiviazione richiede che si sia in presenza dello stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero (Sez. U, n. 33885 del 24/06/2010, COGNOME, Rv. 247834; Sez. 6, n. 44864 del 14/09/2023, O., Rv. 285448).
Nella medesima ottica, la preclusione connessa al divieto di un secondo giudizio, postula l’identità del fatto che sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. Il principio del “ne bis in idem” impedisce al giudice di procedere contro la stessa persona per il medesimo fatto su cui si è formato il giudicato, ma non di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo in riferimento a diverso reato, dovendo la vicenda criminosa essere valutata alla luce di tutte le sue implicazioni penali (Sez. 2, n. 28048 del 08/04/2021, COGNOME, Rv. 281799 ).
Il Tribunale, in più passaggi argomentativi dell’ordinanza impugnata, ha esaminato la vicenda relativa all’arresto del 17 giugno 2022 di NOME COGNOME e, soprattutto, le emergenze che, in quell’occasione, avevano condotto al sequestro di un capannone all’interno del quale era in atto una coltivazione di piante di marijuana e di produzione del correlativo stupefacente. Il Tribunale ha esaminato sia la questione processuale, sollevata dal difensore (per la mancata riapertura delle indagini) sia quella della sussumibilità dei fatti accertati a carico dell’indagato oggetto di contestazione nell’odierno procedimento nel reato ascrittogli in occasione dell’arresto e, senza incorrere in evidenti illogicità, da un lato ha escluso che si fosse in presenza del medesimo procedimento, poiché, invece, si era in presenza di procedimenti collegati e, dall’altro, pur valorizzando anche le risultanze di quell’episodio, soprattutto con riferimento al modus operandi della ndrina COGNOME ed al ricorso di uno ‘schermo’ per allontanare dalla famiglia le attività in corso nella serra ha escluso la identità del fatto tra tale episodio e quelli ascritti nel presente procedimento ad NOME COGNOME in quanto diversamente circostanziati nel tempo e del concorso di persone poiché, in occasione dell’arresto, si era proceduto unicamente a carico dell’indagato, del fratello NOME, del nipote NOME e di NOME COGNOME diversamente dal procedimento in corso in cui rileva il concorso di altri indagati.
3.In particolare, e si passa così anche all’esame dei motivi di ricorso svolti ai punti 2.1 e 2.4., il Tribunale ha valorizzato a carico dell’indagato, con riferimento al reato di cui al capo 18), la sua presenza alle operazioni di manutenzione e confezionamento delle armi (svolte personalmente da NOME COGNOME), operazioni inequivocabilmente dimostrate dai rumori intercettati (pag. 9 dell’ordinanza impugnata), mentre, con riferimento al reato di cui al capo 15), l’indagato era stato ripreso – in data 28 aprile 2022 – mentre prelevava un’arma, occultata in una busta di plastica, posizionata in un covo di rovi, dietro un paletto di legno. Una collocazione, osservano i giudici del riesame, strategica e funzionale al
controllo della piantagione perché ubicata lungo la strada che dall’abitazione dei Cracoclici conduceva alla serra (pag. 10).
Infine, con riferimento al reato di cui al capo 41), l’ordinanza impugnata ha richiamato le conversazioni, precedenti al sequestro del capannone del giugno 2022, che comprovavano le attività di sorveglianza della piantagione e i contatti con ‘i rosarnesi’ (pagg 28 e 29) e che vedevano l’indagato interagire con i fratelli e altri correi sia per le attività funzionali alla realizzazione della piantagione che per la creazione di contatti utili allo smercio della droga, oggetto di coltivazione illecita.
4.Anche il primo motivo di ricorso è generico, per aspecificità e manifestamente infondato.
L’ordinanza impugnata ha espressamente esaminato le questioni relative alla titolarità dei fondi in località Corazzo (pag. 23) ed ha ritenuto irrilevante la documentazione prodotta ai fini della gravità indiziaria sia in relazione ai reati di cui ai capi 15) e 18), in materia di armi, sia in relazione al reato di cui al capo 41): irrilevanza derivante dalla accertata presenza dell’indagato nel capannone che veniva utilizzato anche per le operazioni di essiccazione, pulitura e confezionamento della droga sequestrata il 17 giugno 2022.
I suoni prodotti dalla pulizia e oleatura delle armi; il prelievo di un’arma da un luogo ‘segnalato’ (oggetto della ripresa del 28 aprile 2022 – riferibile al reato di cui al capo 15)- unitamente alle videoriprese (non meglio descritte) che ne attestano non solo la presenza all’interno della serra (oggetto del sequestro del 17 giugno 2022) ma la funzione di vedetta e controllo e, in generale, le attività svolte per la predisposizione e organizzazione delle serre (pag. 15), costituiscono le specifiche circostanze esaminate dal Tribunale a carico del ricorrente. Si tratta, secondo il logico apprezzamento condotto dal Tribunale, non solo di indizi certi ma anche di dati probatori di univoco significato – al di là del dato, questo sì, meramente formale dell’appartenenza dei capannoni e dei contratti utilizzati per schermare le attività illecite che vi erano in corso. Il Tribunale, infatti, con un argomento altamente significativo, ha evidenziato come per fornire una parvenza legale alla coltivazione, allontanando i sospetti dai fratelli COGNOME fosse stato stipulato un contratto di fitto, per la coltivazione ‘legale’ di cannabis con NOME COGNOME secondo uno schema ricorrente anche per altre piantagioni (nelle quali non era coinvolto direttamente l’indagato).
5.Anche il secondo motivo di ricorso incorre ne vizio di genericità e manifesta infondatezza.
