Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 243 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 243 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Briatico il 15/04/1956
avverso l’ordinanza 28/06/2023 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; uditi l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME difensori del ricorrente, che hanno concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 10 giugno 2023 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva disposto l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei
confronti di NOME COGNOME, sottoposto ad indagini in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., per avere continuato a fare parte, in qualità di capo, promotore, organizzatore e finanziatore, dell’associazione per delinquere di stampo ‘ndraghetistico, in particolare della ‘ndrina di , facente parte della locale di Zungrì operante nel vibonese: sodalizio criminale – la cui esistenza era stata accertata giudizialmente – attivo nei settori delle estorsioni e del traffico d armi e di sostanze stupefacenti, che dal 2014 era stato ancora diretto dal prevenuto il quale, nonostante fosse detenuto in carcere, aveva proseguito ad occuparsi degli affari della cosca, venendo informato dagli affiliati e partecipando alle scelte decisionali associative, e ricevendo il sostegno economico da parte di quel gruppo criminale.
Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso NOME COGNOME con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale, con un unico articolato punto, ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 416-bis cod. peri., 192 e 273 cod. proc. pen., e vizi di motivazione, per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere il Tribunale del riesame confermato il provvedimento genetico della misura cautelare, benché le emergenze procedimentali non avessero dimostrato la contestata prosecuzione della partecipazione, in posizione verticistica, al considerato sodalizio di stampo mafioso. In particolare, la difesa ha lamentato la valorizzazione delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia che avevano parlato di vicende risalenti nel tempo, comunque precedenti al 2013 o non collocabile dal punto di vista cronologico; l’utilizzazione di conversazioni intercettate riguardanti soggetti diversi dall’odierno ricorrente o di contenuto indeterminato; il richiamo a passi di colloqui, non meglio decifrabili, riguardanti vicende familiari o relazione con terzi soggetti, che l’COGNOME aveva avuto in carcere con la moglie (la quale non risulta essere stata mai coinvolta in indagini di criminalità organizzata), inidonei a dimostrare che il predetto avesse inviato messaggi ad associati in libertà o concorresse nella commissione di una specifica ipotesi di estorsione. Sono state, altresì, stigmatizzate le circostanze che i giudici del riesame avessero trascurato di considerare il passaggio di una conversazione tra due associati, pure captata dagli inquirenti, che confermava che l’COGNOME (“NOME“) non aveva mai chiesto denaro provento di estorsioni; e non avessero tenuto in debito conto che il prevenuto aveva beneficiato di periodi di libertà, senza però risultare coinvolto nella commissione di reati riferiti a quegli archi temporali. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con memoria del 10 dicembre 2023 i difensori dell’COGNOME hanno formulato un motivo nuovo, evidenziando come nessuno dei coimputati del reato
associativo per il quale il prevenuto è stato condannato in relazione alle condotte tenute fino al 2013 compaia nei risultati delle indagini del presente procedimento, fatta eccezione per NOME COGNOME figlio del ricorrente; ciò a conferma della mancanza di prova indiziaria circa l’ultrattività e attuale permanenza del sodalizio asseritamente diretto dal prevenuto,
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME vada rigettato.
2. I motivi dedotti dalla difesa sono privi di pregio.
È pacifico nella giurisprudenza di legittimità come il controllo dei provvedimenti di applicazione delle misure limitative della libertà personale sia diretto a verificare la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato, nonché il valore sintomatico degli indizi medesimi. Controllo che non può comportare un coinvolgimento del giudizio ricostruttivo del fatto e degli apprezzamenti del giudice di merito in ordine all’attendibilità dell fonti ed alla rilevanza e concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
Questa Corte ha, dunque, il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (si veda, ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Alla luce di tali regulae iuris, bisogna, dunque, riconoscere come, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano dato puntuale e logica contezza degli elementi indiziari sui quali si fonda il provvedimento cautelare. A tal fine era stat valorizzato tanto le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, i qu avevano riferito della posizione egemonica assunta nella zona di Briatico dal gruppo criminale mafioso diretto da NOME COGNOME, detto “NOME“; in particolare il collaboratore di giustizia NOME COGNOME aveva ricordato di aver saputo nel 2017 che un associato, tal NOME COGNOME era stato “allontanato” da NOME COGNOME ed era passato a far parte di altro gruppo diretto da NOME
COGNOME, circostanza questa che era risultata riscontrata dal tenore di una captazione del 2019, che aveva permesso di avere contezza della contrapposizione all’epoca esistente tra il COGNOME e suoi familiari da una parte, l’COGNOME dall’altra, “accusato” dai primi di voler decidere chi dovesse essere assunto dalle imprese locali operanti nel settore turistico.
Altre intercettazioni telefoniche e ambientali, eseguite tra il 2017 e il 2019, avevano permesso di accertare che l’odierno ricorrente, sfruttando i colloqui che aveva in carcere con la moglie, aveva chiesto conto della riscossione e della destinazione finale dei proventi di talune attività delittuose (“i soldi d parcheggi”); aveva manifestato l’intenzione di vendicarsi nei confronti di due imprenditori del luogo, i fratelli COGNOME, per essersi rifiutati di assumere alle l dipendenze i figli dello stesso COGNOME; era stato destinatario di parte dei proventi di una estorsione consumata ai danni dei gestori dell’azienda di raccolta dei rifiuti urbani nei comuni di Mileto e di Briatico; ed era stato menzionato come la “ragione” di un contrasto sorto tra affiliati che si erano trovati in disaccord nel versare parte dei proventi delle loro attività a “NOME COGNOME, che taluno aveva ricordato essere titolare del “diritto” a percepire parte di quei denari (v. pagg. 2-12 ord. impugn.)
Da tanto il Collegio del riesame ha arguito, con un procedimento deduttivo nel quale non si è ravvisabile alcun vizio di manifesta illogicità, come l’odierno ricorrente dovesse essere considerato, a livello indiziario, partecipe, con ruolo direttivo, dell’associazione di stampo ‘ndranghetistico in argomento anche nel periodo dal 2014 in poi.
In tal modo, lungi dal proporre un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione, il ricorso è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei fatti’ oggetto di valutazione, sollecitando una inammissibile rivalutazione del materiale d’indagine rispetto al quale è stata proposta un significativo alternativo rispetto a quello privilegiato dal Tribunale nell’ambito di un sistema motivazionale perspicuo e completo.
Valutazione, questa, che vale soprattutto in considerazione del fatto che gli elementi indiziari a carico del ricorrente sono stati desunti in gran parte dal contenuto delle conversazioni intercettate durante le indagini: materiale rispetto al quale si pone un mero problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti interessati a quelle conversazioni intercettate, che è questione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimità se – come nella fattispecie è accaduto – la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.
In tale contesto appaiono inammissibili le questioni sull’applicazione dell’art. 238 cod. proc. Pen. In sede cautelare, che non avevano costituito specifico oggetto della richiesta di riesame; e ininfluente la lamentata circostanza che, in relazione al periodo dal 2014 in poi, siano risultati menzionati solo alcuni dei soggetti originariamente considerati come componenti dell’associazione di stampo mafioso in argomento.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi previsti dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna al pagamento deile spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, c:omma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 20/12/2023