Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14847 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14847 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
su; ricorso proposto da:
NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/06/2023 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO COGNOME, il quale chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori, AVV_NOTAIOti COGNOME NOME NOME COGNOME NOME, i quali insistono per l’alcoglimento dei motivi di ricorso, ai quali si riportano.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 giugno 2023 il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato, ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., quella con cui il Giudice dell’udienza preliminare del medesimo ufficio giudiziario, il 27 aprile 2023, ha applicato ad NOME COGNOME – condannato, all’esito del giudizio di primo grado, alla pena dell’ergastolo per avere commesso i reati di omicidio volontario, occultamento di cadavere, detenzione e porto illegali di arma comune da sparo -la misura cautelare della custodia in carcere.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, ricorso per cassazione articolato su due motivi e seguito dal deposito, il 12 dicembre 2023, di atto contenente motivi nuovi.
Con il primo motivo, lamenta violazione di legge, sostanziale e processuale, e vizio di motivazione per avere il Tribunale del riesame omesso di dichiarare l’inefficacia del titolo cautelare in ragione dell’integrale decorso del termine massimo di durata della custodia cautelare conseguente alla retrodatazione dell’ordinanza applicativa della misura, già disposta, in relazione a precedente provvedimento cautelare, ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen..
Con il secondo motivo, eccepisce, ancora nell’ottica della violazione di legge, sostanziale e processuale, e del vizio di motivazione, che il Tribunale del riesame ha ritenuto la concretezza ed attualità del pericolo di fuga sulla base di considerazioni, riferite alla sua militanza nella criminalità organizzata cosentina, frutto della fallace valutazione delle evidenze disponibili, come, peraltro, documentalmente dimostrato dall’esame delle imputazioni associative elevate a suo carico nell’ambito, rispettivamente, dei procedimenti cc.dd. «COGNOME» e «RAGIONE_SOCIALE», allegate a supporto dei motivi nuovi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vertente su censure manifestamente infondate.
NOME COGNOME, chiamato a rispondere dell’omicidio di NOME COGNOME, è stato raggiunto da un primo titolo custodiale che, con successivo provvedimento del 7 marzo 2016, è stato dichiarato inefficace per l’integrale consumazione del termine massimo c.d. «di fase», la cui decorrenza è stata retrodatata al 27 novembre 2014, data di esecuzione della misura cautelare custodiale applicatagli per il connesso delitto di associazione RAGIONE_SOCIALE.
All’esito del giudizio di primo grado, è stata emessa una nuova misura cautelare in attuazione del disposto dell’art. 307, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., secondo cui, nelle ipotesi di scarcerazione per decorrenza dei termini massimi di durata della misura cautelare «la custodia cautelare, ove risulti necessaria a norma dell’art. 275 cod. proc. pen., è tuttavia ripristinata contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre l’esigenza cautelare prevista dell’art. 274, comma 1, lett b)», cioè il pericolo, concreto ed attuale, di fuga.
Il Tribunale del riesame, nel vagliare la rispondenza alla previsione di legge del più recente provvedimento custodiale, ha, tra l’altro, disatteso l’obiezione sollevata dall’imputato in ordine alla sopravvenuta inefficacia decorrenza della misura che, a dire di COGNOME, costituirebbe il portato della retrodatazione del decorso del termine massimo di durata previsto dall’art. 303, comma 4, cod. proc. pen., interamente consumato a far data dal 27 novembre 2014.
Ha, in proposito, ricordato, con ineccepibile richiamo a consolidato e condiviso indirizzo ermeneutico, che «Ai fini della verifica del rispetto del limite massimo di durata della custodia cautelare in caso di retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen., non assume rilevanza l’eventuale periodo intermedio di non detenzione dell’indagato, dovuto alla sua rimessione in libertà con riferimento alla prima ordinanza coercitiva, posto che l’interruzione della custodia determina il venir meno della finalità, sottesa all’istituto, di “riallineare” le vicende cautelari che avrebbero dovuto avere un avvio contestuale» (Sez. 3, n. 5460 del 13/01/2023, Corni, Rv. 284356 – 01; Sez. 1, n. 4719 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249905 – 01).
Ed invero, se si assume, correttamente, che l’istituto della retrodatazione delle ordinanze emesse in caso di contestazione «a catena» è preposto a tutela dell’esigenza di evitare l’arbitraria ed ingiustificata protrazione della limitazione della libertà personale – cioè che prassi artificiose o colpevoli inerzie dell’autorità giudiziaria possano incidere in senso negativo sulla permanenza in vinculis dell’imputato, determinando uno spostamento in avanti del dies a quo per il computo dei termini massimi di durata delle misure cautelari – è del tutto logico assegnare carattere neutro, nell’ottica considerata, ai periodi, successivi all’adozione della prima ordinanza, nei quali il soggetto è rimasto in libertà, che restano, pertanto, irrilevanti (come espressamente indicato anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 233 del 2011) ai fini della verifica della scadenza dei termini massimi di custodia.
Il percorso argomentativo seguito dal Tribunale del riesame si rivela, dunque, tetragono alle censure del ricorrente il quale, con il primo motivo, propone una opposta interpretazione del combinato disposto degli artt. 297, comma 3, e 303, comma 4, cod. proc. pen. che, inserendo i periodi intermedi di libertà nel computo del termine massimo di durata della custodia cautelare, si palesa distonica rispetto alla lettera ed alla ratio dell’istituto, inteso alla salvaguardia di interessi – quale quello, di rango primario, a che le limitazioni della libertà personale siano circoscritte alle ipotesi espressamente previste e contenute nei tempi stabiliti – che, nella ipotesi del tipo di quella che qui viene in rilievo, non sono lesi né esposti a pericolo.
Destituita di fondamento è, analogamente, la residua doglianza di COGNOME, volta a contestare la legittimità della motivazione sottesa all’apprezzamento della concretezza ed all’attualità del pericolo di fuga, da contenersi mediante l’applicazione della misura coercitiva di massimo rigore.
In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, se, da un canto, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti accertati, il giudice ha l’obbligo di motivare puntualmente in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’attualità e concretezza del pericolo di fuga (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 5155 del 22/11/2017, dep. 2018, De Rosa, Rv. 272063 – 01), il ripristino nei confronti dell’imputato, a seguito di sopravvenuta condanna, deve, dall’altro, fondarsi anche sull’entità della pena detentiva inflitta, oltre che sulla natura e sulla gravità del reato, in funzione del giudizio di probabilità che il condannato possa sottrarsi all’esecuzione della sentenza, ove questa divenga irrevocabile (così Sez. 2, n. 9277 del 22/01/2013, COGNOME, Rv. 254876 – 01) ed ha, ulteriormente, precisato che «il pericolo di fuga, idoneo a giustificare la riemissione del titolo custodiale, può essere desunto dalla condanna dell’imputato per l’appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, a condizione che siano accertati l’attuale esistenza del sodalizio criminale ed il concreto interesse dello stesso a garantire la sottrazione alla cattura dell’imputato, avuto riguardo anche al ruolo svolto dal predetto all’Interno del sodalizio medesimo» (Sez. 5, n. 52633 del 05/10/2016, COGNOME, Rv. 268755 – 01; Sez. 2, n. 42662 del 15/09/2015, COGNOME, Rv. 265210 01; Sez. 1, n. 49342 del 12/11/2009, COGNOME, Rv. 245640 – 01).
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame ha fatto buon governo dei menzionati canoni ermeneutici, valorizzando, nell’ottica considerata, la riscontrata appartenenza di COGNOME, con ruolo di vertice, all’associazione RAGIONE_SOCIALE che, in quanto presente ed attiva sul territorio, potrebbe agevolarlo nell’intento
di sottrarsi all’esecuzione della pena perpetua, irrogatagli all’esito del primo grado di giudizio.
Il ricorrente, con i motivi originari e quelli nuovi, taccia di illogicità i percorso argomentativo sviluppato dal Tribunale del riesame sul rilievo che egli è stato esponente apicale della cosca «RAGIONE_SOCIALE» che, però, è stata completamente disarticolata nel 2014 e che, in relazione al periodo successivo, il suo coinvolgimento nel diverso e più ampio gruppo criminale oggetto di investigazione nel procedimento c.d. «RAGIONE_SOCIALE» non è suffragato da riscontri di sorta e trova, anzi smentita nel suo ininterrotto stato detentivo che, tanto più in ragione della sua sottoposizione a regime differenziato, ha costituito e costituisce insormontabile ostacolo al mantenimento ed alla vivificazione del supposto legame.
L’obiezione non coglie nel segno, perché non tiene conto delle coordinate del ragionamento svolto dal Tribunale del riesame, esente da qualsivoglia frattura razionale e coerente con le emergenze istruttorie, comprese quelle acquisite, da ultimo, su impulso difensivo.
Sul punto, occorre ricordare, innanzitutto, che NOME COGNOME è stato riconosciuto, in forza di sentenza passata in giudicato (cfr. il capo di imputazione del procedimento c.d. «RAGIONE_SOCIALE»), quale promotore ed organizzatore (oltre che contabile ed addetto alla riscossione dei proventi delle estorsioni) dell’associazione RAGIONE_SOCIALE «RAGIONE_SOCIALE» ed aggiungere che gli addebiti contestati nell’uno e nell’altro procedimento muovono dal postulato della sinergia operativa tra i gruppi che controllano il territorio della città di Cosenza e delle aree limitrofe e della elevatissima caratura ‘ndranghetistica di COGNOME, indicato, nel procedimento c.d. «RAGIONE_SOCIALE», quale soggetto riconosciuto, nonostante lo stato di detenzione, «come storico capo dell’associazione e simbolo del potere criminale da essa esercitato sul territorio, in nome del quale l’associazione continua ad operare».
Tanto vale ad attestare la solidità del costrutto motivazionale dell’ordinanza impugnata, a fronte della quale il ricorrente oppone vacue obiezioni riferite a circostanze – la definitiva disgregazione della cosca in cui egli ha, in passato, militato; l’omessa assunzione, in quel contesto, di ruolo qualificato; l’assenza di continuità tra detta associazione e quella che avrebbe operato in epoca successiva ed in sua vece; il venir meno dei suoi contatti con i partecipi in stato di libertà – la cui allegazione non è assistita da congrui riscontri e che risultano, dunque, assolutamente inidonee ad enucleare, nel provvedimento del Tribunale del riesame, falle logiche o profili di contraddittorietà.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve esse pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non suss elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratori dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 15/12/2023.