Il ricorso propone una lettura frammentaria degli elementi indiziari in cui il contributo del ricorrente, comprovato dai servizi che avevano condotto anche al sequestro delle armi, ne denota il coinvolgimento nel traffico di sostanze stupefacenti, coinvolgimento che trova conferma nelle conversazioni (sintetizzate a pag. 28) che attestano la partecipazione di NOME COGNOME alla programmazione delle operazioni da effettuare per l’approntamento della piantagione in località Corazzo – si tratta delle conversazioni del 18 marzo e 1 aprile 2022- e la sua partecipazione ad un incontro, e relative trattative, con NOME COGNOME (emerso dalle intercettazioni a carico di questi).
L’ordinanza impugnata ha ricostruito alcune operazioni di sequestro di piantagioni oltre a quella del 17 giugno in località Corazzo (il 22 luglio 2022 in agro di Maida; il 5 agosto 2022 in agro di Mesoraca) e l’esecuzione, in data 20 febbraio 2023 di un’ordinanza cautelare a carico, tra gli altri, di NOME COGNOME individuato come il fornitore di un’articolata associazione, radicata in Lamezia Terme, già tratto in arresto il precedente 2 febbraio 2022 perché trovato in possesso di 215 grammi di cocaina nei pressi della cava di Maida.
Il Tribunale ha evidenziato (sulla base delle conversazioni intercettate a partire proprio dal febbraio 2022) che NOME COGNOME classe 1971 era in possesso dell’agenda di NOME COGNOME ed era stato contattato dai fornitori del Cappellano, per saldare i debiti di questi e si era attivato per recuperare il denaro provento dell’attività di cessione che il Cappellano non era riuscito a riscuotere. NOME COGNOME indicava espressamente NOME COGNOME come la persona che lo aveva messo in contatto con ‘i rosarnesi’, elogiati per la competenza nell’allestimento delle serre.
L’ordinanza descrive in dettaglio la posizione di NOME e NOME COGNOME ma ha delineato, con sufficiente chiarezza, anche la presenza di NOME COGNOME all’incontro in cui si era discusso della predisposizione della serra di INDIRIZZO, poi sequestrata il 17 giugno 2022; la sua presenza in occasione dell’incontro con NOME COGNOME in cui questi consegnava a NOME COGNOME il corrispettivo di una fornitura di droga (pag. 27); l’incarico ricevuto dal fratello NOME di promuovere un incontro con NOME COGNOME debitore di una somma consistente (circa tremila euro) verso il Cappellano, incarico seguito dall’impegno del ricorrente a rintracciare il COGNOME e condurlo al cospetto del fratello.
Il difensore ha sostenuto che il ricorrente era rimasto silente all’incontro con COGNOME e che l’episodio, che avrebbe dato luogo ad una condotta di cessione, non è oggetto di formale contestazione. Si tratta, tuttavia, di rilievi inconferenti poiché, ai fini della ricostruzione della condotta partecipativa, non è necessario che il fatto che la denota sia configurabile come reato autonomo: ciò che rileva, nel descritto contesto, è il coinvolgimento del ricorrente nell’operazione, viste le cautele di
NOME COGNOME molto accorto nella implicazione di soggetti estranei al nucleo familiare e all’associazione.
Correttamente, inoltre, il Tribunale ha ritenuto che le attività dell’indagato, inquadrate nel contesto dell’attività di predisposizione e seguite dalla sorveglianza della serra di Corazzo, località Maida, ne denotavano il contributo partecipativo all’attività associativa in materia di stupefacenti, unitamente ai fratelli NOME e NOME.
5.1. Sono manifestamente infondati i rilievi del ricorrente sulla configurabilità del contributo dell’indagato rilevante ai fini della condotta partecipativa ai reati associativi.
Il reato di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell’organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, COGNOME, Rv. 282139).
Anche se sul piano temporale le condotte ascritte al ricorrente appaiono riconducibili ad un periodo circoscritto (le operazioni intercettazione lo segnalano presente dai primi mesi del gennaio 2022 fino al momento del sequestro del capannone in località Corazzo), la durata della condotta ad un periodo di tempo limitato non contrasta con la sussistenza dell’ affectio societatis poiché gli elementi acquisiti denotano l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti facevano riferimento, contando sull’apporto di ciascuno, per assicurare la realizzazione del programma associativo (cfr. Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, Sermone, Rv. 282122), e, stante le concrete modalità dei fatti, affatto occasionale ma stabilmente attuato nel tempo.
Le descritte modalità di coinvolgimento del ricorrente nell’associazione dedita alla commissione dei reati in materia di stupefacenti, integrano, altresì, la condotta di partecipazione alla cosca , cui erano destinati i proventi delle attività di produzione e smercio della droga, in una al ruolo che l’indagato aveva quale depositario delle armi che venivano impiegate per il controllo militare del territorio in cui era in corso l’attività di coltivazione in serre organizzate secondo modalità industriali.
Tali modalità rinviano al profilo programmatico dell’utilizzo del metodo mafioso che si estrinseca nell’imposizione di una sfera di dominio sul territorio, con un’operatività non limitata al traffico di sostanze stupefacenti, ma estesa a svariati settori, circostanze, queste, delineate nell’ordinanza impugnata nella parte ha descritto il ruolo di NOME COGNOME e le attività della cosca che, per aspetti tutt’altro che marginali (il mantenimento dei detenuti; il pagamento delle spese
legali; l’aiuto alle famiglie) si alimentavano attraverso i guadagni del narcotraffico: non risulta, pertanto, manifesta illogica l’affermazione del Tribunale secondo cui l’associazione dedita ai reati in materia di stupefacenti costituiva lo strumento finanziario di quella ndranghetista.
6.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione della natura delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo. Seguono, a cura della cancelleria, gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 3 aprile 2025
La Consigliera relatrice NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME