Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 38978 Anno 2025
NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 38978 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NICOTERA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/07/2025 del TRIB. LIBERTA’ di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile e dell’AVV_NOTAIO che ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza e l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30/7/2025, il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’appello cautelare, ha rigettato l’appello cautelare proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento del Tribunale di Palmi che aveva respinto l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti donniciliari.
NOME è attualmente sottoposto a misura cautelare custodiale per gravi delitti, tra cui associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacent aggravata (artt. 74, commi 1, 2, 3 e 4 d.P.R. 309/1990 e 416-bis.1 c.p.), produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti in concorso (artt.
81, 110 c.p. e 73 d.P.R. 309/1990), corruzione (artt. 319 e 321 c.p.) e peculato (artt. 81 e 314 c.p.).
Il Tribunale del riesame, nel confermare la decisione di primo grado, ha ritenuto non superata la presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p., per il delitto associativo contestato. In particolare, il Collegio ha valutato come non decisivi gli elementi addotti dalla difesa, quali il tempo trascorso, la condotta carceraria, le condizioni di salute e, soprattutto, l’intervenuto licenziamento del COGNOME dal ruolo di funzionario dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e dei RAGIONE_SOCIALE. Secondo l’ordinanza impugnata, la gravità RAGIONE_SOCIALE condotte, la profondità dei legami con la criminalità organizzata e la spregiudicatezza dimostrata consentono di ritenere ancora concreto e attuale il pericolo di reiterazione criminosa. Il Tribunale ha specificato che, nonostante il licenziamento, COGNOME potrebbe continuare a svolgere un “ruolo di primo piano nell’associazione” fornendo “consulenza in materia agli altri membri dell’associazione”, stante l’esperienza accumulata. Ha, inoltre, ritenuto che neppure la disponibilità di un’abitazione a Cassino, distante dai luoghi dei fatti, sarebbe idonea a neutralizzare tale pericolo, data la capacità dell’indagato di mantenere contatti e impartire disposizioni anche a distanza.
Avverso l’ ordinanza ha proposto ricorso per Cassazione COGNOME, per il tramite dei suoi difensori, deducendo un unico motivo con cui lamenta la violazione di legge in riferimento all’art. 274 c.p.p. e il vizio di motivazione.
Il ricorrente sostiene che il Tribunale non avrebbe correttamente valutato gli elementi sopravvenuti, idonei a determinare un affievolimento RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari. In particolare, si censura la valutazione relativa all’intervenuto licenziamento, che renderebbe materialmente impossibile la reiterazione RAGIONE_SOCIALE condotte contestate, le quali erano strettamente legate alla funzione pubblica dell’imputato. Si contesta, inoltre, la valutazione del Tribunale circa la persistenza dei contatti con l’ambiente criminale, basata su elementi risalenti agli anni 20202022 e, quindi, antecedenti al licenziamento, intervenuto nel 2024. Infine, si definisce “inverosimile” e apodittica l’ipotesi che COGNOME possa fornire un’attività “consulenziale” all’associazione, essendo il suo ruolo stato prettamente operativo.
Tali argomenti si trovano riproposti nella memoria trasmessa dai difensori il 25 settembre 2025
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Nella fattispecie, come osservato dall’ordinanza impugnata, in ragione dei fatti oggetto di imputazione, opera il comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., che pone una presunzione “temperata” di adeguatezza del presidio di massima afflittività.
Deve evidenziarsi, ancora, che, secondo il costante orientamento di questa Corte, la decisione del giudice sull’appello avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sostituzione di una misura cautelare con altra di natura meno afflittiva è vincolata, oltre che dall’effetto devolutivo proprio di questo tipo di impugnazione, per cui la sua cognizione non può superare i confini tracciati dai motivi, anche dalla natura del provvedimento impugnato, che è del tutto autonomo rispetto all’ordinanza impositiva della misura. Il giudice della cautela, pertanto, non deve riesaminare la questione della sussistenza RAGIONE_SOCIALE condizioni dì applicabilità della misura stessa, ma solo stabilire se il provvedimento gravato sia immune da violazioni di legge ed adeguatamente motivato in relazione all’eventuale allegazione di fatti nuovi, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare il quadro probatorio o ad influire sull’esigenza della misura cautelare, tali da consentire l’applicabilità del meno invasivo regime degli arresti domiciliari rispetto alla massima misura custodiale originariamente emessa. La presunzione di adeguatezza della custodia in carcere di cui all’art. 275, comma 3, c. p. p. opera, infatti, non solo nel momento di adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva ma anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, e, pertanto, solo fatti nuovi, anche se apprezzati congiuntamente a quelli originariamente esaminati, dai quali risulti un mutamento “in melius” del quadro indiziario, possono condurre alla sostituzione della misura con altra meno afflittiva (Sez. 1, n. 82 del 10/11/2015 – dep. 07/01/2016, Sorgenti, Rv. 265383; Sez. 4, n. 16381 del 23/4/2025, COGNOME; Sez. 4, n. 10317 del 11/3/2025, COGNOME).
