Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2454 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2454 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CROTONE il 15/07/1963
avverso l’ordinanza del 02/07/2024 del TRIBUNALE di Catanzaro Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Catanzaro con l’ordinanza ora impugnata, emessa il 2 luglio 2024, confermava l’ordinanza genetica – applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME – emessa dalla Corte di assise di appello di Catanzaro
Tale ordinanza conseguiva alla sentenza di condanna di COGNOME all’ergastolo, per il delitto di omicidio aggravato dall’art. 416-bis 1 cod. pen., nonché per detenzione e porto di armi parimenti aggravati, emessa a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione ; me tre invece la
condanna per il delitto di partecipazione all’associazione mafiosa era divenuta irrevocabile.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 309, comma 9, e 292, 275, comma 3 -bis, cod. proc. pen., per mancanza di motivazione autonoma della ordinanza genetica quanto alle esigenze cautelari.
Il ricorrente denuncia, inoltre, che il Tribunale del riesame si sarebbe sostituito al primo giudice della cautela, sopperendo a una motivazione apparente, in ciò violando le disposizioni ora indicate, difettando il caso della cd. doppia conforme che possa legittimare l’applicazione dell’art. 275, comma 2 -ter, cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame non avrebbe, poi, operato un esame dinamico delle emergenze a sostegno della ordinanza restrittiva.
Il secondo motivo deduce violazione dì legge e vizio dì motivazione in relazione all’art. 275, comma 1 -bis e 274, lett. b), cod. proc. pen.
Dìfetterebbe la motivazione genetica quanto ad argomentazione sulla sussistenza delle esigenze cautelar’, non potendo essere sopperito tale onere giustificativo con il richiamo ad alcune intercettazioni, in sé controverse, e non al materiale fondante la condanna, non risultando per altro tali emergenze fatti successivi alle condotte, che possano attestare l’attualità del pericolo di reiterazione dei reati e di fuga, non bastando a tanto l’imminente espiazione della pena.
Anche, rileva il ricorrente, non trova giustificazione il differente trattamento rispetto ad altri condannati, che si trovano in situazioni sovrapponibili a quelle di COGNOME.
Il ricorso, depositato dopo il 30 giugno 2024, è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni,
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha chiesto rigettarsi il ricorso rilevando: quanto al primo motivo si verterebbe in nullità a regime intermedio non tempestivamente dedotta; quanto al secondo motivo lo stesso è infondato in forza della adeguata motivazione impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
I motivi di ricorso sono strettamente connessi e vanno trattati unitariamente.
Va preliminarmente evidenziato come pacifico sia il principio, evocato dal ricorrente, per cui, anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., il potere-dovere del tribunale del riesame di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato non opera nelle ipotesi di motivazione mancante sotto il profilo grafico, apparente o inesistente per inadeguatezza normativa: tale è quella in cui il primo giudice si sia limitato ad una sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell’indagato, in assenza di qualsiasi riferimento contenutistico e di enucleazione degli specifici elementi reputati indizianti (Sez. 5, n. 643 del 06/12/2017, dep. 10/01/2018, Rv. 271925 – 01; conf. : N. 3581 del 2015 Rv. 266050 – 01, N.46136 del 2015 Rv. 265212 – 01).
Tale corretto principio va ovviamente rapportato al caso concreto, in relazione al quale l’onere motivazionale, essendo intervenuta la sentenza di condanna, è evidentemente limitato alle sole esigenze cautelari, non anche ai gravi indizi di colpevolezza.
Difatti, per un verso la pronuncia di una sentenza di condanna costituisce di per sé un fatto nuovo che legittima l’emissione di una misura coercitiva personale, non ostando a tal fine la formazione dì un giudicato cautelare precedente, e costituisce inoltre, quando sia relativa ad uno dei reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., elemento idoneo a fondare la presunzione di pericolosità che impone la misura della custodia in carcere (Sez. 1, n. 13407 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 281055 – 01; conf.: N. 13904 del 2009 Rv. 243129 – 01, N. 30582 del 2003 Rv. 226103 – 01, N. 30144 del 2015 Rv. 264997 – 01).
Per altro verso, trova applicazione, come rileva il Tribunale del riesame, l’art. 275, comma 1 -bis, cod. proc. pen., e non il comma 2 -ter, che impone la misura cautelare a seguito di condanna in appello, non è applicabile nel caso in esame, difettando la condanna dell’imputato nei cinque anni precedenti, come prevista dall’ultima parte della disposizione.
E dunque, Sez. 6, n. 51605 del 12/09/2019, COGNOME, Rv. 277575 – 01 ha in modo condivisibile chiarito che la previsione dell’art. 275, comma 1 -bis, cod. proc. pen. istituisce un nesso logico tra la decisione di condanna e la disamina dei rischi cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. b) e c) cod. proc, pen., in quanto colloca
espressamente, dopo la pronunzia della sentenza, la valutazione dei presupposti da sottoporre a verifica, tra i quali anche l’esito del procedimento e gli elementi sopravvenuti al fatto, sicché, pur non essendo richiesta una stretta contestualità con la pronuncia della sentenza, la misura cautelare non può essere irragionevolmente ritardata rispetto alla condanna, sino ad intervenire al di fuori dell’ordinario processo di cognizione.
Tale principio, per un verso chiarisce quale è il contenuto dell’ordinanza applicativa, nel caso in esame limitata al solo profilo delle esigenze cautelari.
