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Custodia cautelare: il tempo non basta a escluderla

Un soggetto, accusato di far parte di un’associazione per il traffico di stupefacenti, ha impugnato la misura di custodia cautelare in carcere sostenendo che i fatti fossero risalenti nel tempo e che avesse intrapreso un’attività lavorativa lecita. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, affermando che il solo passare del tempo non è sufficiente a escludere la necessità della custodia cautelare. La Corte ha confermato la valutazione sulla persistente pericolosità sociale dell’individuo, basata sulla stabilità dei suoi legami con ambienti criminali e sulla presunzione di legge prevista per reati di tale gravità.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare e Decorso del Tempo: La Cassazione Conferma la Linea Dura

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di misure restrittive della libertà personale: il semplice trascorrere del tempo non è di per sé sufficiente a far venir meno la necessità di una custodia cautelare in carcere, specialmente di fronte a reati di grave allarme sociale come l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La decisione sottolinea come la valutazione debba concentrarsi sulla persistente pericolosità sociale dell’indagato.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli, che aveva confermato la misura della custodia in carcere per un individuo accusato di partecipazione a un’associazione criminale dedita al traffico di droga (art. 74 d.P.R. 309/90) e di specifici episodi di acquisto di stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/90). L’indagato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, contestando la validità del provvedimento restrittivo.

L’Impugnazione e i Motivi del Ricorso

La difesa ha articolato il ricorso su due fronti principali: violazione di norme processuali e vizio di motivazione. In particolare, si sosteneva che:

* Gli unici elementi a carico del ricorrente fossero due acquisti di droga risalenti a quasi due anni prima dell’applicazione della misura, e che le intercettazioni successive non avessero rivelato ulteriori condotte illecite.
* Tali episodi isolati non sarebbero stati sufficienti a dimostrare una partecipazione stabile al sodalizio criminale.
* Il lungo arco di tempo trascorso e l’avvio da parte dell’indagato di un’attività lavorativa lecita (vendita online di monili) dimostrerebbero l’assenza di un pericolo attuale di reiterazione del reato.
* L’indagato si era dichiarato disponibile agli arresti domiciliari in una città lontana dai luoghi dei fatti, riducendo ulteriormente ogni possibile rischio.

In sostanza, il ricorrente chiedeva alla Corte di riconsiderare sia la gravità del quadro indiziario sia l’attualità delle esigenze cautelari che giustificavano la misura carceraria.

L’Analisi della Corte sulla Custodia Cautelare

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, respingendo tutte le argomentazioni difensive. L’analisi della Corte si è concentrata su due aspetti cruciali.

Inammissibilità delle Censure sul Merito

In primo luogo, i giudici hanno ribadito che il ricorso per Cassazione non rappresenta un terzo grado di giudizio nel merito. Le censure relative a una presunta erronea valutazione delle prove (violazione dell’art. 192 c.p.p.) sono inammissibili, in quanto mascherano un tentativo di ottenere una nuova e diversa lettura degli elementi raccolti, attività preclusa al giudice di legittimità. La Corte può sindacare solo la manifesta illogicità della motivazione, non sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.

La Persistenza della Pericolosità e la Custodia Cautelare

Il cuore della decisione risiede nella valutazione delle esigenze cautelari. La Cassazione ha ritenuto corretta e logica la motivazione del Tribunale del Riesame, il quale aveva evidenziato la persistente pericolosità sociale del ricorrente. Tale pericolosità non era stata desunta solo dai singoli episodi di acquisto, ma dal ruolo di ‘stabile acquirente’ che garantiva al sodalizio un canale di smercio sicuro e continuo. Inoltre, è stata valorizzata la vicinanza dell’indagato a contesti criminali radicati e pericolosi, da cui non aveva dimostrato di essersi realmente allontanato, nonostante la nuova attività lavorativa.

La ‘Doppia Presunzione’ dell’Art. 275 c.p.p.

Un punto decisivo è l’applicazione dell’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Per reati di particolare gravità, come l’associazione per traffico di stupefacenti, la legge stabilisce una ‘doppia presunzione’:
1. Presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari: si presume che il pericolo di reiterazione del reato sia presente.
2. Presunzione di adeguatezza della custodia in carcere: si presume che solo la massima misura restrittiva sia idonea a fronteggiare tale pericolo.

Questa presunzione, sebbene relativa, può essere superata solo fornendo elementi concreti e specifici che dimostrino l’assenza di ogni pericolo. Secondo la Corte, il mero decorso del tempo e l’avvio di un lavoro lecito non sono, da soli, elementi sufficienti a vincere tale presunzione.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità evidenziando che il ricorso si basava su una rilettura alternativa dei fatti, non consentita in sede di legittimità. La motivazione del Tribunale del Riesame è stata giudicata logica e coerente nel sottolineare come il ruolo dell’indagato all’interno del sodalizio e i suoi legami stabili con ambienti criminali (confermati anche da una precedente condanna) fondassero un giudizio di attuale e concreta pericolosità. Di fronte a tale quadro, la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere non è stata superata da prove contrarie fornite dalla difesa, rendendo la misura restrittiva pienamente giustificata nonostante il tempo trascorso dai fatti contestati.

Conclusioni

La sentenza riafferma un principio consolidato: la valutazione delle esigenze cautelari deve essere condotta ‘in concreto’, tenendo conto di tutti gli elementi disponibili sulla personalità dell’indagato e sul suo contesto di vita. Per i reati più gravi, il legislatore ha posto una forte presunzione a favore della custodia cautelare in carcere, che può essere vinta solo con una rigorosa prova contraria. Il tempo che passa è un fattore da considerare, ma non è un elemento risolutivo se permangono indici solidi di una pericolosità sociale attuale e concreta.

Il semplice passare del tempo è sufficiente per annullare una misura di custodia cautelare in carcere?
No, la sentenza chiarisce che il mero decorso del tempo non è di per sé sufficiente a far decadere le esigenze cautelari, specialmente per reati gravi. È necessario dimostrare con elementi concreti che la pericolosità sociale del soggetto sia effettivamente venuta meno.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile e non semplicemente rigettato?
Parte del ricorso è stata dichiarata inammissibile perché, con il pretesto di denunciare violazioni di legge, tentava di ottenere dalla Corte di Cassazione una nuova valutazione dei fatti e delle prove, un compito che non spetta a tale organo giudiziario, il quale giudica solo sulla corretta applicazione del diritto.

Cosa significa la ‘doppia presunzione’ prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p.?
Significa che per reati di particolare gravità, come l’associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, la legge presume sia la sussistenza delle esigenze cautelari sia l’adeguatezza della sola custodia in carcere come misura per fronteggiarle. Spetta all’indagato fornire prove concrete e specifiche per superare questa presunzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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