Questa Corte ha anche precisato che la presunzione di adeguatezza della sola misura carceraria si può vincere solo attraverso l’allegazione di specifici elementi di fatto idonei a dimostrare lo scioglimento del gruppo ovvero il recesso individuale e il ravvedimento del soggetto sottoposto alla misura, con la dimostrazione della rescissione del vincolo associativo (Sez. 3, n. 23367 del 17/12/2015, dep. 2016, Marzoli Rv. 267341; Sez. 4, n. 15941 del 14/3/2024, Bana Bashar ).
Ciò premesso, la motivazione contestata, secondo il perimetro di cognizione del giudice di legittimità in sede cautelare, espone, senza incorrere in logicità evidenti o violazioni di legge, le ragioni per le quali ha ritenuto che gli elementi indicati dalla difesa non potessero far ritenere affievolite le esigenze cautelari.
In particolare, con riguardo all’elemento centrale del ricorso – l’intervenuto licenziamento – il Tribunale ha spiegato, con argomentazione non manifestamente
illogica, perché tale circostanza non fosse risolutiva. Il Collegio ha valorizzato la natura non occasionale della collaborazione di COGNOME con il sodalizio criminale, i suoi stabili rapporti con esponenti di vertice e la natura dell’apporto garantito al sodalizio, che si era concretizzato anche nel fornire informazioni e consigli legali resi attingendo al bagaglio professionale acquisito durante gli anni di servizio alle dipendenze dell’RAGIONE_SOCIALE, avendo il Tribunale ricordato i contatti intercorsi nel 2022 fra COGNOME e “un certo NOME” che chiedeva consigli al ricorrente in ordine alle cautele da adottare per ridurre i rischi di sequestro di un quantitativo di droga che aveva importato.
La conclusione secondo cui, in un contesto di così profonda intraneità, il ricorrente possa continuare a essere una risorsa per l’associazione, mettendo a disposizione la propria esperienza pregressa anche solo attraverso un’attività di “consulenza”, costituisce una valutazione di merito immune da censure di legittimità rappresentando un plausibile sviluppo logico basato sulla gravità del quadro indiziario e sulla specifica competenza maturata da COGNOME nel settore RAGIONE_SOCIALE importazioni, che rimane un patrimonio di conoscenze spendibile a prescindere dal mantenimento della qualifica funzionale.
2.1 Anche le ulteriori censure sono manifestamente infondate.
L’argomento incentrato sul c.d. tempo silente è stato disatteso rievocando accadimenti relativamente recenti e sottolineando che non era intervenuta segnale alcuno di effettiva dissociazione.
Il periodo di carcerazione sofferto e la condotta inframuraria sono stati valutati dal Tribunale che li ha ritenuti, “in mancanza di elementi per ritenere che COGNOME si sia dissociato dalla compagnine criminosa di cui faceva parte”, privi di rilievo determinante come fattore di attenuazione RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari (Sez. 1, n. 19818 del 23/03/2018, COGNOME, Rv. 273139; Sez. 2, n. 10808 del 16/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266161; Sez. 1, n. 24897 del 10/05/2013, COGNOME, Rv. 255832).
Quanto all’adeguatezza della meno grave misura degli arresti domiciliari – pur in luogo posto al di fuori della regione e con lo strumento del braccialetto elettronico – l’ordinanza ne ha non illogicamente escluso l’idoneità rilevando che la spregiudicatezza dell’imputato, che in passato non aveva esitato a ricorrere alla figlia per mantenere i contatti con elementi della criminalità organizzata ristretti in carcere, e il ruolo svolto in favore dell’associazione facevano ritenere che, anche se agli arresti domiciliari a Cassino, COGNOME avrebbe potuto comunque inviare e ricevere informazioni in grado di permettere la perpetrazione di condotte delittuose nell’ambito degli stupefacenti.
La prognosi negativa formulata dal giudice del merito cautelare circa il concreto pericolo che, se posto agli arresti donniciliari, reiterando comportamenti in passato già posti in essere, l’imputato potrebbe agevolare nuovi traffici illeciti di
stupefacenti, si basa, pertanto, su elementi di assoluta concretezza e non è pertanto manifestamente illogica.
Deve, quindi, concludersi che il giudice dell’appello cautelare, ritenuta non vinta da alcun sopravvenuto elemento di valutazione la presunzione di adeguatezza della sola misura carceraria, ha concretamente apprezzato l’inanità della misura domiciliare invocata a contenere la spinta criminale dell’agente, per come rappresentata dai fatti per cui è cautela. Non sono, pertanto, configurabili i dedotti vizi motivazionali o le erronee ricognizioni dei presupposti di legge.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente sopporti le spese processuale e versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. COGNOME in COGNOME caso di COGNOME inammissibilità COGNOME del COGNOME ricorso, COGNOME considerate COGNOME le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 29/10/2025