Per altro verso evidenzia come la contestualità, per quanto non stretta, fra la condanna e l’ordinanza applicativa della misura cautelare, comunque sussista, il che palesa anche la necessità – criticata dalla difesa con l’attuale ricorso – che l’ordinanza sia stata emessa prima del deposito della motivazione della sentenza di condanna.
D’altro canto, e qui si viene alla doglianza relativa alla apparenza di motivazione, il Tribunale del riesame attesta che l’ordinanza genetica dava atto non solo della severità della pena – l’ergastolo – ma anche della estrema gravità dei fatti, risultando per altro, dal provvedimento genetico applicativo della misura cautelare personale, il richiamo alla pluralità di delitti e alla natura premeditata dell’omicidio, alle circostanze in cui era sorto il proposito criminoso poi attuato, alle modalità dello stesso e al ruolo di primaria importanza rivestito dall’imputato, mandante dell’omicidio per preservare gli interessi della cosca mafiosa.
E bene, tale motivazione risulta certamente esistente e non apparente, il che dimostra come la censura relativa alla ‘sostituzione’ del Tribunale del riesame al Giudice della cautela genetica sia del tutto ‘fuori fuoco’.
Il Tribunale del riesame rilevava poi, con autonoma valutazione, la scaltrezza del COGNOME, che veniva comprovata anche dal contenuto di alcune conversazioni intercettate che attestavano come il delitto fu commesso per evitare a sua volta di essere ucciso, preferendo, così si esprimeva il l’imputato, carcere’ al ‘cimitero’.
Esclusa la natura apparente della ordinanza genetica, come ha rilevato anche la Procura generale in modo condivisibile, dal riepilogo dei motivi di riesame, enunciati oralmente e non contenuti in una memoria, non emerge che il difetto di autonoma valutazione ora denunciato – quanto all’ordinanza genetica – fosse stato dedotto (cfr. fol. 1 della ordinanza ora impugnata).
Ne consegue la tardività della deduzione, in quanto in tema di misure cautelari personali, la nullità dell’ordinanza genetica per mancanza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, di cui all’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., va qualificata come nullità generale a regime intermedio, dovendo, pertanto, essere dedotta, a pena di decadenza, con la
richiesta di riesame (Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282460 01; conf.: n. 2271 del 1996, Rv. 204823-01).
Quanto poi alle ragioni di ritenuta sussistenza delle esigenze di cautela, correttamente il Tribunale evidenzia come in tema di custodia cautelare in carcere applicata – nel caso all’esame della Corte di legittimità a seguito di condanna di primo grado per il reato di associazione mafiosa – l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pone una presunzione relativa di pericolosità sociale che determina, in chiave di motivazione del provvedimento cautelare, la necessità non già di dar conto in positivo della ricorrenza dei “perícula libertatis”, ma soltanto di apprezzarne le ragioni di esclusione e ciò solo se queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti (Sez. 5, n. 57580 del 14/09/2017, Lupia Rv. 272435 – 01: in motivazione la Corte ha chiarito che, tra le ragioni di esclusione suddette, la sola rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza ha valore determinante, mentre il fattore “tempo trascorso dai fatti” deve essere parametrato alla gravità della condotta; conf.: N. 19283 del 2017 Rv. 270062 01).
Nel caso in esame la presunzione risulta conseguente ai delitti aggravati dall’art. 416 bis 1 cod. pen., richiamati dalla ordinanza genetica, che evidenziava la gravità del reato e delle sue modalità, profili ai quali il Tribunale del riesame aggiunge che non risultava l’allontanamento dai contesti mafiosi del Marrazzo: lo stesso risultava condannato con sentenza definitiva per il delitto di partecipazione all’associazione mafiosa dal 2016 con condotta perdurante, quindi interrotta il 6 luglio 2018; dalla sentenza rescindente l’ordinanza ora impugnata trae il riferimento che COGNOME era già stato condannato per il delitto di associazione mafiosa fino al 2003, in relazione al medesimo sodalizio operante sul territorio ove fu consumato l’omicidio che costituisce titolo cautelare. Gli indici di pericolosità attuale vengono quindi individuati, senza manifesta illogicità ed in modo coerente con i principi di diritto testè richiamati, in elementi successivi al delitto, quali l’assenza di resipiscenza e di rescissione dei rapporti con il contesto criminoso di provenienza, la pervicace ostentazione della convinzione che aveva sostenuto il delitto, le pendenze giudiziarie, le frequentazioni e la concreta situazione di vita del soggetto, cosicché alla presunzione si aggiunge il difetto di elementi idonei a superarla, che anzi vedono rafforzato il concreto pericolo di reiterazione di reati e quello di fuga per l’imminente espiazione della pena dell’ergastolo.
Va poi condiviso quanto afferma la Procura generale, in ordine alla dedotta asserita disparità di trattamento, in quanto in tema di esigenze cautelarì, la posizione processuale di ciascun coindagato o coimputato è autonoma, poiché la valutazione da esprimere ex art. 274 cod. proc. pen., con particolare riguardo al pericolo di recidivanza, si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo
materiale ejo morale assicurato da ognuno dei concorrenti alla realizzazione dell’illecito, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo, sicché può risultare giustificata l’adozione di regimi difformi, pur a fronte della contestazione di un medesimo fatto di reato (Sez. 4, n. 13404 del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286363 – 01).
Ne consegue l’infondatezza complessiva dei motivi, con conseguente rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in data 25/10/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente